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Interpretare Stellar Blade

Una prima serie di riflessioni “a caldo” sul significato di Stellar Blade. Detto fin da subito, per quanto non sia certo il più interessante dei videogiochi, in ottica interpretativa, ha comunque molto da dire.

Prima ancora del suo effettivo arrivo, è stato da molti etichettato come un mero guscio vuoto, tutta esteriorità e privo di sostanza. Posizione che ha indirizzato lo sguardo di diverse persone, nel momento dell’effettivo approccio.

Per quanto sia innegabile che ci sia molta “forma”, nondimeno ci sono diverse questioni degne di interesse, se ci si ferma a osservare la storia che Stellar Blade va a raccontare.

Potenzialmente, in futuro, tornerò a parlarne, qui o altrove. Consideratelo l’inizio di una riflessione e non un punto di arrivo.

NOTA: ovviamente, l’articolo contiene spoiler sull’intero Stellar Blade.

INDICE

NieR: Automata

Eden e Genesi

Esseri umani

Macchina

La carne

Angels e marionette

Canoni estetici

Le rovine

Stellar Blade

NieR: Automata

Prima di iniziare qualsiasi altro discorso, bisogna ricordare che Stellar Blade ha un profondo legame con NieR: Automata (2017). I punti di contatto sono moltissimi e in più di una occasione si scivola in un palese e continuo citazionismo. Del resto, i creatori di Stellar Blade non hanno certo nascosto che l’opera di Yoko Taro sia ben presente, tra le loro fonti di ispirazione.

La sequenza stessa degli eventi procede talvolta quasi di pari passo. Il disastroso sbarco finale sul pianeta della protagonista, l’entrata in scena dell’alleato maschile, l’esplorazione delle rovine di una antica città, lo spostamento in un ambiente desertico, la rivelazione in un “bunker” sotterraneo, ecc.

A parte questo, ciò che tornano sono i temi. Questo legame tra le due opere va infatti tenuto a mente perché molti discorsi che – nel corso degli anni – sono stati fatti su NieR: Automata possono trovare una loro applicazione anche su Stellar Blade. Al tempo stesso, va anche ricordato che in molti casi (non in tutti) ciò che propone Stellar Blade è una versione annacquata e ridotta.

Pensiamo, tanto per fare un esempio, alla lettura ecocritica delle due opere. Su NieR: Automata c’è molto da poter dire, in proposito. Ne ho parlato in un lungo articolo su questo sito («Everything that lives is designed to end». Une lecture écocritique de NieR : Automata) e più di un contributo del testo miscellaneo Natura in pixel: un libro sui videogiochi per la beneficenza ambientale andava proprio ad analizzare l’opera di Yoko Taro.

NieR Automata
Il discorso ecocritico in NieR: Automata può prendere molte strade differenti

In Stellar Blade, la devastazione dell’ambiente rimane comunque ben visibile, come del resto ci si aspetterebbe da un mondo post-apocalittico, senza però quella varietà di temi e approcci leggibili sotto la superficie di NieR: Automata. Nonostante ciò non è certo inutile ricordare un paio di elementi presenti nella storia di Stellar Blade. Il primo è che, in passato, gli esseri umani resero sé stessi dei cyborg per poter sopravvivere all’inquinamento e alla devastazione ambientale che loro stessi avevano prodotto.

Il secondo è che, come emerge a un certo punto, l’attuale devastazione del pianeta non dipende da loro. Anzi, facendo riferimento alla vista della città in rovina, viene ricordato che in passato era piena di vita, non solo umana. Per cui, evidentemente, il mondo si era almeno in parte ripreso. Questo fino all’intervento di Mother Sphere, che viene indicata come la responsabile della devastazione attuale, quando fece precipitare sulla Terra le basi orbitali per impedire ai Naytiba di raggiungere lo spazio.

Anche in merito all’eterno ritorno di Nietzsche, si è detto molto a proposito del suo recupero in NieR: Automata (si veda per esempio Jaćević, 2017). Qualche traccia se ne può trovare anche in Stellar Blade, senza però un particolare focus. L’idea di fondo è che, salvo soluzioni, gli Angels inviati dal cielo e i Naytiba continueranno ad affrontarsi in una guerra eterna. NieR: Automata andava decisamente più in là.

Sotto altri aspetti, invece, Stellar Blade offre molto di più da dire, pur restando sempre in un solco già percorso da NieR: Automata. Tra questi punti (che saranno presentati qui sotto) si possono perlomeno citare la riflessione sulla natura degli esseri umani e il rapporto con religione e spiritualità.

Cominciamo con quest’ultimo. C’è molto da poter dire, prendendo NieR Automata (ne avevo parlato in Seregni e Toniolo, 2023), ma anche Stellar Blade è piuttosto ricco di spunti.

Eden e Genesi

Almeno in superficie, non occorre uno sguardo particolarmente approfondito per cogliere i rimandi religiosi di Stellar Blade e, in particolare, i riferimenti alla Genesi. La protagonista del gioco si chiama Eve e incontra un uomo di nome Adam. Aggiungiamo che il terzo personaggio principale che va ad accompagnarli è Lily. E, considerando il contesto di riferimento, potrebbe facilmente essere un riferimento a Lilith, un personaggio che – a ben vedere – non compare da nessuna parte nel libro della Genesi, ma che ha finito per entrarvi attraverso vari commentatori.

Se, all’inizio della Genesi, sta scritto che «Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò» (Gn 1,27), perché poco dopo viene detto che Dio creò prima l’uomo e poi, partendo da lui, la donna? In un caso si sottolinea una contemporaneità, mentre nell’altro ci sono due momenti diversi e un rapporto di subordinazione. Per ragioni differenti, alcuni commentatori si trovarono a riflettere su questo, ipotizzando cosa sarebbe successo se Dio avesse creato un’altra donna, prima di Eva e in concomitanza con Adamo. Questa donna era Lilith e, secondo varie tradizioni, entrò subito in contrasto con Adamo e poi fuggì dall’Eden. Poi, nella cultura popolare, Lilith è stata più e più volte ripresa, spesso come diavolessa, succube o vampira.

È difficile trovare in Lily un corrispettivo esatto di Lilith e probabilmente non va nemmeno cercato. Nonostante le suggestioni religiose, Stellar Blade non mira a ricostruire la Genesi (e le sue aggiunte successive). Nell’ottica della prima compagna di Adamo, il parallelismo in Stellar Blade dovrebbe semmai essere fatto con Raven, che viene “scelta” da Adam prima di Eve. Se, invece, si considerasse Lilith come l’incarnazione della tentazione, allora Lily potrebbe andare in questa direzione. La “tentazione” che lei propone a Eve è quella di non andare contro al volere di Mother Sphere. L’unione con Adam sarebbe blasfema. Bisogna avere fiducia nella loro dea.

Tanto più, può essere utile ricordare le sovrapposizioni tra la figura di Lilith e quella del serpente tentatore. Secondo una leggenda, «Lilith era un Serpente dai tratti femminili e Adamo ne fece la sua prima sposa. Fu poi Lilith, gelosa di Eva, che spinse la nostra progenitrice alla perdizione. Per questo nell’iconologia più avveduta, la Serpe seduttrice non è maschio, ma metà donna, metà rettile» (Porcarelli, 2018, p. 12).

Anche qui, siamo a metà strada tra Lily e Raven. La seconda, prima “sposa” di Adam, è un ibrido, seppur con un volatile e non con un serpente. La prima, la “tentatrice” di Eve, si presenta alla battaglia finale ibridata con un mech. Di nuovo, niente di serpentino, ma non è superfluo sottolineare che, in uno dei finali, di Lily rimanga solo il busto, privo di gambe. È un modo per dire che è rimasta la sua metà di donna, perdendo l’altra metà (idealmente) “serpentina”, quella che aveva tentato Eve? In ogni caso, la contrapposizione tra ibridazione meccanica e ibridazione animale è un punto importante e verrà ripreso in seguito.

Tornando su un legame un po’ più chiaro e meno legato a vaghe interpretazioni, l’unione finale di Adam ed Eve è un elemento piuttosto chiaro.

Per prima cosa, non è certo la prima volta che si assiste a qualcosa di simile, anche nei videogiochi. Come esempio, è sufficiente prendere Mass Effect 3, nel finale Sintesi, quello in cui si sceglie di rendere un po’ sintetici tutti gli organici della galassia e viceversa. In questo finale, Joker e Ida (il pilota dell’astronave Normandy e la piattaforma robotica dell’IA di quella stessa nave) si abbracciano mentre osservano un pianeta misterioso, dalla vegetazione lussureggiante. Sono la chiara immagine di un ipotetico “nuovo Eden” di cui loro rappresentano Adamo ed Eva, i progenitori, in qualità di ideale prima coppia tra un organico e un sintetico.

Joker e Ida
Joker e Ida nel “nuovo Eden” del finale Sintesi di Mass Effect 3

In Stellar Blade non c’è uno sposalizio tra Adam ed Eve, c’è la fusione di due corpi, ma non c’è nulla di particolarmente strano. È un altro modo per mostrare l’unione di organico e sintetico, tra gli androidi Andro-Eidos e i Naytiba. E il testo stesso della Genesi non ha mancato di essere collegato al mito dell’androgino, in cui gli esseri umani originari vennero divisi in due. Per cui la completezza significa ritrovare una nuova unità, tornando a fondersi con la controparte che ci completa.

Ci sono dunque dei facili punti di contatto con Genesi, ma non mancano i capovolgimenti, con vari elementi che acquisiscono un segno opposto. Si è già detto di Lily che, se dovesse rappresentare la tentazione, sarebbe quella di restare nell’ignoranza e nella vicinanza a Mother Sphere. L’opposto della serpe che propose la conoscenza e allontanò da Dio.

Mother Sphere appare del resto come l’effettivo villain della storia, la quale si configura allora – in due finali su tre – come un atto di ribellione contro la propria divinità. È una dea interessante, va anche detto. In realtà si tratta di un’intelligenza artificiale e, come tale, ha avuto un creatore, di cui peraltro mantiene memoria. Evita così quella paradossale situazione su cui si interrogarono alcuni maestri rabbini: Dio sarebbe triste del fatto di non avere a sua volta un Dio da amare e glorificare? Interrogativo che risolsero rispondendo che Dio prega e glorifica sé stesso. Mother Sphere, avendo un creatore, risolve questo problema.

Proseguendo, non è da trascurare neanche il fatto che sia stata Mother Sphere, a un certo punto, a decidere di annientare gli esseri umani per sostituirli con gli Andro-Eidos. Un elemento ricorrente in numerose tradizioni religiose, in cui la divinità di turno spazza via una prima creazione per sostituirla con un’altra. Nel periodo in cui la paleontologia si affermava e le ossa dei dinosauri erano ormai un numero innegabile, non mancò chi propose simili teorie per spiegare anche loro in una prospettiva cristiana. Quelli erano i resti di una creazione precedente, poi spazzata via e rifatta.

Per quanto gli esseri umani si fossero modificati tecnologicamente, erano una versione “vecchia”, da rottamare. In più occasioni, il filosofo Fabrice Hadjadj ha detto che il superuomo è il dinosauro del domani. Nel senso che, nel momento in cui si comincia a “innalzare” gli esseri umani, modificandoli tecnologicamente, ecco che nasce subito quello che sembrerebbe il suo opposto, ovvero l’uomo-scarto, da buttare via. Perché, con queste modifiche, l’essere umano diventa al pari di uno smartphone: nel momento in cui è disponibile il modello più aggiornato, quello precedente è destinato a essere buttato via.

Per cui, ragionando in quest’ottica, non c’è da stupirsi del fatto che Mother Sphere abbia a un certo punto deciso di “buttare via” tutti gli esseri umani, avendo a disposizione degli androidi ben più funzionali, potenti e operativi.

Gli umani superstiti, abbandonati, decisero allora di cambiare approccio, seguendo un altro percorso evolutivo di ingegneria genetica che li avrebbe portati a diventare i Naytiba.

Ma, in tutto ciò, dove comincia e dove finisce effettivamente un “essere umano”?

Esseri umani

Come scrisse George Bataille in un suo articolo, «l’alluce è la parte più umana del corpo umano, nel senso che nessun altro elemento di questo corpo è così differenziato dall’elemento corrispondente della scimmia antropoide (scimpanzé, gorilla, orangutango o gibbone)» (Bataille, 2022, p. 75. Corsivo dell’autore).

Ci sarebbe allora molto da poter dire, sui piedi che Eve acquisisce e che, nel secret ending, appaiono per un istante in bella vista a schermo.

I piedi di Eve nel finale segreto
I piedi di Eve nel finale segreto, dopo la sua fusione con Adam

Il suo presumibilmente graziosissimo alluce umano è scomparso, sostituito da un grosso artiglio. E se la parte più umana di un essere umano smette di essere tale in una maniera così palese, si potrebbe allora dire che la “nuova” Eve sia qualcosa di differente. La questione è complessa e merita alcune riflessioni.

Per prima cosa, è bene ricordare che Adam non le propone la rinascita degli antichi esseri umani, attraverso la loro unione, ma di diventare i veri successori dell’umanità. Agli Andro-Eidos manca il DNA umano, invece presente nei Naytiba, che però sono regrediti allo stato di bestie. Ci sono due strade, due direzioni evolutive, che dovrebbero idealmente intrecciarsi. Una ha a che fare con la macchina, l’altra con la carne.

La macchina

Partendo dalla prima, i possibili legami nella storia della fantascienza sono molteplici. Come l’inconsapevolezza dei personaggi di Stellar Blade di essere Andro-Eidos, ovvero androidi: robot con sembianze umane. Loro ritengono di essere degli esseri umani con impianti cibernetici che li rendono più forti e più adatti a condizioni ostili. Dei cyborg, insomma.

Certo, verrebbe anche da chiedersi quale sia il grado di “modifica” oltre cui un umano smetterebbe di essere tale. Un po’ come il noto paradosso della nave di Teseo: nel momento in cui quella nave conserva la sua forma originaria ma tutte le parti sono state sostituite, essa è ancora la nave di Teseo?

In Stellar Blade ci si potrebbe porre la questione se Eve fosse stata, originariamente, un’umana che ha man mano sostituito tutte le parti del suo corpo con corrispettivi robotici, mantenendo però inalterato il suo aspetto originario. Ma non è questo il caso. Eve e gli altri Angels nascono già come androidi. Come dice Adam, non hanno alcuna traccia di DNA umano.

L’inconsapevolezza dell’androide, come accennato, è un tema ricorrente. Lo si trova per esempio nelle opere di Philip K. Dick. Inizia a farsi strada nella sua produzione in racconti come La Formica Elettrica (The Electric Ant, 1969). In questo racconto, Garson Poole si risveglia improvvisamente in un ospedale, scoprendo non solo di esser privo di una mano, ma di essere un androide, mentre fino a quel momento aveva vissuto ritenendosi un essere umano.

Come dirà in seguito, Dick ha inizialmente inserito questi temi senza nemmeno rendersene più di tanto conto, ma poi si è trovato a ragionarci sempre di più. In particolar modo, come scrisse in un testo del 1976:

«Nell’universo esistono cose gelide e crudeli, a cui io ho dato il nome di “macchine”. Il loro comportamento mi spaventa, soprattutto quando imita così bene quello umano da produrre in me la sgradevole sensazione che stiano cercando di farsi passare per umane pur non essendolo. In questo caso le chiamo “androidi”. Per “androide” non intendo il risultato di un onesto tentativo di ricreare in laboratorio un essere umano […]. Mi riferisco invece a una cosa prodotta per ingannarci in modo crudele, spacciandosi con successo per un nostro simile. Queste creature sono tra noi, e morfologicamente non sono diverse: la differenza che noi postuliamo pertiene al comportamento, non all’essenza. Nelle mie opere di fantascienza ne ho parlato continuamente. A volte neppure loro sanno di essere androidi. […] possono essere realmente usciti da un utero umano e addirittura capaci di progettare androidi» (Dick, 1997a, p. 39. Corsivi miei).

Qui di seguito riporto un passaggio di un mio libro in cui avevo già affrontato la questione nel dettaglio, in merito a Philip K. Dick:

«Nel piccolo saggio L’androide e l’umano (The Android and The Human, 1972) lo scrittore si domanda quale aspetto del comportamento caratterizzi realmente l’uomo come tale.

Non è sufficiente, come detto, il dato fisiologico. Si potrebbe parlare di “anima”, o di “libertà”, o “non prevedibilità”, ma è necessario prestare attenzione all’utilizzo dei termini. Una macchina – o un uomo che si comporta come tale – è un mezzo e non un fine. Ci si può trasformare più o meno volontariamente in un mezzo, oppure si può essere «oppressi, manipolati e ridotti a un mezzo inconsapevolmente o contro la propria volontà: il risultato non cambia» (Dick, 1997b, pp. 231-232). Non vi è un percorso univoco, nel divenire androidi-mezzi. Può innanzi tutto essere un effetto del potere, che sia politico o militare o di altra natura, quando smette di essere al servizio dell’uomo (e dunque di avere l’individuo come fine) ma pretende di essere servito da quest’ultimo (individuo come mezzo sfruttabile). È un potere che nei suoi aspetti più eclatanti ben ricorda l’orwelliano Big Brother di 1984. Tuttavia Dick non vede un avvento prossimo di una simile società, nonostante il suo pensiero talvolta paranoico. L’uomo non può essere tramutato in androide fin quando egli si ribella, il che può anche solo significare il compimento di azioni non previste. Gli strumenti tecnici per realizzare un totalitarismo orwelliano sarebbero già presenti, ma Dick ha fiducia nei giovani, i quali guardano al medium e non al suo messaggio, che appare per loro come un insieme di parole di sottofondo. […] Tornando alle sue parole, egli ricorda anche altre strade che possono rendere l’uomo una macchina. Una di esse è la droga. Non solo le droghe comunemente intese, quelle illegali, che pure egli aveva sperimentato, ma anche certi farmaci prescritti negli ospedali psichiatrici. Il mondo del drogato cronico, così come quello dello psicotico, è un mondo totalmente reificato, fatto di incomunicabilità e di fissità, un mondo in cui non esistono eccezioni, così come non ne esistono per l’androide, per il non-umano» (Toniolo, 2017, pp. 129-130).

Gli androidi sono coloro per i quali non esistono eccezioni, a differenza degli esseri umani. Dick ricorda l’esempio di un piccione addestrato a riconoscere i pezzi difettosi di una catena di montaggio. Ogni volta che individuava correttamente un pezzo, riceveva come ricompensa un chicco di grano. Anche quando i chicchi erano esauriti, continuava a svolgere il suo lavoro. Un androide agirebbe proprio come il piccione, mentre un essere umano potrebbe agire diversamente, magari per fame, magari per noia. Chi è un “androide” arriverebbe a lasciarsi morire pur di non fare eccezioni, coerentemente con la sua “programmazione”.

Tornando a Stellar Blade, verrebbe da dire che Eve è allora “umana” in quanto capace di fare eccezioni. A meno che – ma questo sembra difficile da confermare o smentire – Mother Sphere non abbia programmato Eve prevedendo anche la possibilità del tradimento.

L’effettiva differenza, forse, non risiede allora qui.

Proseguendo con la produzione dickiana, ci sono altre due opere che aiutano a fare un passo in avanti. La prima è il romanzo Androide Abramo Lincoln (1962), a proposito della cui genesi Dick scrisse:

«ero ammaliato dal soggetto del romanzo: un androide (Abe Lincoln), dotato di reali qualità umane, confrontato con un’umana (Pris) che è simile a un automa. […] Definire cosa è reale equivale a definire cosa è umano, se si è interessati agli umani. chi non prova interesse per loro è un soggetto schizoide, simile a Pris e, per come la vedo io, un androide: dunque non umano, e quindi non reale. […] ciò che manca in voi – androidi – è la simpatia, una forma di simpatia essenziale, intesa come sentimento empatico verso la vita altrui, e se non l’avete per noi, non riusciamo a immaginarci come noi potremmo averne nei vostri confronti. È possibile avere questa empatia solo se reciproca» (Dick, 2012, pp. 266-267).

L’androide Lincoln prova “empatia” per gli esseri umani, si preoccupa per loro, afferma che solo gli umani possiedono un’anima. Appare molto più umano di tanti esseri umani, come la fredda Pristine (Pris) o l’imprenditore materialista Barrows, disinteressati nei confronti dei loro simili o pronti a sfruttarli.

Vale la pena riportare, per esempio, questo scambio di battute tra l’androide e Barrows (dall’edizione Fanucci del 2012, p. 126):

«“Allora, signore, che cos’è una macchina?” chiese a Barrows il simulacro.

“Lei è una macchina. Queste persone l’hanno costruita. Appartiene a loro.”

Il volto lungo e scavato, contornato dalla barba scura, si contorse in una smorfia di stanco divertimento mentre il simulacro guardava Barrows. “Allora, signore, anche voi siete una macchina. Perché anche lei ha un Creatore. E, come ‘queste persone’, Egli vi ha creato a Sua immagine e somiglianza. Credo che Spinoza, il grande sapiente ebreo, pensasse la stessa cosa degli animali; ossia che erano macchine astute. Ritengo che il punto critico sia l’anima. Una macchina può fare tutto ciò che fa un uomo… su questo sarete d’accordo. Ma non ha un’anima.”

“L’anima non esiste” disse Barrows. “Si tratta di una semplice fantasia.”

“Allora” disse il simulacro “una macchina è la stessa cosa di un animale […] e un animale è uguale all’uomo. Non è così?”»

Il passaggio successivo si vede in quello che è uno dei più noti testi di Philip K. Dick: il romanzo Ma gli androidi sognano pecore elettriche? (Do Androids Dream of Electric Sheep?, 1968). In un futuristico (per il momento in cui fu scritto il testo) 1992, la Terra è devastata e gli esseri umani che ancora non sono migrati verso le colonie spaziali vivono in metropoli decadenti. Gran parte degli animali sono estinti e quelli rimasti sono uno status symbol che caratterizza i più ricchi.

Chi non può permettersi un animale vero può acquistarne una riproduzione robotica. Nelle colonie spaziali, invece, si fa un largo impiego di androidi, praticamente identici agli umani ma progettati con un’obsolescenza programmata, che garantisce loro circa quattro anni di attività. L’unico modo per distinguere un androide da un umano è il test per l’Empatia di Voigt-Kampff, ma anch’esso sta perdendo la sua efficacia, davanti ai nuovi modelli equipaggiati con l’unità cerebrale Nexus-6.

Per cui, come nel caso dell’Androide Abramo Lincoln, il discrimine sarebbe l’empatia. Eppure ci sono casi in cui gli esseri umani sono ben poco empatici, molto meno di un androide. Questo, comunque, viene visto non tanto come una qualità degli androidi, ma come una decadenza degli esseri umani. L’androide Lincoln simula empatia perché è progettato in questo modo. Gli androidi di Do Androids Dream of Electric Sheep?, alla fine, continuano a eseguire il loro programma, nonostante il tentativo di libertà.

Sono gli esseri umani ad apparire sempre più come androidi. Le uniche eccezioni, che in qualche modo “salvano” l’umanità all’interno del romanzo, sono Isidore e Mercer. Il primo è un cosiddetto “cervello di gallina”, un individuo emarginato a causa del suo basso quoziente intellettivo. Mercer è un santone, fondatore del Mercerismo, basato sull’utilizzo di una scatola empatica. Ma una trasmissione televisiva rivela che, in realtà, Mercer è solo un vecchio attore etilista.

Davanti a questo annuncio, Isidore piomba nello sconforto, eppure in quel momento Mercer appare davanti a lui, resuscitando il ragno che degli androidi avevano ucciso. È un miracolo. Non per il ragno, ma prima ancora perché si è mostrato profondamente umano. L’umanità di Mercer «consiste appunto nell’essere con l’altro, soffrire con lui, rialzarsi sempre con lui […]. La presenza è compresenza originaria e insieme ultima che sta tutta nell’incontro: prima di qualsiasi esercizio intellettivo di comprensione avviene l’incontro» (Chiappetti, 2000, p. 113. Corsivi dell’autore).

In Stellar Blade, quindi, avviene l’incontro? Propenderei per il sì.

Perché Adam ha scelto Eve al posto di Raven? Forse perché la prima ha dimostrato maggior empatia rispetto alla seconda. Eve e Raven non sono umane. Sono androidi. Ma per creare il “discendente dell’umanità” la materia prima è evidentemente importante. Non è dato sapere se la maggior empatia di Eve derivi dalla sua programmazione, ma è per certo preferibile. Proprio come l’androide Abramo Lincoln nella storia di Dick. Se, pur simulando, sa mostrare empatia, allora sarebbe comunque preferibile a tante altre alternative.

Le opzioni possibili sono due.

La prima: l’unione di Adam ed Eve dona a quest’ultima il libero arbitrio. In precedenza, stava semplicemente seguendo la sua programmazione (che pure, va ricordato, può prevedere una certa libertà decisionale tra alternative differenti). Adam avrebbe allora scelto lei perché è quella con la programmazione migliore, più vicina ai sentimenti di un essere umano.

In quest’ottica, non è inutile ricordare che questa fusione avviene nel finale. Per tutto il videogioco, Eve è effettivamente eterodiretta. È controllata dal giocatore, che sceglie al posto suo, come se fosse la sua “programmazione”.

La seconda opzione: Eve aveva già il libero arbitrio e/o qualcosa definibile come “anima”, nonostante la sua natura di androide. E allora Adam avrebbe scelto lei in quanto più empatica di Raven (e di altre potenziali candidate).

La carne

Come detto in precedenza, la direzione evolutiva “meccanica” è solo una delle due opzioni che viene presentata in Stellar Blade. L’altra è quella “carnale”, che ha prodotto i Naytiba. Se gli androidi hanno sembianze umane ma sono privi del loro DNA, i Naytiba hanno DNA umano ma un aspetto mostruoso e, salvo poche eccezioni, sono incapaci di ragionare e si affidano all’istinto.

I Naytiba sono la “carne” e gli Andro-Eidos sono lo “spirito”. Perché ciò che conta per loro è far sì che le proprie memorie personali possano tornare alla Mother Sphere. Le loro memorie, che sono la loro “anima”, hanno una priorità sul corpo.

C’è un eccesso in un senso e nell’altro. Ecco perché – di nuovo – il futuro essere umano potrà nascere solo dall’unione di Adam e Eve.

Senza la “carne”, gli Andro-Eidos sono in fondo solo le loro memorie, che finiscono poi tutte insieme dentro l’intelligenza artificiale che ha dato loro la vita. E non a caso, una volta scoperto cosa ha fatto Mother Sphere, c’è chi vuole evitare tutto ciò. Significa non avere un’effettiva individualità, che finirà a diluirsi in un insieme di dati tra gli altri.

La convergenza della “carne” priva dello “spirito” genera però altrettanti pericoli. In tal senso, uno dei casi videoludici più evidenti rimane la trilogia di Dead Space. In quella storia, una misteriosa razza aliena ha disseminato dei manufatti detti Marchi in tutta la galassia. Sono oggetti che funzionano in modo simile ai monoliti di 2001 Odissea nello spazio (il film e, soprattutto, il romanzo): favoriscono l’evoluzione di una specie, lanciano un segnale verso lo spazio e attivano poi una seconda fase evolutiva. Se, in 2001, il prodotto finale sarà uno Star Child, in Dead Space vengono generati i necromorfi, dei mutanti redivivi. Alla fine del processo, questi necromorfi convergeranno tutti insieme per creare una Brethren Moon, un organismo grande quanto una luna.

Brethren Moon
Una Brethren Moon di Dead Space

Se la tecnologia di 2001 sublima lo spirito rispetto alla materia, in Dead Space la tecnologia rimuove lo spirito e mantiene solo la materia, che viene peraltro fusa insieme in un ibrido indistinto e mostruoso. Gli umani del mondo di Dead Space si ingannano ascoltando la Chiesa di Unitology, sempre più popolare, che promette l’avvento ormai prossimo della Convergenza, un mistico processo di morte e rinascita in cui le anime umane saranno fuse insieme. Nella realtà, non c’è nessuna trascendenza. L’unica fusione è quella dei corpi e la Convergenza è solo la nascita di una nuova Brethren Moon.

Occorrono entrambi, la “carne” e lo “spirito”. La bellissima Angel giunta dal cielo, Eve, è stata al centro di un grande interesse per il suo corpo (rimando più sotto ai canoni estetici) ma in realtà le manca proprio la “carne”, che raggiungerà solo nell’unione con Adam.

Gli “angeli” hanno dunque bisogno degli umani?

Angels e marionette

Riporto un passaggio del libro L’angelo e la marionetta di Giorgio Concato che si presta molto bene per parlare di Stellar Blade:

«Oggi, l’angelo non è più colui che annuncia agli uomini il senso di un destino contenuto nel disegno dell’Intelletto divino; egli stesso, solitario, compiuto e raccolto in sé, nella sua terribile, inavvicinabile bellezza, chiede a noi, che attraverso il corpo patiamo la solitudine, il senso di essa, cosicché noi diventiamo il tramite della domanda angelica, il luogo in cui essa circola per ritornare a se stessa, colma della sofferenza umana. […] L’angelo è così lontano da noi, da farci dubitare che egli possa udire il grido della nostra solitudine e, tanto meno, che egli possa rispondere. Tuttavia egli ha per noi un significato essenziale, è la rappresentazione simbolica e vivente del fatto che la nostra esperienza e la nostra soggettività sono determinati da altro. All’inizio viviamo contenuti in un ventre, poi, dopo la nascita, in uno spazio, interiore ed esterno, da cui veniamo pensati e che pensa attraverso di noi. […] La mancata esperienza dell’eterodeterminazione, fa di noi delle marionette solitarie perché prive della consapevolezza della connessione con l’altro che guida i nostri reciproci movimenti. Le marionette si incontrano sulla scena ma non possono fare esperienza del senso del loro abitarla insieme e questo fatto le condanna alla solitudine» (Concato, 2001, pp. 18-20. Corsivi dell’autore).

Gli Angels, ovvero gli androidi come Eve, di Stellar Blade sono in realtà le “marionette solitarie” che non possono fare esperienza della loro eterodeterminazione. Ciò che sanno è di dover portare a termine la loro missione, anche a costo della vita. Hanno la consapevolezza di questo incarico, ma non del loro reale rapporto con Mother Sphere. Quanto possano effettivamente cogliere il senso dell’“abitare insieme” la scena su cui “recitano” (per conto della loro dea), è da discutere. Servirebbe qualche dettaglio in più sul legame tra Eve e Tachy per poterlo dire.

Non sembrerebbe però sbagliato supporre che, per un’autentica esperienza di incontro con l’altro, un Angel debba entrare in contatto con realtà differenti. Sono le missioni secondarie di Xion, il rapporto con Adam e con Lily, le testimonianze del passato che vengono raccolte. Eve è già un “angelo”, un “angelo” solitario, non ha nessuno sopra di sé a cui rivolgere preghiere e suppliche. Deve scendere sulla Terra per fare esperienza della sofferenza.

Forse tutto ciò dipende anche dalla questione del ventre. Eve e Lily devono essere state costruite, non partorite. Quando giungono alla tana dell’Elder Naytiba, le due si trovano davanti a strane meduse che svolazzano nell’aria e a delle grandi sacche, che sembrano piene di liquido amniotico.

«Everything looks so natural… It makes me wonder… Is this how real life is born, after all?» commenta Eve mentre si guarda in giro. La vera vita, qualcosa da cui lei si sente esclusa, in quanto angelo-marionetta sceso dal cielo.

Eve osserva le meduse
Il commento di Eve nella tana dell’Elder Naytiba

Peraltro, è interessante ricordare chi ha definito Eve una “bambola (sessualizzata)”. In effetti, è proprio ciò che è anche in termini narrativi. Una bambola/marionetta dalla bellezza “angelica”, ma priva della possibilità di fare esperienza concreta.

Canoni estetici

Un altro punto degno di attenzione riguarda la bellezza e i canoni estetici. Sarebbe impossibile non fare almeno un cenno, considerando che la stragrande maggioranza dei discorsi su Stellar Blade si sono soffermati esclusivamente sui glutei di Eve.

scuse IGN
Le scuse di IGN per il commento su IGN France dove Eve era indicata come una bambola sessualizzata realizzata da qualcuno che non ha mai visto una vera donna

Su questo punto, mi limito a segnalare un articolo di Mara Sanvitale, che racchiude già molto bene il nocciolo della questione, parlando del culto della bellezza nella Corea del Sud. L’articolo è Stellar Blade. È solo questione di culo?

Ne riporto giusto un passaggio a titolo d’esempio, invitandovi a leggere il resto di quel contributo:

«Per me, tenere a mente il ‘passaporto’ di Eve è stato fondamentale per affrontare la demo messa a disposizione da Sony con la giusta consapevolezza, così come fu fondamentale farlo per affrontare Lies of P, anch’esso videogioco sudcoreano. Le caratteristiche da k-pop idol di P. erano meno palesi agli occhi del pubblico occidentale, mentre la fisionomia di Eve appare più ‘sfacciata’ nel rispettare i famigerati canoni di bellezza coreani: non è una mera questione di “sbattere la bonazza” in prima pagina, ma è la fotografia perfetta degli enormi problemi socio-culturali che affliggono la Corea del Sud».

Varrebbe anche la pena riflettere maggiormente sul legame con i personaggi di Lies of P, in effetti. Considerando anche che abbiamo definito poco fa Eve una “marionetta”.

Le rovine

Per citare, almeno di passaggio, un altro tema fondamentale su cui altre persone si sono già espresse con grande chiarezza, consiglio la lettura di un articolo di Stefano Caselli: Dentro la catastrofe: gli spazi post-apocalittici nel videogioco.

Non parla di Stellar Blade (l’articolo è stato pubblicato nel 2018) ma è una lettura molto utile per comprendere anche quest’ultimo.

Come nel caso precedente, ne riporto un passaggio:

Troviamo nelle parole di Walter Benjamin un parallelo sorprendentemente efficace di quanto esperienziato qui da un utente-tipo:

«C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo.»

Per quanto la presenza di creature angeliche che minacciano l’incolumità del giocatore possa essere vista come un rimando implicito e forse troppo specifico alla riflessione di Benjamin ci sembra ben più utile riflettere sulla centralità iconografica delle rovine, nella citazione del filosofo tedesco quanto nel Cumulo di rifiuti.

L’osservatore che si erge sulle rovine e si sente come un dio coincide con l’angelo benjaminiano: “vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine”. La sua azione, incapace di soffermarsi a riconoscere i vari elementi che compongono il collasso, non può che votarsi al proseguimento: così come l’Angelus Novus viene spinto al futuro dalla tempesta l’utente non può che proseguire verso il completamento del gioco, lasciandosi alle spalle il marasma della Storia. La sua azione, più che limitarsi al contemplare, mantiene sempre una dimensione teleologica: si esplora e si gioca per giungere al termine dell’esperienza, per esaurirla. Con le rovine dello spazio non si può fare nulla: il giocatore vi slitta all’interno, vi cade, vi combatte e infine si trae in salvo. Il suo viaggio attraversa i resti di un multiverso disastrato eppure le sue azioni sono lucidamente vincolate al suo presente.

Anche nel caso di Stellar Blade, la presenza di “creature angeliche” è un “rimando implicito e forse troppo specifico”, ma che ci conduce comunque al punto in cui si dice che il giocatore, «incapace di soffermarsi a riconoscere i vari elementi che compongono il collasso, non può che votarsi al proseguimento […] lasciandosi alle spalle il marasma della storia».

Un marasma su cui – peraltro – si ergono imponenti e colossali statue tra le rovine della città. Se i grattacieli semidistrutti richiamano facilmente NieR: Automata (e alcuni scorci sono effettivamente molto simili, delle probabili citazioni), quelle statue restano un mistero in larga parte irrisolto.

Qualcosa da lasciarsi alle spalle, che fa parte di quel “marasma” su cui non verranno fornite particolari risposte.

La strada sta davanti a sé. Verso la fine del gioco.

Bibliografia

Bataille (2022): George Bataille, Documents. Corpo, follia, erotismo: la più importante raccolta di scritti, trad. it. Sergio Finzi, Edizioni Dedalo, Bari 2022 (ed. orig. Editions Gallimard, Paris 1970).

Chiappetti (2000): Fabrizio Chiappetti, Visioni dal futuro. Il caso di Philip K. Dick, Fara Editore, Santarcangelo di Romagna 2000.

Concato (2001): Giorgio Concato, L’angelo e la marionetta. Il mito del mondo artificiale da Baudelaire al Cyberspazio, Moretti&Vitali, Bergamo 2001 (1996).

Dick (1997a): Philip K. Dick, Uomo, androide e macchina (1976), in Se vi pare che questo mondo sia brutto, trad. it. di G. Pannofino, Feltrinelli, Milano 1997.

Dick (1997b): Philip K. Dick, Mutazioni. Scritti inediti, filosofici, letterari e autobiografici, L. Sutin (a cura di), trad. it. di G. Pannofino, Feltrinelli, Milano 1997 (ed orig. The Shifting Realities of Philip K. Dick: Selected Literary and Philosophical Writings, Boror International Inc, New York 1995).

Dick (2012): Philip K. Dick, L’evoluzione di un amore vitale, trad. it. di A. Ricci, in Id, L’androide Abramo Lincoln, Fanucci Editore, Roma 2012 [2005], pp. 265-278.

Jaćević (2017): Milan Jaćević, This. Cannot. Continue. – Ludoethical Tension in NieR: Automata, «The Philosophy of Computer Games Conference», Kraków 2017, 2017, p. 1-15.

Porcarelli (2018): Franco Porcarelli, Fantaenciclopedia. Il fantastico in letteratura, Manifestolibri, Roma 2018.

Seregni e Toniolo: Marco Seregni e Francesco Toniolo, Religion and Spirituality in NieR: Automata, in L. Marcato and F. Schniz (edited by), Fictional Practices of Spirituality I. Interactive Media, de Gruyter, Berlin 2023, pp. 373-394.

Toniolo (2017): Francesco Toniolo, Effetto di massa. Fantascienza e robot in Mass Effect, Unicopli, Milano 2017 (2014).

Resident Evil 4 Otome Edition – Intervista a Shimmersoft

English interview below

Qui sotto trovate l’intervista che ho fatto a una delle due persone del team creativo Shimmersoft, che ha creato Resident Evil 4: Otome Edition.

Il loro videogioco trasforma la storia di Resident Evil 4 in un otome game, raccontando il tutto dal punto di vista di Ashley.

Resident Evil 4 Otome Edition

Ho parlato del loro gioco nel mio libro CTRL+V-ideogiochi. Storie di rifacimenti e parodie nel medium videoludico. Si tratta di uno dei dieci videogiochi che ho scelto di analizzare all’interno del testo.

copertina libro CTRL+V-ideogiochi

Per l’occasione, ho fatto qualche domanda al team. Qui sotto trovate l’intervista tradotta in italiano, mentre più sotto c’è l’originario testo in inglese.

Alcuni passaggi dell’intervista potrebbero essere poco chiari, se non conoscete il videogioco. Vi consiglio di provarlo, tanto più che è gratuito. Non ne resterete delusi.

Intervista in italiano

1. Come è nata l’idea per Resident Evil 4: Otome Edition?

La storia della sua origine è meno interessante di quanto tu possa sperare. Nel 2014, il co-fondatore dello studio e io avevamo iniziato a interessarci a fruire insieme giochi otome (dopo aver consumato alcuni visual novel come Ace Attorney e Zero Escape). Dopo aver provato alcuni giochi otome sul mercato mobile e realizzati da sviluppatori indipendenti, abbiamo avuto per caso una conversazione su quali giochi AAA dalla nostra esperienza comune avessero gli elementi di base (ad esempio, una protagonista femminile e almeno due personaggi maschili) adatti per una conversione otome. Inizialmente avevamo considerato Silent Hill 3, ma Heather sembrava troppo giovane e le sue opzioni non sembravano… adeguate (Vincent? Douglas?? Valtiel???). Ma, pensando a Heather, ci è venuta in mente un’altra donna bionda in un popolare gioco horror: Ashley Graham di Resident Evil 4. E poi è scattata l’illuminazione. Chi non si era mai lasciato conquistare da Leon S. Kennedy? Il gioco era molto amato, con una trama kitsch e una damigella in pericolo che era quasi una tabula rasa. Sembrava essere il candidato perfetto per la parodia un gioco otome (un “fauxtome”, come lo chiamavo qualche volta).

Quell’anno, ho iniziato alcuni prototipi iniziali su un motore chiamato Novelty, che è stato successivamente abbandonato. Il lavoro era estremamente grezzo; avevo giocato ai videogiochi per tutta la mia vita, ma non avevo mai creato un visual novel prima né lavorato con un engine di gioco, quindi c’era un’intensa curva di apprendimento. Ho sperimentato per alcuni mesi, ma per motivi personali ho accantonato il progetto per un anno. Ho trafficato con esso nel corso del 2015 e del 2016, principalmente durante la notte prima di andare a dormire, finché alla fine ho avuto materiale fino alla scena della capanna. A marzo del 2017, ho deciso semplicemente di pubblicare ciò che avevo e vedere cosa succedeva. In qualche modo, è diventato abbastanza popolare: alcuni siti web di videogiochi hanno trovato la demo e abbiamo avuto un grande numero di download per circa una settimana. C’era sia entusiasmo sia preoccupazione davanti a questa reazione, poiché era più che altro un proof-of-concept e aveva pochissima rifinitura. L’attenzione del pubblico è arrivata anche al dipartimento legale di Capcom, che non ha davvero apprezzato il mio uso inalterato di alcuni asset dei personaggi. Ho avuto uno scontro con loro riguardo alla permanenza del progetto e alla fine la situazione si è risolta. Ma l’interesse era così grande che mi sentivo a mio agio nell’impegnarmi nel progetto e ho trascorso i successivi quattro anni ridisegnando efficacemente l’intera cosa: sia per garantire di essere al sicuro dentro ai limiti del Fair Use, sia per realizzare appieno il potenziale dell’idea. Volevo che Otome Edition avesse abbastanza rifinitura (almeno per un team indipendente di due persone) affinché le persone lo accettassero come un rispettabile companion product rispetto al gioco originale. E, se mi è permessa un po’ di immodestia, penso che ci siamo riusciti.

2. In Otome Edition, Ashley è un personaggio mentalmente attivo, con agency. È interessante la sovrapposizione tra questi elementi e la storia originale, in cui lei è una damigella in pericolo. È stato impegnativo raggiungere questo equilibrio? Era intenzionalmente ricercato o è emerso per caso durante lo sviluppo?

Fin dall’inizio, volevamo esplorare questa tensione tra i media: tra l’action che la tratta come un obiettivo e il visual novel che la considera come una protagonista. Per prendere in prestito un sentimento da Hannah Gadsby, il tratto distintivo della commedia è la gestione della tensione e sapevamo che il valore umoristico sarebbe derivato dalla creazione di quanto più attrito possibile tra Ashley come persona e Ashley come meccanica di gioco. Quindi eravamo molto consapevoli di tale attrito durante tutto il processo, anche se la scrittura attorno ad esso si è strutturata man mano che il gioco si sviluppava.

Ad esempio, una caratteristica strana di Ashley che volevo esplorare era la sua apparente passività durante gran parte del gioco e poi la sua improvvisa propensione a proporre a Leon un rapporto sessuale sulla moto d’acqua. Naturalmente, c’è una lettura molto superficiale di questo comportamento: la scrittura semplicemente non è così sofisticata (ora sappiamo che Mikami ha scritto la sceneggiatura principale in meno di un mese), quindi si adagia pigramente su questa fantasia machista dell’uomo attraente che salva la damigella e lei offre un rapporto sessuale come ricompensa. Ma ho cercato di vederlo da un angolo diverso: come uno dei momenti più ricchi di agency di Ashley, un’espressione del suo “vero” io, finalmente libera dalle trappole delle meccaniche di gioco – una persona che era spaventata e finalmente si sentiva abbastanza sicura da essere un po’ civettuola. E se quello era il suo vero io, cosa (oltre alla paura) potrebbe averlo soppresso in precedenza? La risposta è diventata ovvia: la sua “submissive” plaga! Quell’elemento della trama è poi diventato un veicolo per la cornice otome.

Il momento in cui Otome Edition raggiunge veramente il suo apice è quel primo famigerato “bishie sparkle[1]. Ho dedicato parecchio lavoro a ottenere la transizione e l’animazione giuste perché è cruciale per trasmettere il concetto. Ho apprezzato guardare diverse persone che scoppiavano a ridere quando quel momento accade – e credo che la battuta funzioni bene perché incarna perfettamente questa tensione tra i due media che improvvisamente collassano in un’immagine ridicola (mi sembrava molto importante che i capelli di Leon passassero da statici, nell’immagine precedente, a muoversi delicatamente nella successiva). Da un lato, hai un classico trope di un gioco otome che inquadra l’interesse amoroso con bolle e scintillii per catturare lo spirito di un’attrazione improvvisa e travolgente; dall’altro lato, hai questa trama sulla submissive plaga che esercita la sua misteriosa influenza. E anche se non è ovvio in quel momento iniziale, ho scritto il resto del gioco intorno a una domanda esistenziale: il parassita sta cambiando il carattere fondamentale di Ashley o sta solo accentuando alcune caratteristiche che esistono già? Il suo attaccamento per le opzioni romantiche scaturisce dal suo cuore… o dal parassita che è accanto ad esso?

Con quella struttura in mente, ho quasi completamente riscritto quegli episodi iniziali della demo. Quando Ashley incontra per la prima volta Krauser, ad esempio, ha quella “voce della moto d’acqua” che si bilancia tra la sicurezza e la timidezza: la voce di una giovane donna che va all’università, con alcuni interessi eccentrici e un po’ viziata, ma che ha attraversato ambienti sociali politicamente sensibili abbastanza a lungo da sapere come gestire l’immagine e adottare una performance femminile “normale” (come piace ricordare al burbero e sfrontato Krauser, « we have to anticipate the optics»). Ma poi il risveglio della plaga modifica la sua voce, in modo che la tensione tra il gioco d’azione e il simulatore di appuntamenti diventi davvero una negoziazione di chi è lei di fronte a questa terribile – e spesso stupida – esperienza. Mantenere questo equilibrio non è sempre stato facile, non è nemmeno stato costantemente fatto; sono sicuro che ci sono momenti in cui ho sacrificato un po’ di profondità potenziale per una battuta grezza. Ma spero che l’esperienza complessiva spinga le persone a chiedersi: chi è davvero Ashley Graham?

3. Qual è stata la scena di Resident Evil 4 che vi è piaciuto di più reimmaginare?

La famigerata “water room” è stata senza dubbio la rielaborazione più elaborata e assurda. Mi piace scherzare dicendo che Otome Edition contiene la più lunga sequenza di giochi di parole in un videogioco e, onestamente, potrebbe essere davvero così! Abbiamo sviluppato una battuta ricorrente nel gioco, con Ashley che non sente con chiarezza le persone malvagie e ciò si è evoluto in un fraintendimento dei membri di Los Illuminados che pronunciavano “cerebros” in modo tale che l’enfasi fosse come “cereBROs”. È molto semplice, ma a volte una battuta semplice diventa divertente se la porti oltre ogni ragionevole limite.

La water room è una sezione lunga e stressante nel gioco originale. Volevamo catturare quella sensazione di fatica e allo stesso tempo sorprendere i giocatori con un approccio non convenzionale, quindi abbiamo inquadrato il tutto come uno “show” (che ricorda The Daily Show, The Colbert Report, ecc.) pensato per aiutare Ashley a far fronte al suo trauma legato alla stanza. Questo approccio meta ci ha permesso di esplorare non solo il personaggio di Ashley (ad esempio, ci siamo davvero concentrati su una battuta ricorrente sul suo amore per i biscotti della fortuna), ma anche la variegata fauna dei Los Illuminados. Ci sono “DumBRO”, “SlowBRO”, “CrossBRO”, “BROmeo” e altri – persino una breve pubblicità per “BROgaine”! Il nostro co-fondatore ha registrato diverse partite di quella stanza in modo che avessimo molto materiale che Ashley avrebbe presentato nello show, la maggior parte del quale è solo Leon che spara alle persone in modi cool (e non così cool). C’è persino una piccola cinematic di apertura (mi ispiravo al tipo di montaggi introduttivi che potresti vedere negli show sportivi o su PBS)[2] dove gli osservatori attenti noteranno un riferimento alla testa dell’originario zombie del primo Resident Evil. È tutto molto divertente.

Direi che l’episodio della water room è la quintessenza dell’esperienza di Otome Edition: un tentativo di plasmare il contenuto originale in una nuova forma sorprendente che rispetti e ridicolizzi il materiale di origine allo stesso modo. Abbiamo un uso elaborato della nostra stop-motion, una gamma completa di espressioni fatte a mano per Ashley, battute e riferimenti a non finire ed è tutto molto divertente. Onestamente, l’intera scena era così indulgente verso le battute che il nostro co-fondatore ha insistito affinché io desse alle persone la possibilità di saltare completamente all’intero episodio, per evitare la “pun-izione”[3], come spiega Ashley.

4. Come è nata l’idea delle personalità alternative di Ashley?

Quell’idea si è sviluppata gradualmente. All’inizio dello sviluppo del Capitolo 1 (il villaggio), c’è stato l’ingrato lavoro di creare due percorsi completi dopo la scena della capanna: il percorso di El Gigante o il percorso degli abitanti del villaggio, perché era una delle poche “scelte” legittime che Ashley può vivere. A causa di ciò, volevo che la divisione del percorso avesse ripercussioni per tutto il gioco (un richiamo ad alcune vecchie visual novel in cui una scelta apparentemente piccola all’inizio ha ripercussioni più grandi lungo il percorso, che non avresti potuto prevedere). Allo stesso tempo, stavo già lavorando con il concetto che lo stress stesse esasperando il parassita di Ashley e stavo pensando a come esprimere tale stress. Entrambi i percorsi sono molto stressanti a loro modo, quindi sembrava il momento naturale per alzare l’asticella e sorprendere i giocatori con qualcosa, o qualcuno, di nuovo.

Inizialmente c’era solo un alter ego, quello che alla fine è diventato Lashley. Il nostro co-fondatore, che ha realizzato la grafica per tutti gli alter ego, aveva originariamente realizzato un busto stilizzato di Ashley che non era stato effettivamente utilizzato per nulla di significativo. Mentre stavo sviluppando il percorso di El Gigante, ho deciso di utilizzare quella illustrazione come personaggio, catturando l’idea che la psiche di Ashley si stesse frantumando e formando nuove identità per proteggersi (o alternativamente, che il parassita stesse evolvendo e cercando di manipolarla: è pensato per essere letto in entrambi i modi).

Poiché gran parte del gioco consiste solo nei pensieri di Ashley, sembrava importante fornire un’altra “voce” che potesse interromperne la monotonia, aggiungere un po’ di intrigo e ravvivare il ritmo. Ci piaceva l’idea. Ma una volta che il primo alter ego era stato inserito, sembrava troppo semplice riutilizzare lo stesso elemento nel percorso con gli abitanti del villaggio. È in quel momento che ho ricordato alcune concept art originali di Ashley, che sono state riproposte in quella che è diventata Trashley (poiché appare durante il secondo viaggio di Ashley nel cassonetto della spazzatura). Questi personaggi sono diventati “frammenti” della personalità di Ashley: Lashley, dolce e bella e che indulge nella fantasia; Trashley, grossolana e rozza e ancorata alla realtà. L’azione intensa in quegli episodi è diventata un dispositivo di inquadramento per la negoziazione di sé che sta avvenendo tra Ashley e i diversi frammenti della sua personalità.

Mi piacevano così tanto questi personaggi che non volevo abbandonarli immediatamente, ma ero d’accordo con il co-fondatore sul fatto che avrebbero potuto rimanere più del necessario, finendo per annoiare. Quindi li abbiamo tenuti per l’episodio successivo e abbiamo cercato un modo per “silenziarli” fino a quando non fossimo pronti a usarli di nuovo. Successe così che, mentre il co-fondatore stava registrando delle riprese sulla gondola, smise di prestare attenzione e un abitante del villaggio riuscì a lanciare un’ascia direttamente alla testa di povera Ashley. Ecco fatto: trauma cranico, la scusa perfetta per costringere gli alter ego al silenzio (e al contempo avevamo una gaffe molto divertente).

Più avanti nello sviluppo del Capitolo 2, volevo riportare gli alter ego, ma era difficile trovare il momento giusto. Sapevo che doveva essere lungo a sufficienza da far sì che i giocatori fossero sorpresi dalla loro riapparizione improvvisa. Il segmento di gioco in solitaria di Ashley sembrava la scelta migliore: avevo pianificato che fosse piuttosto lungo e elaborato, un richiamo ai giochi di avventura punta e clicca e a Clocktower su SNES. Avere altre voci avrebbe creato maggior tensione e avrebbe personalizzato l’esperienza. Quindi, mentre Ashley è bloccata contro il muro del castello, abbiamo riportato Trashley e Lashley in nuove forme: Cashley e Slashley. Il moralismo sarcastico di Trashley si è trasformato nella cupidigia spensierata di Cashley; l’ottimismo e l’affetto di Lashley si sono distorti nel pessimismo e nella violenza di Slashley. Questa decisione ha comportato molto lavoro aggiuntivo, poiché richiedeva una serie di conditional texts nella parte di gameplay con Ashley e in alcuni segmenti successivi nel Capitolo 3. Ma si inseriva nel nostro tema esistenziale: come comprendere dove inizia il personaggio di Ashley e dove finisce l’influenza del parassita?

5. Potrebbe esserci una Otome Edition per un altro capitolo di Resident Evil? Ci avete mai pensato, almeno ipoteticamente?

Molte persone ce lo hanno chiesto e certamente ho preso in considerazione la possibilità, ma Otome Edition ha richiesto oltre quattro anni per essere realizzato (e diversi mesi in più per perfezionarlo, successivamente) e, in tutta sincerità, emotivamente non mi metterei di nuovo su un progetto del genere. Ma anche se così non fosse, non so se gli altri giochi si presterebbero in modo così naturale al framework. Resident Evil 4 era un candidato davvero eccellente perché le storie di guardie del corpo sono molto comuni nei giochi otome e Ashley era come un contenitore vuoto, che si adattava perfettamente al modello di una eroina otome standard (silenziosa, un po’ maldestra, attraente in modo carino, travolta dalle bravate degli uomini, ecc.). Inoltre, Ashley aveva una reputazione così negativa tra i fan (per lo più ingiusta, viste circostanze) che volevamo renderla un personaggio completamente realizzato, che le persone potessero amare. Sulla base delle risposte ottenute, credo che ci siamo riusciti e sono molto soddisfatto della felicità che il nostro gioco ha portato alle persone.


[1] Bishie è una abbreviazione di bishounen, termine che indica un ragazzo (o talvolta un uomo) molto affascinante e ricco di fascino.

[2] PBS sta per Public Broadcasting Service. È un’azienda no-profit statunitense di television pubblica.

[3] Qui c’è un gioco di parole difficilmente traducibile: punishment, tra pun (gioco di parole) e punishment (punizione, castigo).

English Interview

  1. How did the idea for Resident Evil 4: Otome Edition come about?

The origin story is less interesting than you might hope. Back in 2014, the co-founder of the studio and I were newly interested in reading otome games together (after consuming some visual novels like Ace Attorney and Zero Escape). After we had experienced a few otome games on the mobile market and from indie developers, we randomly had a conversation about what AAA games from our shared experience had the basic elements (e.g., female protagonist and at least two males) for an otome conversion. We initially considered Silent Hill 3, but Heather seemed too young and her options didn’t seem… appropriate (Vincent? Douglas?? Valtiel???). But thinking about Heather brought to mind another blonde woman in a popular horror game—Resident Evil 4’s Ashley Graham. And then the lightbulb went off. Who hadn’t swooned over Leon S. Kennedy? The game was well loved, with a cheesy story line, and an almost completely blank-slate damsel in distress. It seemed like a perfect candidate for a parody otome game (a “fauxtome”, as I sometimes called it).

So that year, I started some initial prototyping on a since-abandoned engine called Novelty. The work was exceedingly rough; I had played video games all my life, but had never made a visual novel before or worked in a game engine, so there was a heavy learning curve. I messed around for a few months, but for life reasons, I shelved the project for a year. I tinkered with it through 2015 and 2016, mostly during the night before going to sleep, until I eventually I had material up until the cabin scene. By March of 2017, I decided to just publish what I had and see what happened. Somehow, it blew up a bit – some gaming websites found the demo and we were swimming in downloads for about a week or so. I was both elated and horrified by the response—it was very much a proof-of-concept and had very little polish. The public attention also made its way to Capcom’s legal department, which really didn’t appreciate my unaltered use of some character assets. I had a spat with them about the project remaining up and eventually that blew over. But the interest was great enough that I felt comfortable committing to the project and spent the next four years effectively redesigning the whole thing—both to ensure I was safely in the bounds of Fair Use and to fully realize the idea’s potential. I wanted Otome Edition to have enough polish (for a two-person indie developer, at least) that people would accept it as a respectable companion product to the original game. And, if I can be allowed the immodesty, I think we got there.

2. In Otome Edition, Ashley is a mentally active character with agency. The overlap between these elements and the original story, where she is a damsel in distress, is interesting. Was it challenging to achieve this balance? Did you intentionally seek it, or did it emerge by chance during development?

From the beginning, we wanted to explore this tension between mediums—where the action game treats her like an objective and the visual novel treats her like a protagonist. To borrow a sentiment from Hannah Gadsby, comedy is all about the management of tension and we knew the humor value would stem from creating as much friction as possible between Ashley the person and Ashley the gameplay mechanic. So we were very conscious of that friction the whole way through, although the writing around it became more robust as the game developed.

For instance, one odd feature of Ashley that I wanted to explore was her seeming passivity during most of the game and then her sudden eagerness to proposition Leon for sex on the jet ski. Of course, there’s a very superficial read of this behavior: the writing just isn’t that sophisticated (we know now that Mikami penned the main script in less than a month) so it lazily plays into this machismo fantasy of the hot guy saving the damsel and her offering sex as a reward. But I tried to see it from a different angle: as one of Ashley’s most agentic moments, an expression of her “real” self, finally free of the game’s mechanical trappings—a person who had been scared and finally felt secure enough to be a little flirtatious. And if that was her real self, what (other than base fear) might have been suppressing it? The answer eventually became obvious—her “submissive” plaga! That plot device then became a vehicle for the otome framing.

The moment where Otome Edition really hits its stride is that first infamous “bishie sparkle”. I put quite a bit of work into getting the transition and animation on that right because it’s pivotal to selling the concept. I’ve enjoyed watching several people burst out laughing when that moment happens—and I believe the joke lands well because it neatly embodies this tension between the two mediums suddenly collapsing into a ridiculous image (it seemed very important to me that Leon’s hair should go from being static in the preceding image to blowing softly). On the one hand, you have a standard otome game trope of framing the love interest with bubbles and sparkles to capture the spirit of sudden, overwhelming attraction; on the other hand, you have this plot about the submissive plaga exerting its mysterious influence. And although it’s not obvious at that early juncture, I did write the remaining game around an existential question: Is the parasite changing Ashley’s fundamental character—or just accentuating certain features that already exist? Is her affection for her romance options arising from her heart… or from the bug that’s nestled next to it?

With that frame in mind, I did almost completely rewrite those initial demo episodes. When she first meets Krauser, for instance, she has that “jet ski voice” that balances between confidence and bashfulness—the voice of a young college-aged woman who has some quirky interests and is a little spoiled, but who has moved through politically sensitive social circles for long enough that she knows how to image-manage and adopt “normal” feminine performance (as she likes to remind the very gruff and brazen Krauser, “we have to anticipate the optics”). But then the awakening of the plaga alters her voice, so that the tension between action game and dating sim really becomes a negotiation of who she is in the face of this horrible – and often stupid – experience. Maintaining this dance was not always easy or even consistently done; I’m sure there are moments where I sacrificed some potential depth for a crude joke. But I hope the overall experience compels people to wonder: Just who is Ashley Graham?

3. What was the scene from Resident Evil 4 that you enjoyed reimagining the most?

The infamous “water room” was easily the most elaborate and absurd reimagining. I like to joke that Otome Edition contains the longest procession of puns in a video game and honestly, that might be accurate! We developed a running gag in the game that Ashley doesn’t hear evil people clearly and that evolved into a mishearing of Los Illuminados members saying “cerebros” so that the emphasis is like “cereBROs”. It’s very cheap, but sometimes a cheap joke becomes funny if you take it far beyond reasonable bounds.

The water room is a long and stressful section in the original game. We wanted to capture that feeling of slog while also surprising players with an unconventional approach, so we framed the whole thing as a “show” (reminiscent of The Daily Show, The Colbert Report, etc.) meant to help Ashley cope with her trauma about the water room. This meta approach let us explore not only Ashley’s character (e.g., we really leaned in to a running gag about her love of fortune cookies), but also the colorful cast of Los Illuminados. There’s “DumBRO”, “SlowBRO”, “CrossBRO”, “BROmeo”, and others—even a brief infomercial for “BROgaine”! Our co-founder recorded several playthroughs of that room so that we would have lots of footage that Ashley would present on the show, most of which is just Leon shooting people in cool (and not-so-cool) ways. There’s even a little opening “cinematic” (I was channeling the kind of intro montages you might see on sports shows or PBS) where eagle-eyed fans will spot a reference to the original Resident Evil zombie head turn. It’s all very silly.

I would say the water room episode is the quintessential Otome Edition experience—an attempt to mold the original content into a surprising new form that respects and ridicules the source material to equal degrees. We’ve got elaborate use of our stop-animation, a full range of handmade expressions for Ashley, jokes and references galore, and it’s just a lot of fun. Honestly, the whole scene was so indulgent that our co-founder demanded I give people a chance to simply opt out of the entire episode upfront—to sidestep the punishment, as Ashley explains it.

4. How did the idea of Ashley’s alternative personalities come about?

That idea unfolded in steps. Early on in the development of Chapter 1 (the village), I committed to the thankless work of doing two full paths after the cabin—the El Gigante path or the villager path—because it was one of the only legitimate “choices” that Ashley can experience. Because of that, I wanted the path split to have ramifications throughout the game (a throwback to some older visual novels where a seemingly small choice early on has bigger ramifications down the road that you couldn’t possibly have anticipated). At the same time, I was already working with the concept that stress was exacerbating Ashley’s parasite and thus thinking of expressions for said stress. Both paths are very stressful in their own ways, so it seemed like a natural time to raise the stakes and surprise players with something—or someone—new.

At first, there was only one alter ego—what eventually became Lashley. Our co-founder, who did the art for all the alter egos, originally did a stylized bust of Ashley that wasn’t really being used for anything meaningful. As I was developing the El Gigante path, I decided to use that art piece as a character—capturing the idea that Ashley’s psyche was fracturing and forming new identities to protect itself (or alternatively, that the parasite was evolving and trying to manipulate her; it’s meant to be read both ways).

Since so much of the game is just Ashley’s thoughts, it seemed important to provide another “voice” that could break up the monotony, add a little intrigue, and freshen up the pacing. So we liked the idea. But once that first alter ego was in place, it seemed cheap to simply reuse the same asset on the villager path. That’s when I remembered some original concept art of Ashley, which got repurposed into what became Trashley (since she appears during Ashley’s second trip to the dumpster). These characters became “shards” of Ashley’s personality—Lashley, sweet and beautiful and indulgent in fantasy; Trashley, coarse and homely and committed to reality. The intense action in those episodes became a framing device for the negotiation of self that’s transpiring between Ashley and her different shards.

I liked these characters so much that I didn’t want to abandon them immediately, but I agreed with the co-founder that they might overstay their welcome. So we kept them for the subsequent episode and looked for a way to “silence” the voices until we were ready to use them again. It just so happened that, while the co-founder was recording footage on the gondola, she stopped paying attention and one lone villager managed to throw an axe directly at poor Ashley’s head. There it was: Head trauma, the perfect excuse for forcing the alter egos into dormancy (while also just being a very funny goof).

Later on in the development of Chapter 2, I wanted to bring the alter egos back, but wasn’t exactly sure what the right moment was. I knew it should be long enough that players would be surprised by the sudden reappearance. Ashley’s solo gameplay segment seemed like the best bet—I planned for it to be pretty long and elaborate, a throwback to point-and-click adventure games and to Clocktower on the SNES. Having other voices would create more drama and make for a more tailored experience. So while Ashley was stuck on the castle wall, we brought Trashley and Lashley back in new forms—Cashley and Slashley. Trashley’s wry moralism turned into Cashley’s flippant greed; Lashley’s optimism and affection warped into Slashley’s pessimism and violence. This decision created a lot of extra work, since it required a bunch of conditional text in Ashely’s gameplay segment and in some later segments in Chapter 3. But it fed into our existential theme: How could you tell where Ashley’s character begins and the parasite’s influence ends?

5. Could there be an Otome Edition for another chapter of Resident Evil? Have you ever thought about it, hypothetically?

People have asked us about it and certainly I’ve considered the possibility, but Otome Edition took over four years to realize (and several more months to fine-tune afterward), and to be totally real, I’m not emotionally ready to take on that kind of project again. Even if I was, I don’t know if any of the other games would lend themselves so naturally to the framework. RE4 was such a great candidate because bodyguard stories are very common in otome games and Ashley was such a empty vessel who neatly fit the mold of a standard otome heroine (e.g., quiet, a little clumsy, attractive in a cute way, swept up into men’s hijinks, etc.). Also, Ashley just had such a bad reputation among the fan base (most of which is unfair, given her circumstances) that we wanted to make her a fully realized character that people could love. Based on responses, I think we accomplished that and I’m very satisfied with the happiness our game has brought people.

Natura in pixel

Questa è la pagina dedicata a tutte le informazioni su Natura in pixel. Un libro sui videogiochi per la beneficenza ambientale, curato da Chiara Ambrogio e Francesco Toniolo.

Qui sotto troverete, in futuro, le donazioni effettuate all’Oasi Lipu Bosco del Vignolo attraverso quanto raccolto con il libro.

Puoi andare qui per comprare il libro.

Natura in Pixel

Troverete anche le bio di autrici e autori che hanno contribuito al libro. Se volete saperne di più sulla genesi del testo e sulla call for papers che era stata fatta potete leggere qui.

Bio

Qui sono riportate le bio di tutte le persone che hanno contribuito al progetto. NOTA: non abbiamo ricevuto tutte le bio, vedremo se ci sarà modo di integrarle in futuro.

Chiara Ambrogio, laureata triennale e magistrale in comunicazione e marketing all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Videogiocatrice sin dall’infanzia e profonda conoscitrice del cinema d’animazione, ha sempre nutrito una grande passione verso l’universo dei media digitali in tutte le sue innumerevoli declinazioni. Nella vita si destreggia tra volontariato, attività di social media managing e la scrittura di articoli. Uno di questi, direttamente ispirato alla sua tesi di laurea triennale sul rapporto tra i videogiochi e il teatro, è stato pubblicato sul sito «IPID.dev» (Italian Party of Indie Developers) e successivamente ripreso dal portale «Everyeye.it». Il suo elaborato per il conseguimento della laurea magistrale si è occupato di analizzare il fenomeno (tanto sfuggente quanto capillare) della gamification.

Marco Bortoluzzi: Vive in mezzo ai monti del Trentino, quindi quando ha sentito che c’era da aiutare per una causa naturalistica non ci ha pensato due volte. Quando non abbraccia gli alberi o straparla di fortificazioni austroungariche, scrive per The Games Machine e per Frequenza Critica, di cui è uno dei fondatori.

Daniele Brussolo, psicologo psicoterapeuta. Con il gruppo Digitabilis – Percorsi di esplorazione digitale si occupa di media education, empowerment e contrasto ai divari socio-digitali in contesti formativi e di comunità. Docente presso il Master di Psicologia Digitale organizzato da Horizon Psytech e IDEGO, su tematiche relative ai processi identitari e alla promozione del benessere nell’ “onlife” e nei videogiochi.

Andrea Corinti è un autoproclamato “Italian Web World citizen”: un cittadino del mondo digitale condannato dalla feroce italianità scolpita nel proprio modus vivendi. Nato nel 1989 fra le splendide colline comasche, ha trascorso l’adolescenza tra l’Argentina e la Sicilia per poi fermentare una decina d’anni a Genova. Attualmente studia Scienze della comunicazione & media digitali e lavora come redattore web per la casa editrice Edilingua in quel di Atene, Grecia, dove vive dal 2019. L’amore per internet, musica, libri e videogiochi (oltre alle belle donne ed il buon vino) sono le poche costanti che si porta appresso nei suoi vagabondaggi.

Marco Favaro (1990) è Program Manager presso l’University of Europe for Applied Sciences di Berlino dove insegna Comparative Cultural Studies. Ha conseguito il dottorato di ricerca in Studi Culturali e Scienze Umane presso la Otto-Friedrich-Universität Bamberg in cotutela con l’Università degli Studi di Verona. Precedentemente ha studiato filosofia a Roma Tor Vergata e alla Freie Universität di Berlino. È autore de La Maschera dell’Antieroe, pubblicato nel 2022 da Mimesis, libro che definisce le strutture e i concetti filosofici del genere supereroico contemporaneo. Marco studia, adottando una prospettiva prevalentemente filosofica, la cultura popolare, concentrandosi in particolare su fumetti e videogiochi. È coeditore del volume Batman’s Villains and Villainesses. Multidisciplinary Perspectives on Arkham’s Souls pubblicato nel 2023 da Lexington Books, ed è autore di diversi articoli tra cui “Dylan Dog’s Nightmares” (Critical Approaches to Horror Comic Books, Routledge), “The Horror Vs. L’Indagatore dell’Incubo” (Horror and Philosophy, McFarland), “Corpi, Macchine e Zombies” (Futuri. La Rivista italiana di Futures Studies) e “Antiheroes in the Rubble” (International Journal for the Fantastic in Contemporary Media). Nell’A.A. 2020/21, ha lavorato come docente all’Università di Bamberg, presentando un seminario sull'”antieroe”. Dal 2022 collabora con la rivista online Lo Spazio Bianco. Diversi suoi saggi, articoli e recensioni sono reperibili online in modalità open access.

Ambra Ferrari è docente di Comunicazione e Nuovi Media per Horizon Psytech & Games. Dottoressa di ricerca in Educazione nella Società Contemporanea, insegna Ludonarrativa, Player Experience, e i vantaggi dei videogiochi commerciali sullo sviluppo cognitivo e l'arricchimento valoriale presso il Master di Psicologia Digitale organizzato da Horizon Psytech e IDEGO. È membro del consiglio scientifico direttivo di Play Better e Formatrice in contesti aziendali, occupandosi di risoluzione dei conflitti, comunicazione efficace, e informatica per la Terza Età.

Enrico Gagliano, siciliano, classe 94. Scrittore in erba. Con Pirandello condivide la città natale, ma non il talento. Ha frequentato la facoltà di giurisprudenza dell’Università LUISS Guido Carli per poi laurearsi all’ università di Palermo. La sua tesi di laurea riguardava la “tutela dei consumatori minori all’ interno del mercato videoludico”, con la quale ha poi partecipato al premio IVIPRO nell’ anno 2021. Nel 2023 ha partecipato ad un tirocinio formativo presso l’ ONU ed ha pubblicato un articolo per la testata ONUITALIA. Persona in divenire, è alla continua ricerca di un modo per conciliare la sua passione per il medium videoludico con il suo percorso professionale.

Samuele Graziani laureato triennale e studente magistrale di Archeologia all’università La Sapienza di Roma. Oltre che di storia è appassionato di videogiochi e di scrittura. Prima di questa collaborazione ha partecipato a diversi concorsi letterari tra cui il  concorso letterario indetto dalla Biblioteca comunale “G. Taroni” di Bagnacavallo “Il racconto in 10 righe”, dove il suo racconto è stato segnalato dalla giuria, e  alla 31esima edizione di “San Valentino…innamorati a Camogli” indetto dal comune di Camogli,  dove la sua poesia è stata pubblicata ed esposta.

Pietro Iacullo, laureato con disonore in informatica. Attivo nella critica videoludica dal 2013, l’anno successivo fonda il sito web I Love Videogames per cui è webmaster e, fino al 2020, Creative Director. In seno al progetto nel 2016 avvia il podcast Gameromancer, di cui è co-autore e conduttore e che agli inizi del 2019 diventa un progetto stand-alone. Attraverso Gameromancer inizia ad occuparsi anche di tematiche sociali legate al videogioco e dello stato di salute delle persone impiegate nell’industria. Dal 2022 collabora anche con The Games Machine, la più vecchia rivista di videogiochi ancora in edicola in Italia.

Luigi Marrone, cofondatore di Ludenz, progetto indipendente di cultura del videogioco – tra rivista cartacea e canali multimediali online – che presenta analisi e pratiche creative sui videogiochi e sulle contaminazioni esistenziali tra l’essere umano e gli universi digitali. È designer e curatore di corsi di scrittura creativa in scuole pubbliche e associazioni culturali. Autore di saggi creativi, videoanalisi e performance di Video Game Art, la sua ricerca critica sul medium videoludico si focalizza sulle intersezioni fra simulazione e rappresentazione, psichico e virtuale, analogico e digitale. Interessato all’analisi che promuove ogni possibilità di trascendere il ludus digitale quale mezzo neutrale di disimpegno e puro intrattenimento, considera il videogioco – oltre che un mezzo di espressione ideologica, artistica e culturale – una dimora dimensionale della coscienza che influisce su diversi ambiti umani ancora da esplorare.

Riccardo Retez è un dottorando in Visual & Media Studies presso l’Università IULM di Milano, con particolare attenzione agli studi sociali, di pubblico e ai Game Studies. La sua ricerca si concentra sul comportamento degli spettatori sulle piattaforme di live streaming in relazione a fenomeni sociali di consumo sociale e culturale. Ha conseguito la laurea magistrale in Televisione, Cinema e Nuovi Media presso l’Università IULM nel 2019 e la laurea triennale presso la LABA di Firenze nel 2017. Contribuisce a pubblicazioni accademiche su riviste e volumi internazionali (Concrete Press 2020, Ludica 2020; Eracle Journal 2021, IFM 2021, Phoenix Papers 2022, Oxford Press 2023, Mimesis 2023) e lavora come curatore di eventi legati alla cultura visiva contemporanea.

Daniele Ricciardi: Appassionato di storie videoludiche, ma soprattutto delle strade che le connettono con le altre forme d’arte. Provo a valorizzarle scrivendo, ma soprattutto attraverso il progetto di analisi e divulgazione Arcadia Café.

Logan Singer (a.k.a Gianclaudio Pontecchiani) comincia a bazzicare il web conducendo un podcast che prima trattava di cinefumetti e poi anche di videogiochi. Da qui inizia a collaborare con alcuni siti d’informazione videoludica, per poi approdare in pianta stabile nella redazione di PSM PlayStation Magazine Italia (storica rivista di videogiochi italiana) per la quale, oltre a contribuire con recensioni, anteprime e quant’altro, si occupa anche di alcuni aspetti grafici (disegnandone le copertine e i fumetti che ogni mese erano presenti all’interno della stessa), del montaggio delle puntate del podcast dedicato e, in buona parte, anche del comparto social. Oggi è co-fondatore e anima grafica ed estetica del progetto Ludenz (www.ludenz.it) sia nella sua forma cartacea che digitale.

Marco Spelgatti (aka Queerginia Wolf) , scrive narrativa e zampetta tra game e narrative design. È metà di owofgames, duo che crea videogiochi queer (il primo titolo è non-binary). È parte del collettivo videoludico LemuRivolta, e tra le persone che organizza IN/VISIBIL3 – elaborazioni intersezionali per il mondo ludico, una convention che affronta il mondo ludico e videoludico con sguardo transfemminista e queer. Fa parte del collettivo Monsterə, creatric3 della zine queer weird sperimentale Monstera Fabulosa. Tra le pubblicazioni recenti il racconto erotico queer Lanzichenecchi (Frisson Magazine), il romanzo gotico La contessa e una rilettura transfemminista de L’orrore di Dunwich di Lovecraft (Notte di nozze, ed. Hypnos). 

Francesco Toniolo, PhD, insegna all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e di Brescia e alla NABA di Milano. Tiene anche delle lezioni in altre realtà come la scuola Mohole di Milano e il master di game design dell’Università di Camerino oltre a corsi di formazione per docenti e altro ancora. Le sue attività di insegnamento e le sue pubblicazioni riguardano principalmente i videogiochi, ma si è anche occupato di altri settori delle industrie culturali e creative. Ha pubblicato numerosi contributi accademici tra saggi, curatele, articoli in rivista e capitoli in miscellanee. Ha anche lavorato nella manualistica per le scuole secondarie di secondo grado, dove è in particolare coautore del manuale Corrispondenze. Scrive contributi divulgativi per realtà come, «Libertà»(dove ha una rubrica settimanale sui videogiochi), «Everyeye.it», «FinalRound.it» e «La lettura delle ragazze e dei ragazzi» (l’inserto del «Corriere della sera»). Per le altre sue pubblicazioni guarda qui.

Un estratto dell’introduzione

Qui sotto trovate riportato un pezzo dell’introduzione del libro, in cui si parla del Bosco del Vignolo, a cui andranno i soldi raccolti attraverso questo libro.

Il libro che avete tra le mani nasce dunque con una duplice missione: in primo luogo, lanciare un doveroso grido d’allarme per ricordare a tutti lo status altamente precario del destino del pianeta che ci ospita. In secondo luogo, e su un piano più concreto, quest’opera corale servirà per sostenere una realtà che si occupa di salvaguardare l’ecosistema di un bellissimo parco naturale nei pressi di Pavia: l’Oasi Lipu Bosco del Vignolo. È una realtà specifica, che abbiamo scelto per diverse ragioni. In primo luogo per evitare grandi enti dove è facile la dispersione e la minor tracciabilità delle risorse donate.

Soprattutto, però, questa Oasi Lipu è un perfetto simbolo di rinascita.

Negli anni sessanta – e fino agli anni ottanta – in quella zona c’era solo una discarica di rifiuti solidi, poi in parte sostituita e in parte affiancata da una pista da motocross gestita da privati. Il classico luogo che sembrerebbe irrecuperabile e condannato. Ma non è stato così. Man mano emersero dei ripensamenti su quell’area, che portarono a una serie di iniziative da cui è poi emersa l’Oasi Lipu. Nata nel 1998, l’oasi si è poi estesa nel corso del tempo, passando dai sette ettari iniziali agli oltre venticinque attuali.

La trasformazione è stata enorme. Certo, si riconoscono ancora indizi di ciò che quell’Oasi era in passato. Non tutto cambia in un istante. E ci sono anche tracce nascoste: la discarica a cielo aperto è ancora lì, solo che non è più visibile, è solo stata ricoperta da spessi teli, su cui sono stati posti strati di terra, in cui oggi crescono gli alberi. Discorso simile per il campo da motocross: ancora se ne indovina il tracciato, ora divenuto un sentiero, e ancora, di tanto in tanto, affiorano pneumatici e altre tracce di quel passato. Ma oggi sia l’una che l’altro sono luoghi che ospitano numerose specie animali, che dispongono di differenti ambienti adatti a loro. Il Bosco del Vignolo mostra un bel ripensamento del rapporto con la natura, è un piccolo ma concretissimo esempio di come cambiare il corso degli eventi per trasformare una discarica e una pista privata da motocross in un bosco pieno di vita: due brutte storie a lieto fine.

Merita inoltre una menzione Fausto Pistoja, il responsabile dell’Oasi. Grande appassionato di natura in generale e di botanica in particolare, è anche fondatore dell’associazione Tiny Forest Italia, che si occupa di forestazione seguendo il metodo Miyawaki, basata sul principio del non limitarsi a piantare alberi, ma creare piccoli ecosistemi. L’associazione, per ora, ha al suo attivo 2 Tiny Forests, di cui una è la prima piccola foresta italiana in ambito scolastico, mentre sono in corso diversi altri progetti, soprattutto in Pianura Padana, un territorio martoriato che ha particolarmente bisogno di polmoni verdi.

Come detto questo libro sostiene l’Oasi Lipu Bosco del Vignolo. Vi invitiamo ovviamente ad approfondire la bella storia di questo bosco e, se non è troppo lontano da dove abitate, di andare anche a visitarlo. Potete inoltre fare donazioni aggiuntive, dirette, al Bosco del Vignolo.

Su www.lipu.it/dona tutte le modalità per far giungere il proprio contributo, specificando nella causale “Donazione a sostegno dell’Oasi Lipu Bosco del Vignolo”.

 specificando nella causale “Donazione a sostegno dell’Oasi Lipu Bosco del Vignolo”.

In questo caso i soldi donati non passeranno da noi e saranno destinati direttamente alle attività del Bosco del Vignolo e della LIPU.

Questo libro è nato da una call for papers che abbiamo fatto circolare online. Hanno risposto autrici e autori con differenti background e interessi. Anche per questa ragione, i loro contributi offrono un approccio variegato. Alcuni hanno un taglio più accademico, altri più divulgativo. Alcuni si soffermano su specifici videogiochi, altri propongono panoramiche più ampie. Considerando la natura e la finalità del libro abbiamo volutamente deciso di non uniformare eccessivamente i differenti testi, per lasciare una traccia più evidente di questa ricchezza di voci che hanno partecipato. A questo proposito, ci teniamo a ringraziare tutte le persone che hanno voluto inviarci un contributo per quest’opera.

Sempre alla luce della finalità del libro, abbiamo deciso di non inserire qui dentro le bio di autori e autrici. Potete però trovarle tutte quante nella pagina dedicata al libro su www.francescotoniolo.com.

Nelle prossime pagine troverete racconti, memorie, e più in generale testi che serviranno a (di)mostrare quanto il mondo del gaming sia in grado di agganciarsi ai più sentiti temi d’attualità e trattare di questi ultimi con una spiccata serietà – serietà forse ancora lontana dalla concezione che tuttora grava nei confronti dell’intrattenimento, soprattutto videoludico.

Donazioni

Qui saranno indicate le donazioni effettuate.

La prima donazione è stata effettuata il 03/05/2024 durante un evento pubblico a Garlasco.

Sono stati donati 410 euro, di cui:

340 raccolti da Amazon

70 raccolti quella sera stessa

Qui sotto potete vedere la cifra venduta su Amazon:

309,66 dalle vendite del cartaceo e 28,40 dalle vendite dell’ebook, per un totale di 338,06, che ho arrotondato a 340.

Qui trovate la ricevuta di pagamento:

Ho escluso dal conteggio le vendite di Itch.io (che al momento sono circa 18 dollari), le aggiungerò alla prossima donazione che verrà effettuata.

Chiara Ambrogio, Francesco Toniolo e Fausto Pistoja

Percentuali e altre info

Dopo lunghe riflessioni, abbiamo messo il libro su Amazon KDP. Come detto in passato, i margini dell’editoria tradizionale sono troppo bassi per portare a delle donazioni tangibili.

Abbiamo chiesto diversi preventivi per stampare privatamente il libro e inviarlo, ma avrebbe avuto costi molto elevati, contando che alla stampa bisogna aggiungere la spedizione (e purtroppo il piego di libri base finisce spesso perso – per esperienza personale – per cui serve il piego di libri raccomandata).

Per questi e altri problemi, tra cui quello di dover gestire un eventuale magazzino, abbiamo infine optato per Amazon, pur con la consapevolezza che non sia comunque la miglior soluzione possibile, visto che significa lasciare una fetta a una multinazionale.

Rimane comunque la modalità con cui poter dare la parte maggiore dei proventi all’Oasi, senza incappare in un numero enorme di costi palesi o nascosti. Alla fine è stato il miglior compromesso tra accessibilità e soldi ottenuti.

I soldi saranno ricevuti da Francesco Toniolo. Amazon bonifica dopo tre mesi. La cifra ottenuta sarà donata al Bosco del Vignolo.

Per chi se lo stesse chiedendo: purtroppo non era possibile fare in modo che i soldi del libro andassero direttamente all’Oasi, operazione che avrebbe semplificato il tutto. A loro vanno però direttamente i soldi delle donazioni effettuate tramite bonifico.

Sull’ebook, Amazon trattiene il 30% del prezzo di copertina, da cui bisogna anche togliere l’iva.

Sul cartaceo, Amazon trattiene il 40%. Oltre a quello bisogna sottrarre il costo della stampa, che è di 4,16 euro, e l’iva.

Potrebbero emergere piccole disparità in caso di acquisti in altre parti del mondo. Allo stesso modo, in base alla cifra potrei togliere qualcosa per compensare le tasse che dovrò pagare sui soldi ricevuti. Sarà comunque tutto documentato.

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