Categoria: Monster girls

Appunti di dusiologia videoludica

Parlare di dusiologia videoludica è un problema, sotto vari punti di vista.

C’è, in primo luogo, una questione definitoria che deve essere affrontata, prima ancora di arrivare alle specificità dei videogiochi.

Il più grande – e forse unico – esperto al mondo di dusiologia è Marco Carrara, anche noto come Duca di Baionette, il quale intende dimostrare l’importanza delle elfe e la possibilità di fondare un mondo fantasy con tutti i cliché delle storie harem, basato sulle suddette elfe, sensuali e vogliose. La dusiologia è la disciplina che si occupa di studiare tutto ciò.

Però la questione non riguarda solo le elfe. Non è mia intenzione, qui, contrastare apertamente l’auctoritas. Mi permetto semmai di indossare i panni del chiosatore, per andare a postillare e chiarire meglio quanto si dirà in seguito. Perché noi non parleremo di elfe, ma di demoniette. E lo faremo applicando il tutto ai videogiochi. Ma partiamo dall’inizio.

Da dove deriva il termine dusiologia?

Appunti di dusiologia videoludica

La storia di un nome

La dusiologia prende il suo nome da Dusios, una creatura della mitologia dei Galli che venne accostata sia ai fauni sia ai demoni. Sant’Agostino, per esempio, scriveva «daemones, quos Dusios Galli nuncupant» (De civitate Dei, XV, 23,). Faccio notare che, in ogni caso, si sta qui parlando di entità maschili, in merito alle quali si discute delle loro possibili unioni con donne mortali. Le parole di Sant’Agostino vennero riprese, tra gli altri, da Benedetto Bonelli nel 1751, all’interno del suo Animavversioni critiche sopra il notturno congresso delle lammie, per modo di lettera indiritte ad un letterato.

Ci si chiedeva se i fauni, i dusii, gli incubi e altri ancora fossero in realtà la stessa cosa espressa con termini differenti, oppure qualcosa di effettivamente differenziato. Ci si trovava tra l’altro all’interno di una polemica che contrapponeva Bonelli al Tartarotti, per l’appunto autore di Del congresso notturno delle Lammie, nel quale intendeva smontare le credenze relative alle streghe. Non che fosse una novità assoluta, anzi. Già nel Decretum di Burcardo, vescovo di Worms, si leggeva che:

«hai forse creduto anche tu all’esistenza di una donna che la superstizione popolare chiama “strega”? Di notte, a sentire quanto van dicendo alcune indemoniate che sono sospinte a far altrettanto, questa donna, con frequenze periodiche, in compagnia di una caterva di demoni trasformati in donne, cavalca alcune bestie, tanto da essere annoverata tra la schiera degli stessi demoni. Se l’hai creduto, farai un anno di penitenza nei giorni stabiliti» (Picasso, Piana e Motta, 1986, p. 84).

Oppure, più avanti nello stesso testo: «anche tu, come alcune donne, hai creduto d’avere il potere, insieme ad altre adepte di Satana e nel silenzio di una notte tutta particolare, e malgrado le porte chiuse, di sollevarti fino alle nubi e lì combattere contro altre donne con reciproche ferite? Se vi hai creduto, due anni di penitenza nei giorni stabiliti» (Picasso, Piana e Motta, 1986, p. 101).

Si veniva quindi puniti non perché si praticava la stregoneria, ma perché si credeva a quella baggianata della stregoneria. Questo però avveniva nel medioevo, cioè – cosa che in molti tendono a dimenticare – prima che iniziasse il periodo dell’effettiva caccia alle streghe. In tal senso è allora comprensibile che, ancora a metà del 1700, ci fosse chi si combatteva a colpi di trattati e opuscoli in merito alle streghe. Detto ciò, anche il medioevo non era ovviamente monolitico, in merito a certe posizioni, per cui ci furono alternanze fra coloro che ritenevano voli notturni e sabba solo delle allucinazioni demoniache, e coloro che invece li ritenevano reali. Per una prima ed essenziale panoramica sul tema si può vedere Parri (2018, pp. 127-135). Sempre in termini generali, si ricorda che è grosso modo nella seconda metà del Quattrocento che il sabba non è più solo «un sogno ingannevole ispirato dal diavolo [perché ora si crede che] le streghe ci vanno realmente per le vie dell’aere, vi rendono omaggio a Satana e si uniscono carnalmente con lui» (Schmitt, 2004, p. 140).

Comunque sia, la questione qui non riguarda tanto le streghe, ma questi dusii e la loro eventuale parentela con satiri, ‘scimmioni’, incubi e quant’altro. C’è anche la questione della bestialità, dei rapporti con gli animali, come intuibile già da alcuni di questi termini. Perlomeno in alcuni contesti, legati soprattutto a una dimensione popolare, i rapporti coi demoni e il sabba vengono progressivamente bestializzati, ma al tempo stesso anche la bestialità viene demonizzata (Liliequist, 2006).

Vediamo anche meglio cosa fosse questo Dusios, originariamente, con le parole di Lecouteux, che ci fornisce una ricostruzione piuttosto dettagliata:

«Dusius comes from the Indo-European root *dheuos-/*dhus-, which is also that of “god” (theos, deus). In Sanskrit, the closest term to this root means “demon,” a meaning that we find likewise in the Westphalian dûs. In the early Middle Ages, dus-appeared in England in the form –tesse in the compound word haegtesse, and in that of –zussa (Old High German) in hagazussa. These two Germanic terms are feminine, and they are used to gloss “Erynies, Eumenides, Furies, Parcae, pythonesses,” and “daughters of the night.” In the thirteenth century, the term is attested in the Netherlands in the form haghedisse, which has the meaning of “witch”» (Lecouteux, 2018, edizione digitale).

Si prendono insomma semidei, spiriti silvestri e creature boschive e li si demonizza, accostandoli agli incubi, i demoni maschili che di notte farebbero visita alle donne, o ad analoghe creature femminili. Tra parentesi, ci sarebbe anche da ricordare che gli incubi latini erano un po’ diversi, ma non complichiamo ulteriormente le cose.

Vorrei partire da questo punto per porre in risalto l’oculata scelta di Marco Carrara nell’atto fondativo della dusiologia, in quanto ha saputo scegliere una figura che si pone a cavallo fra numerose tradizioni differenti, e attraverso questo sarà anche possibile comprendere meglio la questione delle elfe. Andiamo con ordine.

Si è detto che Dusios apparteneva alla tradizione celtica. Ma si è anche detto che fu ben presto inserito in discorsi cristiani riguardanti i demoni, e non solo. Sant’Agostino, nel suo già citato passaggio del De Civitate Dei, cita infatti i dusii per parlare di Genesi 6, in cui sono presenti queste entità che si uniscono alle «figlie degli uomini» (Gn 6,2). Qui si aprirebbe tutta un’ampia questione su chi o cosa fossero esattamente i «figli di Dio» che si unirono a queste donne, perché emergono giganti, angeli caduti e tanto altro, ma ci interessa sottolineare il termine nefilim (o nephilim), con cui sono identificati nella Torah. Ed è un termine su cui avremo modo di ritornare. Poi, ancora, ci sono fauni, satiri, silvani e dintorni, legati da più di un autore sia agli incubi sia ai dusii.

È per esempio il caso degli Otia Imperialia del 1214: «Siluanos et Panes, quos incubos nominant, Galli vero Dusios dicunt» (Gervasio di Tilbury, 2010, p. 256). C’è inoltre il già citato legame con il mondo demoniaco, al quale si unisce anche un’importante questione di genere: i dusii sono cioè accostati sia a figure maschili sia a figure femminili. Sebbene infatti i dusii appaiano più come degli spiriti maschili, essi sono anche accostati a strigae, lamiae, geniciales feminae e figure analoghe (Schmitt, 2004, p. 48). Un doppio legame che prosegue anche sul piano onirico, dove, «in un’ulteriore sovrapposizione di modelli culturali – l’incubo cristiano (o, piuttosto, nella sua versione femminile, la succube), ossia la figura mitologica del sogno erotico demonizzata dal cristianesimo» (Barucci, 2012, p. 116).

Più precisamente, i dusii inizialmente erano associati a quegli spiriti (demoniaci) che assumevano le sembianze dei mariti per giacere con le donne, ma in seguito si sarebbe anche visto l’accostamento con i corrispettivi femminili. A meno che non venisse concepita una qualche mostruosità, peraltro, risultava piuttosto difficile decretare con precisione l’effettivo rapporto con un incubo o con una succube (Stephens, 2001). Una polluzione notturna era semplicemente l’effetto di un sogno erotico (ispirato dal demonio, certo, ma non paragonabile a un rapporto con un demone) o testimoniava la visita di una succube? Come prova era un po’ debole.

E le elfe?

Torniamo a Gervasio di Tilbury, il quale utilizza il termine provenzale fadas, fate, nel parlare degli uomini che si congiungono con questi spiriti aerei in vario modo nominati. Uomini che vivrebbero felici, finché restano con tali fate, ma che sono anche destinati a morte prematura. Abbiamo dunque la “fata”, che qui non è tanto un’esponente del Piccolo Popolo, quanto nuovamente un qualcosa che si avvicina alla succube. Ricordiamo del resto che non esiste solo la “fata” di matrice irlandese, ma ci sono anche creature in vario modo ben più vicine alle raffigurazioni demoniache.

Ricordo per esempio quanto scritto da Cesare Catà sulle fate dei Sibillini: «se, al posto delle delicate ali leggiadre delle fairies irlandesi, troviamo nelle fate sibilliniche dei rudi, inquietanti polpacci e piedi pelosi di capra, ciò avviene perché siamo di fronte a differenti “meccanismi di condensazione” che scaturiscono, come ho detto, da diversi processi culturali. Il significato simbolico dell’archetipo della fata rimane tuttavia, al fondo, il medesimo» (2016, p. 118). Inutile sottolineare il legame dei piedi caprini con il demonio. Torniamo, però, alle succubi.

Le succubi si impossessano del seme maschile. Per cui ne impediscono la maturazione. Si parlava infatti di un «seme fecondo, cotto et bene stagionato» (Huarte, 1582, p. 352) in opposizione al seme fiacco di molti uomini maturati che «non guardano mai di maturare il seme» (ivi). Per cui immaginate il dramma, per una persona intenzionata a far maturare il proprio seme, che si trovasse improvvisamente visitato da una succube, pronta a sottrarglielo. Anche la pericolosità della succube, il suo legame con la morte, sta tutto qui, secondo le credenze che legavano lo sperma alla vita:

«Per Shakespeare e i suoi contemporanei, gli spiriti vitali di un uomo sono contenuti nel suo seme, e questo è di quantità finita, così che ogni esborso diminuisce il totale, e quindi la vita rimanente: ogni orgasmo è una piccola morte. in inglese, “morire” e “raggiungere l’orgasmo” erano racchiusi nello stesso verbo: to die» (Cattaneo, 2019, p. 250).

Ma i legami tra fate ed incubi/succubi non si fermano qui. Leggiamo per esempio che «Interestingly, in Alsace the Virgin is honored at a place that has been called Dusenbach recalling Gervase’s dusii since the thirteenth century. Dusenbach might be translated as the River (Bach in German) of the Incubi or, to use another word, fairies» (Walter, 2014, p. 138. Corsivi miei).

Ci sono sovrapposizioni di ogni sorta. Tra cristianesimo e paganesimo, ma anche tra folklore, mito e religione. Come ricordava Giuseppe Cocchiara nel suo vecchio ma sempre degno studio, il famoso Malleus Maleficarum altro non è che «la più ricca enciclopedia, che noi abbiamo intorno ai pregiudizi del secolo XV e non soltanto della Germania» (2016, p. 62). Così come satiri e fauni si mescolano con i demoni, così fanno anche le fate e le altre creature del Piccolo Popolo.

A proposito, il suddetto Malleus Maleficarum ci ricorda che « The reason why demons make themselves into incubi or succubi is not for the sake of pleasure, since a spirit does not have flesh and bones, but the strongest reason is that through the fault of debauchery they may harm the nature of both aspects of man (the body and the soul), so that humans will in this way become more inclined to all faults» (Mackay, 2009, p. 127). I demoni non lo facevano per divertimento, insomma, ma le cose sarebbero cambiate.

Nell’attuale contesto postmoderno la riproposizione dei rapporti carnali coi demoni è in molti casi differente. Non solo: le sopra citate mescolanze hanno raggiunto una nuova dimensione, ed ecco perché Marco Carrara – sapientemente – ha scelto proprio le elfe del fantasy cliché come emblema della dusiologia, sebbene una certa parte della tradizione parrebbe spingere verso altre figure, come le succubi. Questo perché è il nome stesso selezionato, il mitico Dusios con tutte le sue declinazioni, a contenere in sé questa adattabilità poliedrica e proteiforme.

Nel panorama contemporaneo ci sarebbero molti prodotti da analizzare, per il loro legame con la dusiologia. Qui ci limiteremo ad alcune considerazioni sul mondo videoludico, prendendo in analisi un caso di particolare rilevanza.

Helltaker, ovvero il manifesto della dusiologia videoludica

Parliamo subito di quello che può essere considerato il manifesto della dusiologia nei videogiochi. Si tratta di Helltaker, un breve ma significativo videogioco polacco, sviluppato da vanripper e pubblicato nel 2020. L’obiettivo di questo videogioco è quello di scendere agli inferi per creare un harem di sensuali demoniette.

Helltaker, oltre a essere gratuito e debordante di recensioni positive su Steam, offre tutti gli elementi necessari per aiutarci a definire quelle che sono le caratteristiche necessarie a un prodotto dusiologico (non solo videoludico, peraltro: avremo modo di fare almeno un paio di esempi anche esterni). Avremo modo di lanciare varie questioni che riprenderemo poi in una tabella riassuntiva, di potenziale utilità per future tassonomizzazioni dusiologiche. Alla base di tutto c’è l’opposizione tra le elfe e le diavolette, che qui ci limitiamo a citare, sia perché si sono già fatti numerosi discorsi teorici più su, sia perché è chiaro in quale ambito stiamo andando a collocarci, con Helltaker.

Prima di tutto si ha la possibilità di riflettere sulla scelta di campo tra “amore” e “sesso”. In molti casi, come sottolineò Khandaker-Kokoris (2014, p. 112) si tende a sovrapporre i videogiochi legati all’amore e quelli legati al sesso. Il che è un problema. C’è infatti il rischio di depauperare entrambe le componenti chiamate in causa (Tagliaferri, 2015), come succede nei vari giochi con una romance che culmina in un atto sessuale più o meno intravisto. Ciò avviene soprattutto quando tutto ciò è una componente aggiunta a un qualche videogioco più ampio (un GDR, per esempio).

Diversi dating sims, al contrario, sono molto più focalizzati sulla componente amorosa e hanno modo di svilupparla con maggior concretezza, generando un’attrattiva che si fa forte del fatto che, alla fine, è sicuro che si verrà amati se si faranno le giuste azioni (Isbister, 2017, p. 32). Allo stesso modo, sull’altro versante, alcuni dei videogiochi presenti su Nutaku sono molto focalizzati verso un’esperienza erotica videoludica (ma solo alcuni, altri sono un insieme di meccaniche gacha con qualche seno di contorno).

Helltaker è in tal senso interessante. Si apre con una più o meno implicita promessa erotica, legata a questo harem di demoniette. Proseguendo, ci si domanda invece se non sia la componente romantica a prevalere, alla fine di tutto. Magari – spoiler – nel finale segreto con Beelzebub. Ma in realtà, alla fine, il gioco si rivela essere qualcosa di ancora differente. Questa parabola è peraltro seguita anche dal protagonista stesso, che viene presentato come il macho palestrato e nerboruto, perennemente con gli occhiali da sole addosso, solo per ribaltare poi questa immagine. E, su questo, andiamo verso un altro punto.

In secondo luogo c’è la decostruzione ironica della mascolinità stereotipica. Il protagonista del gioco ci viene presentato come un macho che vuole solo sottomettere le diavolette per crearsi un harem, ma il finale ci mostra invece una situazione ben diversa, con il nostro eroe intento a offrire i pancakes che ha cucinato alle suddette diavolette. Il tutto dopo che queste ultime hanno scelto di seguirlo spesso per motivi totalmente opposti rispetto ai desiderata del protagonista.

Potrebbe sembrare un elemento casuale, ma è in realtà molto importante. Lo è per Marco Carrara, la massima autorità nel campo della dusiologia, considerando che in molte delle sue recenti live egli ha speso parole legate alla body positivity per gli stereotipati eroi del fantasy, che meriterebbero in tal senso più cura e attenzione, uscendo da certi frusti schemi rappresentativi di machismo alla Conan. Ma c’è anche il legame con i prodotti non videoludici.

L’esempio più importante è probabilmente Ho messo incinta la figlia di Satana di Carlton Mellick III, uno dei romanzi più rappresentativi di questo autore. Il protagonista di quest’opera incarna una figura maschile che soffre per la sua impossibilità nell’adeguarsi al modello che la società e la famiglia gli impongono. Per questo si è rifugiato lontano da entrambe le cose, costruendosi una casa di Lego e avendo come unico amico un lottatore di sumo sempre ubriaco. Eppure egli si ritrova chiamato in modo inatteso alla paternità, dopo aver ingravidato inconsapevolmente una succube, con la quale creerà una famiglia, dopo molte esitazioni e dopo aver maturato una piena consapevolezza di come sia talvolta necessario andare contro ai dettami della società, della religione e della famiglia non per chiudersi in un solipsistico isolamento (come faceva all’inizio), ma per difendere quelli che sono i valori in cui davvero si crede.

Ho messo incinta la figlia di Satana è in tal senso una delle migliori opere di Carlton Mellick III, una delle quali la componente sentimentale raggiunge la sua dimensione più profonda. Un’altra è senz’altro Stacking Doll, ma con quest’ultima ci allontaniamo dalla dusiologia. Un’ampia fetta dei racconti di Mellick è caratterizzata da un rapporto di coppia basato sulla sottomissione del protagonista (maschio e umano) nei confronti della sua compagna (femmina e non umana) (ne parlo in Toniolo, 2021). In queste due opere, invece, la sottomissione più o meno forzata viene sostituita da una accettazione reciproca e da un percorso di crescita che porta comunque lontano dai modelli di mascolinità che la società impone.

C’è però anche una differenza fondamentale tra Ho messo incinta la figlia di Satana ed Helltaker: il primo porta avanti un modello monogamico, mentre il secondo propone un contesto harem. Verrebbe da dire che Helltaker è più vicino alla produzione manga e anime che ruota intorno alle monster girls, dove la componente harem è in effetti piuttosto diffusa. E, a ben vedere, le diavolette di Helltaker si prestano piuttosto bene a essere inserite nel novero delle monster girls, considerando il loro processo di ‘moeficazione’ (Akgün, 2017). Non è tuttavia una caratteristica univoca nemmeno in tal senso. Un manga come Le mie palle – Proteggerò la mia terra? (Shigemitsu Harada, 2006-2010), per esempio, è un ottimo esponente dusiologico, nel quale però il rapporto è con una singola demonietta, che diverrà infine la moglie del protagonista.

Qui si apre allora una terza e importante questione, che riguarda la biforcazione tra “harem” e “waifu”. Non che le due dimensioni siano sempre e comunque mutualmente esclusive, ma di solito una figura che viene eletta a “waifu” è caratterizzata da un investimento affettivo univoco e selettivo, mentre nel modello “harem” si viaggia in una maggiore indeterminatezza oscillatoria. Inutile ricordare che la stessa situazione è riscontrabile anche in un differente rapporto di gender, con il cosiddetto “husbando” che si contrappone a un “harem” maschile (senza contare tutte le ulteriori declinazioni queer). Le controparti sono presenti in molti più casi di quelli che ci si aspetterebbe. Per ogni Crush Crush c’è un Blush Blush (andate a cercarli, se non li conoscete), senza contare i vari Monster Prom e simili, con una forte unione tra ragazze/i mostro e queerness.

Una quarta, fondamentale, componente è quella del sacrificio. Perlomeno quando la dusiologia appare nella sua declinazione demoniaca, c’è sempre uno scotto da pagare. Helltaker costituisce in tal senso un esempio di particolare interesse, perché trasforma questa componente in una meccanica di gioco. Trovandosi all’inferno, la volontà del protagonista si consuma rapidamente, per cui egli deve ponderare ogni sua azione, o rischia di ritrovarsi prosciugato. Questa è una perfetta trasposizione di ciò che da sempre caratterizza i rapporti con le succibi. Si è detto che le succubi sottraggono lo sperma, e che lo sperma rappresenta la vita: più esso viene consumato e più si accorcia la propria esistenza. Quale premessa migliore per impostare dei livelli che devono essere completati entro un numero definito di mosse, pena l’annientamento del protagonista?

Qualche spunto per il futuro

La dusiologia è una disciplina nuova. Per questo, può essere interessante seminare qualche spunto di riflessione che – chissà – magari qualcun altro andrà a recuperare, man mano che il sapere dusiologico andrà diffondendosi.

Ecco allora, qui di seguito, appunti sparsi e considerazioni. Oltre alla tabella con un breve sunto su quanto detto in precedenza, e che potrà essere di utilità come base di partenza per ulteriori indagini.

I seguenti punti possono combinarsi in vario modo e non sono per forza mutualmente esclusivi. Si può avere, per esempio, una storia harem all’interno della quale finisce tuttavia per emergere una singola waifu. Allo stesso modo, le colonne sottostanti non sono da intendersi come abbinamenti preferenziali. Si tratta semplicemente di andare a visualizzare le principali suddivisioni.

Tabella riassuntiva

Detto questo, vediamo che altro si potrebbe fare, a proposito della dusiologia videoludica.

C’è in primo luogo da considerare maggiormente le elfe, tramite lo studio di videogiochi come Aisling and the Tavern of Elves.

In secondo luogo sarebbe utile un ampio e accurato studio sulle meccaniche di gioco, su come esse vadano a tradurre in forme coerenti di gameplay quelli che sono i principi della dusiologia. Abbiamo avuto modo di fare un breve esempio, a proposito di Helltaker, con la volontà consumata. Si può e si deve tuttavia estendere il discorso in futuro.

Vale anche la pena ricordare che esistono videogiochi che solo per una parte del loro contenuto rientrano in una prospettiva dusiologica. Un esempio è Mirror di Kagami Works, un misto tra un match 3 e un dating sim erotico. Un po’ come Huniepop, giusto per capirsi. La parte del gioco legata all’elfa oscura ha per certo una forte componente di dusiologia, ma il resto del gioco se ne discosta.

Ci sono poi videogiochi che hanno un potenziale implicito di dusiologia. Come la serie Diablo. Nel libro di Cain si legge dell’amore tra l’angelo Inarius e la demoniessa Lilith (la figlia di Mephisto). Dall’unione di angeli e demoni come loro sarebbero nati i nefilim (ve li ricordate? Li abbiamo citati in precedenza).

Ci sarebbe, infine, da compiere una mappatura di tutte le presenze minori di succubi, demoniesse e simili che compaiono nei videogiochi, visto che tanti prodotti soprattutto fantasy le presentano come nemici. Prendo un singolo esempio di un videogioco poco noto: Rage of Mages 2.

Bibliografia

Akgün Buket, Mythology moe-ified: classical witches, warriors, and monsters in Japanese manga, «Journal of Graphic Novels and Comics», 11(3), 2017, pp. 271-284.

Barucci Guglielmo, Simile a quel che talvolta si sogna: i sogni del Purgatorio dantesco, Le Lettere, Firenze 2012.

Bonelli Benedetto, Animavversioni critiche sopra il notturno congresso delle lammie, per modo di lettera indiritte ad un letterato, Simone Occhi, Venezia 1751.

Catà Cesare, Filosofia del fantastico. Escursione tra i monti sibillini e l’Irlanda sul concetto di fantasia. Seconda edizione riveduta, Il Cerchio, Rimini 2016.

Cattaneo Arturo, Shakespeare e l’amore, Einaudi, Torino 2019.

Cocchiara Giuseppe, Storia del folklore in Europa, Bollati Boringhieri, Torino 2016 (1952).

Gervasio di Tilbury, Otia imperialia. Libro III. Le meraviglie del mondo, Fortunata Latella (a cura di), Carocci, Roma 2010.

Huarte Juan, Essame de gl’ingeni degli huomini per apprender le Scienze, Camillo Camilli, Venezia 1582.

Isbister Katherine, How Games Move Us. Emotion by Design, MIT Press, Cambridge 2017.

Khandaker-Kokoris Mitu, NPCs Need Love Too: Simulating Love and Romance, from a Game Design Perspective, in Jessica Enevold ed Esther Maccallum-Stewart (a cura di), Game Love. Essays on Play and Affection, McFarland, Jefferson 2015, pp. 111-124.

Lecouteux Claude, The Hidden History of Elves and Dwarfs: Avatars of Invisible Realms, translated by Jon E. Graham, Inner Traditions, Rochester, 2018.

Liliequist Jonas, Sexual Encounters with Spirits and Demons in Early Modern Sweden: Popular and Learned Concepts in Conflict and Interaction, in Gabor Klaniczay e Eva Pocs (a cura di), Christian Demonology and Popular Mythology, Central European University Press, 2006, pp. 152-169.

Mackay Christopher, The Hammer of Witches. A Complete Translation of the Malleus Maleficarum, Cambridge University Press, Cambridge 2009.

Parri Ilaria, La magia nel Medioevo, Carocci, Roma 2018.

Picasso Giorgio, Piana Giannino, Motta Giuseppe (a cura di), A pane e acqua. Peccati e penitenze nel Medioevo, Europia, Novara 1986.

Schmitt Jean-Claude, Medioevo «superstizioso», trad. it. di Maria Garin, Laterza, Roma-Bari 2004.

Stephens Walter, Incredible Sex: Witches, Demons, and Giants in the Early Modern Imagination, in Jewell Keala (a cura di), Monsters in the Italian Literary Imagination, Wayne State University Press, 2001, pp. 153-176.

Tagliaferri Simone, La rappresentazione del sesso all’interno dei videogiochi, in Luca Papale e Francesco Alinovi (a cura di), VirtualErotico. Sesso, pornografia ed erotismo nei videogiochi, Unicopli, Milano 2015, pp. 129-152.

Tartarotti Girolamo, Del congresso notturno delle Lammie, A spese di Giambatista Pasquali, Libraro e Stampatore in Venezia, 1749.

Toniolo Francesco, Cacciatrici, amanti, antropofaghe: le figure femminili in Carlton Mellick III, «Polythesis. Filologia, interpretazione e teoria della letteratura», 2, pp. 41-56. Presente nella pagina delle pubblicazioni qui sul sito.

Walter Philippe, Christian Mythology: Revelations of Pagan Origins, translated by Jon E. Graham, Inner Tradition, Rochester, 2014.

Lady Dimitrescu: fenomenologia di una vampira

Alcina Dimitrescu. La ‘vampirona’ di Resident Evil Village che ha attirato l’attenzione di tutti fin dalla sua prima comparsa. Un personaggio atipico, sicuramente, su cui permangono pareri contrastanti. La sua presenza è solo una commercialata irrispettosa per la tradizione horror? Il mondo è impazzito e Resident Evil Village riscontra un successo clamoroso solo per Lady Dimitrescu? Oppure, in realtà, c’è dietro qualcosa di più?

La seguente riflessione è nata in seguito alla lettura di differenti articoli, tutti più o meno incentrati sull’improvvisa ‘dimitrescumania’ e che cercavano in qualche modo di fornire spiegazioni. Queste ultime si rivelavano però più dichiarate nel titolo (con tutte le varianti del “ecco perché internet impazzisce per la vampira gigante”) che effettivamente spiegate. A parte qualche cenno all’immaginario da “mistress” che potrebbe evocare Alcina Dimitrescu, quel che ho trovato sono più constatazioni che spiegazioni.

Che siano emersi numerosi contenuti memetici su di lei è una conseguenza di qualche altra cosa, non è il motivo del suo successo. Bisognerebbe, semmai, ragionare su quali sono le caratteristiche che la rendono un personaggio agevolmente memetico. L’immaginario sadomaso e le fantasie di sottomissione possono essere uno spunto, in tal senso, ma da sole non bastano. Altrimenti Nana e Kaoru sarebbe il manga più letto e più memificato del pianeta.

Di seguito si parlerà di vampiri, ma anche di fiabe, di orchi e principesse, di monster girls, di viralità e, non da ultimo, di ciò che caratterizzava i primi Resident Evil.

Sembra ovvio da dire, ma seguiranno spoiler, per cui leggete consapevolmente.

Piccolo aggiornamento: il 31 maggio 2021 è stato pubblicato su Everyeye.it il seguente articolo: Alcina Dimitrescu di RE Village: la performance e l’interesse dei fan. Al suo interno ho idealmente proseguito il discorso fatto qui, per cui leggete anche quello per una panoramica più ampia.

Alcina Dimitrescu in "Play in Bio Village"

Essere o non essere vampiri?

Fin dalla sua prima comparsa, Lady Dimitrescu ha sollevato diversi quesiti sulla sua natura. È una vampira? Oppure no? E, se non è una vampira, che cosa sarebbe?

La risposta più semplice, che però di certo deluderebbe chiunque, sarebbe dire che Alcina Dimitrescu è una B.O.W. (Bio Organic Weapon) al pari del 99% dei nemici di Resident Evil. Non è una risposta sbagliata: è una normalissima donna trasformata in un’arma vivente. Si potrebbe poi cavillare sul fatto che le uniche B.O.W. propriamente dette siano quelle sviluppate dall’Umbrella Corporation, ma la sostanza non cambia. Anche perché, in ogni caso, è una risposta del tutto insoddisfacente.

Un’altra, semplicissima ma poco soddisfacente risposta, sarebbe questa: nella serie di corti Play in Bio Village Lady Dimitrescu è presentata come un vampiro (吸血鬼). O meglio, viene presentata come tale la sua marionetta, chiamata Domioneesan, in questa sorta di parodia di uno show per bambini. Per cui qualche dubbio potrebbe restare.

È bene anche ricordare cosa abbiano detto i creatori del gioco, a proposito delle fonti di ispirazione di maggior rilievo per questo personaggio. Come è possibile leggere su IGN, «Takano began with the concept of a “bewitching vampire,” and says they drew inspiration from figures like famed 16th-century Hungarian noblewoman and serial killer Elizabeth Báthory, the Japanese urban legend Hashaku-sama, and Anjelica Huston’s Morticia Addams» (Kim, 2021).

A parlare è Tomonori Takano, l’art director di Resident Evil Village. Poco prima, nello stesso articolo, è possibile leggere che erano partiti con un generico concept da castello dei vampiri, ma volevano evitare le solite rappresentazioni di questi mostri.

Il vampiro come punto di partenza c’è, insomma, sebbene se ne si voglia discostare. Ma qui emerge già il primo elemento al quale occorre prestare molta attenzione: da quale versione del vampiro ci si sta discostando? Da quella mainstream, ovvero da quel vampiro fortemente tipizzato che è saltato fuori con Bram Stoker e, soprattutto, tutti i film e i prodotti culturali sul Dracula di Stoker. Perché anche qui ci sarebbero già parecchie differenze.

Ora, diversi articoli si sono affrettati a dare un verdetto negativo, sulla ‘vampiritudine’ di Alcina Dimitrescu, semplicemente perché non segue i basilari e condivisi canoni post-stokeriani. Alcina si riflette negli specchi. Non teme la luce del sole (le sue figlie temono il freddo, ma non è un tratto particolarmente vampirico, anzi). Non ha bisogno di dormire in una bara e/o in un particolare tipo di terreno. Quasi sicuramente ignora croci, aglio, acqua santa e tutto il corredo di oggetti apotropaici e benedetti. Non dovrebbe avere nessun problema nell’attraversare corsi d’acqua (altrimenti non avrebbe senso il fiumiciattolo davanti all’entrata del suo castello). Si potrebbe avere qualche dubbio sulla sua capacità o meno di entrare nelle case altrui (un vampiro può farlo solo se esplicitamente invitato), ma è più probabile che abbia difficoltà per la bassezza delle porte, che non per insormontabili limitazioni di carattere interno.

È un discreto elenco. C’è chi ha ‘bocciato’ Alcina Dimitrescu come vampira con molto meno. Ma la faccenda è un po’ più complicata di così.

Per cominciare, non esiste solo il vampiro stokeriano. E non si sta parlando di cose come i vampiri di Twilight: sono sempre derivazioni di quel modello lì, che viene semplicemente reso più amichevole, glitterato e belloccio.

Si parla dei vampiri pre-stokeriani e di gran lunga antecedenti (per cui non Carmilla di Le Fanu, che arrivò poco prima). Bisognerebbe fare una verifica anche su di loro, per vedere se possano condividere una qualche parentela con Alcina Dimitrescu.

Il libro di Tommaso Braccini (2011) ne elenca parecchi, precisando anche come non sempre sia agevole isolare i vampiri da altre forme di non morti. Vale la pena inventariarne alcuni.

C’è in primo luogo tutta un’ampia sequela di legami fra eretici e morti irrequieti. Come il caso del tympaniaios, che letteralmente significa “gonfio come un tamburo”: cadaveri dal ventre rigonfio, che si troverebbero in questo stato a causa della scomunica e che sono temuti dalla popolazione locale. Decisamente non è il caso di Alcina Dimitrescu, sebbene i solerti artisti di DeviantArt l’abbiano rappresentata anche più volte con una pancia prominente, sulla scia di più di un feticismo. Ma nulla di lontanamente canonico. È anche interessante sottolineare come una delle possibili origini etimologiche proposte per il termine vampiro sia proprio in un gruppo di termini che indicano il pancione delle persone obese. Sarebbe un ottimo spunto, se si stesse parlando del Duca.

Segue lo stoicheio, il morto guardiano. Una persona sacrificata e sepolta nelle fondamenta di un edificio, di cui diviene il custode. Anche qui, il parallelismo non è certo ottimale. Si potrebbe dire che Alcina sia la guardiana del castello, ma non è stata certo creata da Madre Miranda con un simile scopo. Sarebbe stato un what if interessante, se Madre Miranda avesse creato ciascuno dei Lord come custode di un posto. E magari avrebbero lottato fra loro come facevano, durante le notti, gli stoicheia guardiani di chiese rivali (Braccini, 2011: p. 109). Ma, appunto, è solo un what if che nulla ha a che vedere con Resident Evil Village. Chi cercasse una applicazione contemporanea di un concetto analogo potrebbe ben più utilmente leggere Eternal War di Livio Gambarini, con i suoi spiriti guardiani di famiglie e luoghi in continua lotta.

E che dire del lampasma, il non morto che si trasforma in fuoco fatuo? Qui ci si ricollega un po’ alla tradizione stokeriana, visto che i fuochi fatui appaiono all’inizio di Dracula. «Una volta la fiamma è apparsa così vicina alla strada che anche nell’oscurità che ci circondava ho potuto scorgere i movimenti del cocchiere. Si è diretto rapidamente verso il punto in cui si levava la fiamma azzurra – doveva essere molto fioca, perché non mi pareva che lo spazio intorno ne fosse illuminato – e raccogliendo alcune pietre, le ha disposte in un certo modo» (Stoker, 2004: p. 12). Ma in ogni caso si rimane ben lontani da Lady Dimitrescu. Anche altri termini, come l’anakaithoumenos (il morto trovato seduto) sono da scartare.

C’è tuttavia almeno una considerazione degna di nota a proposito del vrykolakas e di tutte le sue varianti (vurvolak, vr’kolak, ecc.). Le storie sui vrykolakes – sottolinea sempre Braccini – sembrano i classici racconti di lupi mannari, di quelli che risalgono fino al Satyricon di Petronio e ancor prima. C’è una connessione, fra queste due figure. E ben prima che arrivassero Underworld e i giochi di ruolo.

«In molti casi, pare che tra le due entità vi sia una sorta di stretta affinità. Nella regione greca dell’Elide, ad esempio, si riteneva che si trasformassero in vrykolakes coloro che avevano mangiato la carne di una pecora uccisa da un lupo […]; presso gli Slavi, inoltre, era opinione comune che coloro che in vita erano stati lupi mannari, dopo la morte divenissero vampiri […]. In Ucraina si pensava che il vampiro fosse il frutto dell’empia unione di una strega con un lupo mannaro […] e in Montenegro si credeva che ogni vampiro fosse obbligato a trasformarsi periodicamente in lupo» (Braccini, 2011: p. 113).

Qui si può perlomeno aprire un ragionamento. Lo stesso trattamento che ha trasformato numerose persone in dei lycan ha reso Alcina Dimitrescu la ‘vampira’ che è. Per cui c’è anche qui l’affinità di cui parla Braccini.  È sufficiente una cosa del genere per attribuirle lo statuto di vampira? Decisamente no, ma tutto ciò consente di recuperare pure la tradizione stokeriana, dove era altresì presente questo nesso fra vampiri e lupi. A cominciare da quella frase del Conte Dracula, divenuta giustamente nota: «mentre ero tutto intento ad ascoltare, mi è parso di udire giù nella valle l’ululato di molti lupi. Gli occhi del Conte scintillavano mentre diceva: “Ascoltateli – i figli della notte. Ascoltate la loro musica!“» (Stoker, 2004: 17). Un apprezzamento che si rivela anche un controllo sulla specie e una capacità metamorfica.

Si è a un punto morto. Ad accomunare i vampiri e Lady Dimitrescu sembrerebbero esserci solo l’ematofagia, un generico legame con i mannari e una dimora ‘vampiresca’. E nemmeno l’ematofagia è un argomento solido. Vi sono vampiri pre-stokeriani poco o nulla interessati a nutrirsi di sangue umano, e ci sono al tempo stesso creature ematofaghe che non c’entrano nulla coi vampiri. E giusto per non farsi mancare nulla, in termini di complicazione, le descrizioni di Alcina Dimitrescu dicono che lei si nutre anche di carne umana. Il che è assai poco vampiresco.

A fronte di questo guazzabuglio, molti hanno trovato rifugio e conforto nell’altra creatura citata da Takano, la Hashaku-sama. Sentenziando, così, che la faccenda è risolta: Lady Dimitrescu non è una vampira, è una rivisitazione dell’Hashaku-sama.

Ma anche in questo caso la situazione è un po’ più elaborata.

Hachishaku-Sama, o Hashaku-sama (sarebbe Hasshaku-sama, in verità, ma non so se la variante con una S sola dell’articolo di IGN sia un errore o una alternativa ugualmente valida, seppur minoritaria). Nasce da una leggenda urbana originariamente apparsa su Futaba Channel (o 2chan che dir si voglia), in cui si parla di una donna alta più di due metri. Una donna che solitamente indossa un lungo abito bianco e un cappello a tesa larga. Il che conferma la – peraltro dichiarata – ispirazione, ma non risolve il quesito: Alcina Dimitrescu è una Hasshaku-sama? È la stessa questione che si è posta sopra: è pacifico che nello studio del suo personaggio ci si sia ispirati ai vampiri, ma ci si trova poi in dubbio nel doverla definire una vampira oppure no.

La Hachishaku-Sama è un fantasma. In mancanza di una tradizione strutturata intorno alla sua figura è difficile darle una collocazione esatta, ma potrebbe essere inseribile nel novero delle onryō, i fantasmi vendicativi, quasi sempre femminili. I due esponenti probabilmente più noti sono Sadako di Ringu e Kayako di Ju-on, ben note anche al di fuori del Giappone grazie ai remake occidentali delle pellicole (su tali adattamenti si rimanda a Marak, 2015). Anche escludendola dalle onryō, la Hachishaku-Sama è sostanzialmente un fantasma stalker: osserva a lungo le persone che ucciderà, possono passare giorni, se non mesi, prima che faccia una mossa. E nel frattempo osserva il malcapitato e mormora un inquietante “po-po-po-po”. Non è un caso che sia considerata una sorta di Slender Man giapponese. Entrambi i personaggi sono materiale da creepypasta e sono due alti stalker.

Ci si sta allontanando parecchio da Lady Dimitrescu. Oltre a non essere una presenza fantasmatica, Alcina non ha nemmeno questa natura di osservatrice silenziosa. Quando vede Ethan inizia a inseguirlo, non resta a osservarlo da lontano. E, per dovere di cronaca, va anche detto che sono molte più le situazioni in cui è lei a essere osservata da Ethan (e dal giocatore).

C’è anche chi ricollega la Hachishaku-Sama a uno yōkai di ben più antica tradizione, la Taka-onna, una donna capace di allungare le gambe, che ama spiare dentro le case, soprattutto nei quartieri di piacere. Una donna brutta e con gambe lunghissime che spia i rapporti amorosi altrui e sottrae le energie sessuali degli uomini. Non è proprio una descrizione calzante, per Lady Dimitrescu, nemmeno nelle sue innumerevoli declinazioni fanmade da mistress.

Scartando anche la Hachishaku-Sama, allora, bisogna uscire al di fuori dai riferimenti indicati da Takano. Le altre due fonti di ispirazione che cita, Morticia Addams ed Elizabeth Báthory sono due esseri umani e non aiutano in questa etichettatura di Alcina Dimitrescu.

Si può provare con altre creature. Ci sono le lamie, per esempio. Non quelle oggi comunemente intese, creature metà donna e metà serpente, ma le lamie come «donne molto belle, alte, dalle forme avvenenti. Spesso stanno in agguato vicino a ruscelli o fontane, pettinandosi i lunghi capelli biondi. Solo avvicinandosi si può scoprire che i loro piedi non sono umani. […] In un racconto proveniente da Zacinto la lamia, quasi come una sorta di orco, scegli gli uomini più grassi e li arrostisce nel forno della sua casa» (Braccini, 2012: posizione Kindle 770-776).

Bella, alta e delle forme avvenenti, che brama non solo il sangue ma anche la carne umana. fin qui è una perfetta descrizione di Lady Dimitrescu. C’è il dettaglio dei capelli biondi, ma potrebbe essere un elemento accessorio. I piedi sono un problema maggiore. È difficile immaginare Alcina con «piedi di bronzo [oppure] zampe di animale, per esempio di bue, di asino, di capra» (Ivi). Così come è difficile figurarsela mentre irretisce gli uomini che attingono l’acqua alla fonte sotto il sole di mezzogiorno.

E se Alcina fosse un’orchessa? Ora, se si hanno in mente la moglie di Shrek e gli Orki di Warhammer una simile idea suona fin da subito insensata, ma bisognerebbe provare a pensarla come orchessa fiabesca.

Si può nuovamente prendere Braccini (2013) come guida, in questo tentativo definitorio. Il che non è semplice, perché significa gettarsi in un ginepraio ben peggiore rispetto ai vampiri: «se dunque risulta subito chiaro ciò che l’orco fa […], è invece molto più difficile capire quel che l’orco è. Per quanto spesso, soprattutto nelle fiabe, presenti tratti sovrumani (è gigantesco, ha un fiuto acutissimo che gli permette infallibilmente di percepire la presenza di “cristiani”), non sempre ne presenta anche di soprannaturali; persino l’aspetto fisico è abbastanza nebuloso» (Ibid, p. 18).

Alcuni elementi vanno subito nella direzione giusta. Il gigantismo dell’orco, il suo desiderio di carne e sangue, ma anche la sua ricchezza (tanti orchi vivono in bellissimi palazzi, o comunque nascondono tesori). E c’è pure la dabbenaggine. Forse Alcina Dimitrescu è una donna di fino intelletto, ma nel suo scontro con Ethan non si dimostra proprio brillante. Sembra lo schema di base delle fiabe della tipologia I bambini e l’orco: «un bambino viene rapito dall’antropofago, feroce ma stupido, che lo vuole portare a casa per mangiarlo; la preda riesce ad evadere e, approfittando della dabbenaggine del predatore, lo fa morire» (Ivi, p. 135).

Immaginando Ethan come il “bambino” della situazione, la descrizione è calzante. Alcina e le sue figlie, accecate dall’ira e superficiali, vengono eliminate una dopo l’altra nonostante la loro superiorità fisica. E c’è anche un’ampia tradizione di orchi che muoiono precipitando da tetti, torrioni e simili. Ethan sconfigge l’orchessa che voleva mangiarlo e prende il suo tesoro.

È la genericità stessa dell’orco ad aiutare, in questo senso, nel tentare una sua applicazione alla Lady. L’orco è un’entità generica, con molti ‘parenti’ fra altri spauracchi per bambini. Per esempio la Befana, che una volta non era una cara vecchina, ma una creatura temibile, che poteva bucherellare e tagliuzzare (tornano alla mente gli artigli di Lady Dimitrescu?) i bambini, o anche mangiarseli (su questo si veda sempre Braccini, 2013, ma anche Baldini e Bellosi, 2012).

Ci sono però anche dei problemi. Orchi e orchesse sono noti per la loro bruttezza, sono trasandati, possono anche essere ricchissimi ma appaiono malvestiti e grezzi. Alcina Dimitrescu è invece una signora piacente, ben vestita, raffinata e composta anche nella sua collera. E non ha nemmeno la decrepita vecchiezza delle varie Befane. Anche il suo olfatto deve essere assai poco orchesco, perché altrimenti saprebbe sempre che il ‘cristianuccio’ Ethan è vicino a lei.

Tassonomicamente, allora, anche parlare di un’orchessa non è il massimo. E forse alla fine la soluzione migliore resta proprio quella di definirla una vampira. Una vampira gigante, per di più, il che la rende duplicemente non umana. Riesumando le argomentazioni di Benedetto Varchi (1560) e in particolare Se i Giganti si trovarono mai, o si truovano hoggi in luogo alcuno, sulla scorta di illustri auctoritates del passato egli disse che per umani e animali ci sono delle grandezze stabilite. Per cui, prosegue il Varchi, se mai in passato vi furono dei giganti, questi non dovevano essere umani, poiché la ‘soglia’ di altezza di questi ultimi è poco sopra i due metri.

Tuttavia, se ci si sposta dal “cos’è” al “cosa fa”, la categoria dell’orco è invece indicativa del suo ruolo. Soprattutto in una prospettiva fiabesca, un territorio che per tradizione appartiene ben più a orchi e giganti che ai vampiri.

Quella fiaba di Resident Evil Village

Resident Evil Village è una fiaba. Lo dichiara il videogioco stesso, in maniera assai didascalica, al suo avvio, con la fiaba che viene letta alla piccola Rose. Al suo interno è contenuta la prefigurazione dei cinque boss del gioco: Alcina Dimitrescu, Donna Beneviento, Salvatore Moreau, Karl Heisenberg e Madre Miranda. Al pari della fiaba Village of Shadows, la storia del gioco è temporalmente collocata solo per la tecnologia che utilizzano i personaggi, ma nel suo andamento e nella sua struttura è un qualcosa che rimane al di fuori di un cronotopo definito.

«Lontano lontano, all’estremità del mondo, al di là delle Montagne dei Sette Cani, c’era una volta un re…, oppure Alla fine del mondo, dove il mondo termina con una palizzata, oppure Nel tempo in cui Dio camminava ancora sulla terra… Vi sono molti modi poetici per esprimere questo “nessun luogo” o questo “c’era una volta” che ora, seguendo Mircea Eliade, molti studiosi di mitologia chiamano l’illud tempus, questa eternità e assenza di tempo, quest’ora e sempre» (Von Franz, 2018b: p. 35). Certo, il paesaggio di Resident Evil Village è un po’ più definito di così, ma anche questo non è un elemento di particolare stupore: nella fiaba contemporanea c’è stata una progressiva sofisticazione della componente paesaggistica (Cambi, 2006: p. 19). Per cui, se si considera questo videogioco una fiaba contemporanea, si è perfettamente in linea.

È il regno del “c’era una volta” ed è con quest’ottica che bisognerebbe approcciarsi ai vari incontri del gioco. Ponendo così la questione, tuttavia, si ha la solita dichiarazione di intenti: si dice che Resident Evil Village è una fiaba, perché appare così, ma nessuno va poi a dire perché sia una fiaba. E non è sufficiente che inizi con la disneyana apertura di un libro (e si chiuda allo stesso modo) per poterla definire tale.

Considerando il tema dell’articolo, si prenderà come caso particolare l’avventura di Ethan a castel Dimitrescu, ma sono prima necessarie alcune premesse, che possono essere introdotte già parlando del videogioco in questione.

All’inizio del gioco c’è Mia (in realtà non è lei, ma lo si scoprirà solo molto più avanti) che legge una fiaba intitolata Village of Shadows alla piccola Rose. Ethan è dubbioso, riguardo alla scelta, pensa che sia una storia troppo spaventosa per una bambina. E nel dire ciò ha al tempo stesso torto e ragione, a proposito di quella che è una grande verità delle fiabe. Esse non sono destinate ai bambini. Non nascono come tali: «fin verso al XVII secolo le fiabe non erano riservate ai bambini, ma venivano raccontate e ascoltate dagli adulti dei ceti popolari, da boscaioli e contadini» (Von Franz, 2018a: p. 16).

Per cui sì, prendere una fiaba che non sia stata edulcorata e ‘disneyficata’ significa gestire del materiale narrativo che ascoltavano anche gli adulti. L’errore è quello di evitare la paura. Una fiaba dovrebbe essere uno strumento per riconoscere le proprie paure e capire come gestirle, ma trovandosele davanti con chiarezza. Perché «le persone che non hanno paura non sono persone responsabili, perché la paura è parte integrante della vita» (Denti, 2007: p. 243).

La fiaba che Mia sta leggendo è un po’ particolare negli incontri, ma non nella sua struttura. I donatori e i rispettivi doni sono atipici, ma il loro numero è in linea con molte fiabe: sono tre. I doni, così come le prove, tendono a seguire questo numero qui. E infatti le deviazioni sono motivo di sottolineatura, come faceva qui von Franz, a proposito di una fiaba: «quattro compiti: il tipico numero della totalità! Per chi conosce il mondo della fiaba, ciò apparirà inconsueto, poiché in genere i compiti sono tre. Tuttavia vi è sempre un quarto elemento, ma si tratta di un evento e non di un compito» (2018a: p. 46).

In questo, Village of Shadows è alquanto canonico: ci sono tre doni seguiti da un evento, cioè l’incontro col cavallo meccanico. E anche nell’avventura Karl Heisenberg, il quarto lord, mostrerà un approccio piuttosto diverso dagli altri. In quel caso egli sarà l’unico donatore spontaneo del suo “dono”, mentre gli altri tre lord lo difenderanno strenuamente. Il che è comprensibile, visto che Ethan non è il protagonista della fiaba Village of Shadows. È il protagonista di un’altra fiaba, che inizia con il suo risveglio nel bosco. In quel momento è entrato in una dimensione ‘altra’ e fiabesca. Se, alla fine del gioco, si fosse risvegliato in poltrona, scoprendo di aver sognato tutto, sarebbe stato un finale disgustosamente deludente, ma avrebbe avuto perfettamente senso.

Fatte queste premesse, cosa accomuna il viaggio di Ethan alle fiabe? Moltissimi elementi, alcuni dei quali totalmente ignorati. Come la perdita del mignolo sinistro: «nel racconto di fate accade molto sovente che l’eroe perda un dito nella capannuccia, e precisamente il mignolo della mano sinistra» (Propp, 2017: p. 146). E poco dopo parla anche di mani mozzate che ricrescono. I maltrattamenti subiti dalle mani di Ethan Winters sono divenuti ormai proverbiali, ma sono anche un segno iniziatico.

E la perdita del dito (anzi, delle due dita) non è che il primo passo. Il primo luogo verso cui si dirige, dopo l’esplorazione del villaggio, è castel Dimitrescu. Va incontro alla sua prima prova, ma anche all’unico suo vero aiutante: il Duca. Il grasso mercante ha qualcosa del «Mangione», una tipologia ricorrente di compagni dell’eroe (Propp, 2017, p. 507). Lo si incontra appena fuori dal castello. Che, come ogni castello che si rispetti, «è ben profilato sul colle, ben tagliato contro lo sfondo del cielo, su di un villaggio di case addossate alle pendici. Ogni iniziativa deve muovere di lassù, mentre nel paese tutti sono impotenti. Nessuno vede o ode quelli del castello, mentre nel castello si sa tutto quello che in paese si dice e si fa» (Mordini, 2007: p. 39).

Castel Dimitrescu è ricco di eventi fiabeschi. Alcuni diretti e alcuni capovolti. Un esempio di capovolgimento è il motivo della principessa reclusa che viene però raggiunta e ingravidata da uno spiffero di vento (Propp, 2017: p. 67), che ha qui come corrispettivo la fine delle tre ‘principessine’, le figlie di Alcina, impossibilitate a uscire e uccise dal gelido vento esterno.

La stessa Alcina, in una fiaba nemmeno troppo differente da questa, potrebbe benissimo passare da orchessa a principessa. Restando esattamente com’è. È un’affermazione che suonerebbe un po’ strana, se si hanno in mente solo le storie Disney, ma le fiabe sono ricolme di principesse assassine. La principessa è «un essere insidioso, vendicativo e malvagio, sempre pronto a uccidere, ad annegare, a storpiare, a derubare il fidanzato, e il compito essenziale dell’eroe […] consiste nel domarla» (Propp, 2017: p. 475). La sua malvagità non sarebbe in contraddizione col ruolo di principessa, e nemmeno la sua natura inumana.

Fiabe con un/a promesso/a sposo/a mostruosi e pericolosissimi abbondano. Come Re Lindworm (o Principe Lindworm), con un orribile drago che chiede in sposa fanciulle bellissime, ma la notte le divora. Quando però è il turno dell’eroina, lei indossa dieci camicie, e ogni volta che se ne toglie una chiede al drago di rimuovere uno strato della sua pelle. Quando il drago è ridotto a una massa sanguinolenta lei lo percuote con rami di nocciolo, lo immerge nel latte dolce, lo avvolge nelle nove camicie e si addormenta stringendolo a sé. Al risveglio è abbracciata a un bellissimo principe, libero dal maleficio che lo aveva colpito. Una “storia di redenzione” come ce ne sono tante, nelle fiabe, in cui «questa parola si riferisce in particolare alla condizione in cui qualcuno che è stato maledetto o è caduto vittima di un incantesimo, mediante determinati eventi, viene, per così dire, ‘liberato’; si tratta quindi di un concetto assai differente da quello cristiano» (Von Franz, 2004). Redenzione del principe/principessa, ma anche dell’eroe/eroina che devono averci a che fare.

L’ultimo esempio che è stato appena fatto ha un drago, maschio, ma ci sono anche diverse dragon maidens, nelle fiabe, nella letteratura medievale e altrove. « The dragon maiden is a woman who has been transformed into a dragon or serpentine creature, predominantly against her will. She sometimes takes on the form of a dragon or serpent entirely, with small details such as eyes or lips revealing her humanity, but also at times has the form of a dragon or serpent from the waist down, whilst her upper half remains human. She is, therefore, an animal-human hybrid monster» (Zeldenrust, 2011: p. 7). O anche: «Among the different traditions one may observe a constant pattern: a princess is turned into a serpentine or draconic creature by a sorcerer, waiting for the knight’s kiss to be disenchanted (Quarti, 2015: p. 69).

Ora, che la trasformazione finale di Lady Dimitrescu somigli a un drago (per quanto un drago in linea con Resident Evil, è chiaro) è evidente. Non diviene un pipistrello gigante o qualche altra cosa vampiresca: diventa un drago. Ma il dettaglio del busto umanoide che continua a spuntare dalla sua schiena è anche più significativo, alla luce di quanto si è appena detto coi testi citati. C’è anche la maledizione materna (di Madre Miranda) da spezzare. Sarebbero serviti davvero pochi elementi divergenti per trasformare l’andamento di tutta la storia. In particolare se ci fosse stato un eroe differente e, al posto di Ethan Winters, marito fedele, fosse giunto a castel Dimitrescu un qualche ‘principe’ desideroso di trovare la ‘principessa’ sotto alle pelli del ‘drago’.

Non è stato così, ovviamente, e Lady Dimitrescu è l’orchessa della situazione. In quanto tale, come tutti gli orchi fiabeschi che si rispettino, è indegna di redenzione. È il guardiano della soglia che l’eroe deve sconfiggere per prendersi il tesoro che custodisce. Lei e gli altri lord sono i ‘garanti’ del percorso eroico di Ethan Winters, ne scandiscono le tappe. Solo sconfiggendoli tutti quanti egli può dirsi degno di poter affrontare Miranda e salvare Rose.

Questo, in fondo ozioso, gioco di ipotesi ha però rivelato quella che è la prima e più importante caratteristica del successo di Lady Dimitrescu.

Basta cambiare pochissimi elementi per modificare di volta in volta il suo ruolo.

Qui lo si è volutamente fatto cominciando con un esempio poco o nulla frequentato, a livello discorsivo, ma è applicabilissimo a tutto ciò che ruota intorno a Lady Dimitrescu.

Un altro esempio non comune: basta pochissimo per trasformare lei e gli altri lord nei classici generali d’armata che si vedono nelle storie fantasy giapponesi. Come il manga Dai – La grande avventura o il videogioco Final Fantasy IV (azzarderei anche i seguenti abbinamenti: Scarmiglione/Beneviento, Cagnazzo/Moreau, Barbariccia/Dimitrescu e Rubicante/Heisenberg). La loro riunione in presenza di Madre Miranda, quando dibattono sul destino di Ethan, evoca con potenza quell’immaginario lì, coi suoi conciliaboli di assurdi e grotteschi generali del male, uno più bizzarro dell’altro.

Naturalmente non ci si è mossi tanto in simili direzioni. Ciò che il fandom ha prodotto sono in larga misura feticizzazioni e sessualizzazioni di Alcina Dimitrescu. Ma anche qui è interessante osservare meglio il fenomeno.

La perfetta monster girl

Elegante, bellissima e mostruosa.

Lady Alcina Dimitrescu sarebbe perfetta per una qualsiasi storia a base di monster girls.

Si parla di monster girls principalmente a proposito di manga e anime erotici (talvolta esplicitamente pornografici) che ruotano attorno alla presenza di ragazze-mostro. Il loro statuto non è di semplicissima definizione (ne avevo parlato in Toniolo, 2017, per chi fosse interessato ad approfondire), ma si possono impostare alcuni parametri. Queste monster girls devono essere sufficientemente umane e belle da risultare sensuali, il che esclude tutte le mostruosità femminee prodotte, per esempio, da Junji Itō. Ma al tempo stesso devono avere caratteristiche mostruose ben identificabili, e che risultino sfruttabili come pretesto per mettere in campo numerose variazioni sulle situazioni eroti-comiche dell’ecchi (Toniolo, 2021a).

Alla base ci sono tutti quei giochi di equivoci, situazioni impreviste e gag che portano i protagonisti di questi manga e anime a sbirciare sotto le gonne, a trovarsi chiusi in un camerino con ragazze semivestite e amenità del genere. Ma i corpi mostruosi incrementano considerevolmente le possibilità ideative dietro a queste situazioni eroti-comiche. Ricucire il seno di una zombie, soffocare nella generosa scollatura di una oni, trovarsi stritolati dall’abbraccio di una lamia e molto altro ancora.

La casistica è ampia e gli esempi possibili sono numerosi: Ghost Inn – la locanda di Yuna (Tadahiro Miura, 2016-2020), Monster Girl (Kazuki Funatsu, 2014-2017), Tales of Wedding Rings (Maybe, 2014 – in corso), Creature Girls. A Hands-on Field Journal in Another World (Kakeru, 2017 – in corso) e molti altri ancora. Ce ne sono anche alcuni in cui la componente erotica è ridotta al minimo, come Nurse Hitomi’s Monster Infirmary (Shake-O, 2013 – in corso), ma nel complesso è una componente piuttosto rilevante. Il più noto esponente del genere è probabilmente Monster Musume (Okayado, 2012 – in corso), una storia di genere harem in cui il protagonista convive con diverse monster girls, tutte innamorate di lui.

Alcina Dimitrescu si inserirebbe benissimo in una storia del genere. È una bella donna, ma possiede anche delle caratteristiche mostruose variegate e più che sfruttabili in un ampio numero di situazioni eroti-comiche. Sfruttabili e in realtà già sfruttate in quel magmatico calderone di fanart e fanfic che si trova in giro. L’ematofagia, in primo luogo. In Monster Musume ci sono ben quattro personaggi succhiasangue e questa loro caratteristica apre facilmente a situazioni intime. Poi il gigantismo. Anche qui, in Monster Musume abbondano le monster girls altissime e giunoniche, come per esempio l’ogre/oni Tionishia. Infine gli artigli retrattili. Probabilmente l’aspetto che più facilmente si lega all’immaginario sadomasochistico e che trova a sua volta corrispettivi in Monster Musume come l’aracnide Rachnera, perfetta mistress con artigli affilati.

Un solo personaggio racchiude tutto questo e molto altro. Con piccole modifiche a quello che è il suo ruolo canonico si ottengono tante Dimitrescu adatte per qualsivoglia contesto. Dalla sadica che artiglia e calpesta i masochisti alla gigantessa buona che ti soffoca fra i suoi seni. In termini percentuali più la prima della seconda, come intuibile, ma non mancano le Dimitrescu affettuose, così come non mancano all’appello un gran numero di feticismi.

Ci vuole appena un secondo per immaginarsi un Ethan Winters desideroso di farsi punire da Alcina e dalle sue tre figliole. Così come ci vuole un attimo a tirar fuori una variante erotica, e anche più coerente col personaggio di Ethan, della storia di Resident Evil Village. Con le Dimitrescu che lo tentano con piaceri erotici di ogni sorta, ma lui resiste stoicamente, fedele alla moglie e alla missione. Un po’ – di nuovo – come Kimihito Kurusu, il protagonista di Monster Musume, perennemente immerso nelle tentazioni, da cui però rifugge sempre con ascetica resistenza. O, ancora, ci vuole poco a immaginare un Ethan che passa al contrattacco per ‘punire’ a sua volta l’imponente vampira. Il video di Ethan che sculaccia Alcina con uno scacciamosche (Shirrako, 2021) ha guadagnato un gran numero di views in brevissimo tempo.

Lady Dimitrescu è la nuova Bowsette. C’è chi lo ha giustamente già sottolineato fin dalle sue prime apparizioni (Cinefra, 2021, per esempio). Anzi, è pure meglio, perché a differenza di Bowsette possiede una base canonica ma facilmente adattabile a numerosissimi contesti. Ed è anche meglio di personaggi di Dark Souls come Priscilla e Gwynevere, che soffrono per la carenza di interazioni con loro, e di una generale carenza informativa.

Lady Dimitrescu è anche la prima effettiva monster girl di Resident Evil. La saga ha visto donne bellissime e sensuali (come Ada Wong) e donne mostruose (come Lisa Trevor). Alcina Dimitrescu unisce alla perfezione entrambe le cose, ponendosi subito come un personaggio che ha tutte le migliori caratteristiche virali e memetiche.

Una novità, dunque, ma molto meno di quel che si potrebbe pensare.

I could be hurtful, I could be purple, I could be anything you like

Resident Evil è cambiato, ma nella sua anima più unica è rimasto sempre lo stesso. Una serie di videogiochi, cioè, certamente horror, ma che si prendono sul serio solo fino a un certo punto. Ci sono sempre stati personaggi e situazioni assurde. Il fatto stesso che gli eventi dei primi capitoli siano legati a un posto chiamato “città procione” dovrebbe far riflettere. Al pari dell’assurdità di certi suoi enigmi: a quanto pare le grandi menti dell’Umbrella Corporation avevano molto (troppo?) tempo libero, se si sono messe a ideare certi capziosi marchingegni.

Sono prodotti, i Resident Evil, che si prestano tantissimo per remixaggi, parodie, musical e qualsivoglia altra amenità possa venire in mente, in cui coinvolgere i personaggi della saga con un approccio fanmade. Nei primi anni di YouTube ci fu una considerevole diffusione di animazioni e video musicali coi personaggi di Resident Evil, che coinvolgevano non solo i diversi protagonisti, ma anche e soprattutto gli antagonisti, come Albert Wesker e William Birkin (per chi volesse approfondire, ho accennato alla cosa in Toniolo 2021b).

Wesker è pure un discreto monster boy. Abbastanza inumano da poter essere considerato tale, ma al tempo stesso affascinante, sensuale, e talmente assurdo da non poter essere preso sul serio. Ma Wesker è pure un personaggio da musical alla Rocky Horror Picture Show.

Esattamente come Lady Dimitrescu. Ci si aspetta che faccia qualcosa di sensuale e divertente al tempo stesso, che finisca coinvolta in qualche situazione in cui poter sfruttare le sue peculiarità fisiche per delle situazioni inusuali.  Ci sono tantissime opere fandmade a testimoniarlo. Capcom si è limitata a gettare qualche seme, che poi la community ha fatto germogliare in completa autonomia.

Lady Dimitrescu non è che un’ottima ‘nipote’ di Wesker e compagni. Un personaggio che sembra finito solo incidentalmente in un horror, e che potrebbe stare benissimo in mille altri prodotti. La si vede apparire e ci si aspetta che da un momento all’altro possa mettersi a cantare, rivelandoci che in realtà siamo nel musical di Resident Evil. La si vede apparire e ci si aspetta che Ethan la spii dal buco della serratura mentre lei fa il suo bagno di sangue, rivelandoci che in realtà siamo nella versione ecchi di Resident Evil. Così come sarebbe perfetta in un videogioco di lotta, o come giocatrice di pallacanestro (qualcuno sta immaginando uno Space Jam videoludico?) e tanti altri esempi proposti e raccolti in giro (per esempio Holmes 2021).

Lady Alcina Dimitrescu è un ritorno alle origini, insomma. Sembra paradossale e totalmente contrario a quel che potrebbe ritenere qualche purista, ma ha esattamente scatenato quella trasformatività creativa che in tanti avevano già legato ai personaggi dei primi Resident Evil. Fino a Resident Evil 4 questa tendenza è proseguita molto bene, poi c’è stata una interruzione. Si è parlato molto anche dei successivi episodi, talvolta nel bene e talvolta nel male, ma questa voglia di re-inventare i personaggi si era un po’ persa per strada. In certi casi davanti a new entries semplicemente blande, in altri a fronte di personaggi anche iconici ma poco malleabili. Le sperimentazioni sono altre, come la sezione a Villa Beneviento, molto apprezzata e ritenuta molto spaventosa (Marshall, 2021) ma più vicina allo spirito di altre serie di videogiochi, come Silent Hill, Clock Tower, Amnesia, ecc.

Invece Lady Dimitrescu, con le sue assurde figliocce, il suo castellaccio pieno di enigmi strampalati e la sua assurdità fa nuovamente vibrare certe corde. Riporta a una visione del videogioco come follia combinatoria e pastiche di cose per nulla realistiche, ma che adoriamo nella loro mescolanza innovativa. Una materia prima di ottima qualità, un diamante allo stato grezzo da plasmare come si desidera, in numerosissimi contesti. Persino seri. Persino filosofici. Non ci sono solo le sculacciate e i meme nella storia dei prodotti fanmade su Resident Evil.

Anche gli altri tre lord di Resident Evil Village sono molto interessanti, in tal senso. E non è un caso che Capcom stessa si sia mossa in questa direzione di ripensamento trasformativo, con i già citati corti Play in Bio Village, con i lord in versione pupazzosa che vivono una quotidianità da show per bambini. Fra i quattro, però, l’imponente vampira è sicuramente quella con le potenzialità maggiori.

Riemerge, con Lady Alcina Dimitrescu, la categoria calviniana della “leggerezza”, espressa nelle sue Lezioni americane, che tanto caratterizzava i primi Resident Evil. Quella sottrazione di peso che fa tendere verso il divertimento e l’ironia, che fa sopravanzare l’assurdo invece che sotterrarlo sotto la pesantezza pietrificante delle fin troppo inutilmente seriose ciarle contemporanee.

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ps: le mie pubblicazioni che ho citato sono tutte liberamente consultabili e scaricabili. Trovate qui i link.

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