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Donna Beneviento: madri velate e Veneri anatomiche

L’articolo sottolinea certe similitudini tra gli eventi di villa Beneviento in Resident Evil Village e alcune tradizioni fotografiche e manifatturiere del passato.

Ho scritto questo contributo insieme all’artista visuale e tessile Anna Bassi.

L’anno scorso ho pubblicato, su Everyeye, un altro articolo divulgativo dedicato a Donna, Angie e al feto mostruoso. Chi volesse recuperarlo lo trova qui.

La bambola sposa e la madre velata

Donna Beneviento è uno dei quattro lord di Resident Evil Village, il secondo che viene affrontato da Ethan nel corso del suo viaggio. Donna non ha subito radicali mutazioni fisiche con il Cadou ricevuto da Madre Miranda: l’unico cambiamento visibile nel suo corpo riguarda la cicatrice sul volto, che è diventata un carnoso ammasso informe. In ogni caso, Donna non rivela mai il suo viso, che è sempre celato da un velo nero. Allo stesso tempo, lei non parla mai (solo in un momento del gioco è udibile la sua voce), si esprime invece attraverso Angie, la sua bambola.

Angie è una bambola vestita da sposa, con il volto che ricorda l’emblema del casato Beneviento (un sole e una luna); è un dono che il padre di Donna – defunto – realizzò per la sua bambina. Come intuibile attraverso una nota leggibile nella casa del giardiniere della famiglia, Donna ricorreva ad Angie per parlare già prima di ottenere il Cadou da Madre Miranda, con relativi poteri. In quel caso si trattava però di semplice ventriloquia; in seguito, invece, Donna divide il Cadou tra le sue bambole, per poterle controllare a distanza, ed Angie sviluppa l’effettiva abilità di muoversi e di parlare. Anche in questo caso, però, Angie è comunque la portavoce della sua proprietaria, di cui fa le veci.

Osservandole vicine, uno dei primi elementi che risalta all’occhio di chi guarda è il contrasto cromatico tra i vestiti delle due: l’abito bianco, da sposa, di Angie si staglia sulla luttuosa veste nera di Donna.  Angie, che fa da portavoce, ha questa connotazione simbolicamente più felice, di donna che si apre alla vita e al matrimonio, in contrasto con l’apparente vedovanza della proprietaria. In realtà, dato che sono sostanzialmente la stessa persona, è come se queste due simboliche fasi della vita siano tra loro compenetrate. Questa compenetrazione è ulteriormente richiamata dallo stemma di famiglia, che a sua volta è riprodotto sul volto di Angie, simile a un sole e una luna intrecciati tra loro. Tale simbologia celeste va a rimarcare la presenza di un’apparente dualità che rivela una totalità.

Tornando all’apparenza, tuttavia, Donna e Angie appaiono come due entità distinte, visivamente. Le due sono in particolare connotate da un rapporto madre-figlia. Alla luce di questo legame, e del costume indossato da Donna Beneviento, emerge in filigrana un parallelismo con l’usanza, nata a fine ‘800, di fotografare i bambini in braccio a madri vestite di nero e con il volto completamente velato.

A sinistra: immagine estrapolata dalla serie fotografica The Hidden Mother (2006-2013), di Linda Fregni Nagler. L’artista ha raccolto 997 tra dagherrotipi, tintype, stampe all’albumina, istantanee e altro, documentando la diffusione del fenomeno della madre velata e della condizione femminile tra ‘800 e ‘900. A destra: Donna Beneviento e Angie.
A sinistra: immagine estrapolata dalla serie fotografica The Hidden Mother (2006-2013), di Linda Fregni Nagler. L’artista ha raccolto 997 tra dagherrotipi, tintype, stampe all’albumina, istantanee e altro, documentando la diffusione del fenomeno della madre velata e della condizione femminile tra ‘800 e ‘900. A destra: Donna Beneviento e Angie.

In tal modo i figli spiccano visivamente, diventando protagonisti del ritratto. Le madri sono un puro fondale fotografico e la loro identità viene completamente oscurata, rimarcando il ruolo silente che la società desiderava incarnassero. Al nostro occhio contemporaneo tali immagini suscitano immediato rimando al burqa, che cela completamente il corpo e il volto della donna che lo indossa. Donna Beneviento è “madre” di Angie, ma a parte questo la sua caratterizzazione relazionale nel videogioco è soprattutto quella di figlia. Sia nei confronti dei suoi genitori biologici, da cui eredita la casa di famiglia e Angie, sia nei confronti di Madre Miranda, che la adotta per portare avanti su di lei gli esperimenti con il Cadou.

La prima occasione in cui è possibile incontrare Donna e Angie, nel videogioco, mostra proprio le due in una posa simile a quella delle madri velate (o hidden mothers) nelle fotografie. Angie, dopo aver assistito al risveglio di Ethan (che si trova in catene al cospetto di Madre Miranda e dei lord), corre in braccio a Donna, seduta in disparte e a malapena visibile contro il fondale buio della stanza.

Angie in braccio a Donna durante la riunione dei lord con Madre Miranda.
Angie in braccio a Donna durante la riunione dei lord con Madre Miranda.

Inoltre, Donna è doppiamente oscurata, non solo in quanto “madre velata”, ma anche in quanto “burattinaia”, che non deve apparire sulla “scena”. Questo emerge con chiarezza soprattutto in un contenuto esterno a Resident Evil Village: la triade pubblicitaria Play in Bio Village, uno show di marionette che vede i quattro lord del videogioco come protagonisti. Tuttavia, al fianco di Alcina Dimitrescu, Salvatore Moreau e Karl Heisenberg è presente Angie al posto di Donna Beneviento, nonostante la sua qualifica di lord. Donna è visibile solo per un momento, nel terzo corto, intenta a muovere i burattini da dietro il fondale. Sebbene si tratti di un prodotto esterno alla storia di Resident Evil Village, questo contenuto è comunque indicativo del ruolo nascosto, “dietro le quinte”, che Donna assume.

Tornando ad Angie, si possono fare alcune considerazioni sull’oggetto bambola, a proposito di lei. La bambola è un alter ego rassicurante o minaccioso a seconda dei contesti. Le bambine e i bambini vi giocano creando personaggi immaginari che possono fare attività sognate o proibite, oppure possono diventare figure affettive, sostitutive di persone reali (Giordano 2012). Ma nelle mani di uno stregone tale oggetto può diventare potenzialmente pericoloso, ad esempio nel rituale voodoo in cui si desidera danneggiare la persona simboleggiata dalla bambola magica (Métraux 1959). Difficilmente quindi la bambola è “solo” un giocattolo, in quanto è un oggetto che si fa portatore di molteplici implicazioni, talvolta stratificate.

Nel caso di Angie, lei è la bambola che è stata ricevuta dal padre defunto, per cui rappresenta un legame con il passato, un ideale ponte verso l’infanzia perduta di Donna. Inoltre, si tratta di una bambola sposa, proiezione di una potenziale condizione futura di moglie.

Angie è la bambola più significativa di Donna Beneviento, ma non l’unica, in quanto la sua casa è colma di bambolotti di varie fattezze e dimensioni, che appaiono particolarmente minacciosi durante l’allucinato scontro tra Ethan ed Angie. Come è stato sottolineato (Pinder 2021), Donna sta giocando con Ethan, in un certo senso, durante tutta la permanenza dell’uomo all’interno della sua villa. In quest’ottica, l’abbondante presenza delle bambole va a recuperare anche quello che è il più immediato e attualmente diffuso significato dell’oggetto: l’essere un giocattolo per l’infanzia. E Donna, stando agli appunti di Madre Miranda, non è una persona mentalmente stabile: è un’adulta con comportamenti talvolta infantili, i cui problemi psichici sono stati acuiti dal Cadou.

Manichini-puzzle e Veneri anatomiche

Merita una riflessione anche il manichino ligneo, raffigurante la moglie di Ethan, presente nel sotterraneo di casa Beneviento. Anche in questo caso ci troviamo di fronte a un oggetto che, come le bambole, potrebbe essere un’ulteriore proiezione esterna, causata dalle allucinazioni, di conflitti e timori interiori.

La particolare conformazione di tale manichino, che presenta arti estraibili che racchiudono anche oggetti utili per il proseguimento dell’avventura, può ricordare la tradizione delle Veneri anatomiche. Si tratta di statue scomponibili che venivano utilizzate per mostrare l’anatomia degli organi interni, in uso a partire dalla fine del ‘700. Erano artefatti estremamente realistici, con tanto di ciglia e capelli veri, solitamente realizzate in cera, materiale che aumenta ulteriormente il senso di verosimiglianza con la pelle umana. Nella maggior parte delle Veneri, oltre agli organi estraibili, era presente anche un feto, nonostante dall’esterno non fossero visibili segni di gravidanza (Ebenstein 2017).

Sopra: Ethan ispeziona il manichino scomponibile. Sotto: Venere dei Medici o venere smontabile, officina di Clemente Susini, Specola di Firenze, 1780/82, cera, grandezza naturale.
Sopra: Ethan ispeziona il manichino scomponibile. Sotto: Venere dei Medici o venere smontabile, officina di Clemente Susini, Specola di Firenze, 1780/82, cera, grandezza naturale.

Il manichino di Resident Evil Village non è inserito con la volontà di mostrare l’anatomia femminile. Sul versante ludico, è uno strumento funzionale alla risoluzione di uno dei puzzle presenti nella villa. Sul versante narrativo, invece, rafforza il senso di colpa di Ethan nei confronti della sua famiglia. L’interazione col manichino, che raffigura sua moglie Mia, precede la comparsa del mostruoso feto gigante che insegue il protagonista nei sotterranei della casa. Ritorna, pertanto, il rapporto tra la statua femminea e il feto, seppur in modo differente rispetto alle Veneri anatomiche.

Bibliografia

Ebenstein (2017): J. Ebenstein La venere anatomica, Interlogos, Modena 2017.

Giordano (2012): M. Giordano, Trame d’artista. Il tessuto nell’arte contemporanea, Postmedia books, Milano 2012.

Métraux (1959): A. Métraux, Le vaudou haïtien, Gallimard 1959.

Pinder (2021): M. Pinder, Mouldy Matriarchs and Dangerous Daughters. An Ecofeminist Look at Resident Evil Antagonists, «M/C Journal», 24(5), 2021.

Aspettando Elden Ring: una retrovisione sul successo in video dei “Souls”

Elden Ring prima o poi arriverà e farà ripartire il ciclo. Tutti i “Souls” (intendendo, con questo termine, i tre Dark Souls, Demon’s Souls, Bloodborne e Sekiro) sono in qualche modo legati alla ciclicità, ma non è di questo che parleremo.

Il ciclo, qui, è quello della discorsività prodotta dai fan. Che già viene continuamente rintuzzata a ogni nuovo trailer, immagine o gossip su Elden Ring. Una volta che il videogioco sarà uscito, tutta questa macchina di discorsività ripartirà, come avviene ogni volta, soprattutto grazie a numerosi video.

Non è la prima volta che scrivo qualcosa sui “Souls”, per cui potete consultare la pagina delle pubblicazioni per ulteriori letture. Segnalo in particolare questo mio articolo accademico su architettura e concept art.

Il discorso sul successo “in video” di questi videogiochi merita però qualche approfondimento in più. Anche con un caso piccolo ma molto concreto che troverete più sotto.

Aspettando Elden Ring: una retrovisione dei souls

Il caso dei “Souls”: difficoltà, horror, spettacolarizzazione e analisi fanmade

Alla sua uscita, Demon’s Souls è stato quello che potrebbe essere definito, seguendo le parole di Jim Sterling (2018), un middle shelf game. Un prodotto “medio”, che non deriva da una piccola produzione ma non ha nemmeno le pretese dei videogiochi nel segmento più alto dei “tripla A”.

Nelle originarie intenzioni dei suoi creatori è rivolto a una nicchia piuttosto definita. Un pubblico principalmente giapponese, amante della difficoltà e disposto a investire un certo numero di ore nel gioco, per poterlo padroneggiare nelle sue sfaccettature, compresa una particolare forma di interazione online. È infatti possibile entrare nel mondo di altri giocatori per aiutarli a sconfiggere i nemici oppure per cercare di assassinarli. Al tempo stesso è ovviamente possibile subire una invasione o invocare l’aiuto di un altro giocatore. Questa forma ibrida fra single player e multiplayer è stata talvolta definita mingleplayer (Waugh, 2014).

I principali hooks con cui il videogioco è stato presentato – almeno inizialmente – si sono legati in primo luogo alla difficoltà, declinata di volta in volta in differenti modi: l’ambiente ostile (trappole), la forza dei nemici, la libertà d’azione e le sue conseguenze, il senso permanente di perdita. Erano questi i principali argomenti utilizzati per catturare l’attenzione del pubblico potenziale.

Le dinamiche del videogioco sono piuttosto note, ma per chi non le conoscesse, si ricorda che è possibile uccidere anche gli NPC amici, perdendo così per il resto della partita la possibilità – per esempio – di apprendere magie o depositare oggetti. Inoltre, quando il personaggio muore, tutte le sue “anime” (utilizzate per salire di livello e acquistare oggetti) non spese rimangono in terra sul luogo del decesso. Il giocatore, per recuperarle, deve ripercorrere il tragitto compiuto in precedenza, sconfiggendo nuovamente i mostri affrontati. In caso di una seconda sconfitta prima del recupero le anime spariscono e sono perse per sempre.

La morte, inoltre, riduce i punti vita del personaggio, rendendo ancor più difficoltoso il recupero. Tutto il gioco, in vari modi, è peraltro legato al senso della perdita e del ritorno/ripetizione (Weis, 2014: 206–207), dalle meccaniche alla componente narrativa. La mancanza della pausa anche quando si gioca offline, inoltre, aumenta ulteriormente la difficoltà, in quanto pure eventuali stimoli esterni al gioco possono andare a render più difficoltosa una partita che non può essere arrestata.

Sempre a proposito della difficoltà, il giornalista Tom Bissell, fra gli altri, ha ripercorso con un certo sarcasmo (e non senza alcune esagerazioni) il sentire legato alla difficoltà di Demon’s Souls, fra narrazioni iperboliche di imprese impossibili e puristi che auspicano una difficoltà ancor più elevata (Bissell, 2012).

Questa generale sensazione di difficoltà può costituire un primo elemento di interesse per l’estensione del successo di un gioco oltre i confini inizialmente per lui profilati, ma già a proposito di questo primo elemento è utile una precisazione. Le strategie per completare un livello di videogiochi come Ikaruga o Super Meat Boy – tanto per fare altri due esempi abitualmente considerati “difficili” – sono numericamente contenute, e quel che primariamente conta è la bravura nell’esecuzione. Ancor più, in un gioco come Getting Over It, per superare gli ostacoli è richiesta una certa conoscenza dell’ambiente e un’ottima padronanza dei controlli. Demon’s Souls, anche per la tipologia di gioco cui appartiene, offre al giocatore una casistica molto più ampia di possibilità per superare gli ostacoli. Le scelte individuali, legate al potenziamento di certi parametri e all’equipaggiamento selezionato, possono cambiare radicalmente l’approccio ai combattimenti.

A prescindere dallo stile di gioco, alcune decisioni possono considerevolmente facilitare il giocatore e si rivelano pertanto idonee per i meno esperti. Fra le classi selezionabili a inizio gioco, per esempio, quella del Nobile è ritenuta ottimale per un inizio avvantaggiato, poiché è più facilmente personalizzabile e dispone fin da subito di un oggetto che recupera gradualmente i punti magia. Per alcuni puristi la scelta di questa classe significa quasi barare, o perlomeno non voler godere fino in fondo della sfida che il gioco offre (Klepek, 2015a).

Altre, invece, possono essere un palese e voluto handicap (per esempio utilizzare per tutto il gioco una delle armi più deboli disponibili) che un veterano può deliberatamente selezionare per accrescere il tasso di sfida.

È pertanto possibile ricercare e fruire di numerosi video sul gioco, per apprendere strategie vincenti o osservare performance di particolare abilità, ma questo non esaurisce minimamente le possibilità offerte da Demon’s Souls.

Al di fuori dello specifico caso, il desiderio di apprendimento è stato indicato come uno dei principali fattori che spingono gli utenti a seguire gli streaming su Twitch (Hamilton, Garretson, Kerne, 2014: 1319). Questo fattore è significativo su YouTube (di cui si parlerà più sotto), dove la possibilità di una fruizione frammentata e dilatata nel tempo, con continui recuperi di parti precedenti del video, potrebbe costituire una ulteriore facilitazione all’apprendimento (consentendo ad esempio di vedere più volte di fila una particolare mossa compiuta dallo youtuber).

Una situazione analoga è riscontrabile anche a proposito della lore, soprattutto a partire dal suo successore, Dark Souls. Si son infatti susseguite le interpretazioni, messe in atto da differenti utenti, in cui si ricollegano fra loro diversi indizi, cercando sempre nuove possibilità.

Lo scavo è talvolta maniacale, come nel caso dell’utente che ha inventariato statue, bassorilievi e vari elementi decorativi di Bloodborne in cerca di legami nascosti.  L’utente è noto come Rakuyo e ha pubblicato diverse analisi della lore nella wiki del gioco. Lunghe, sovrabbondanti e caotiche, esse uniscono con grande libertà elementi di tutti i “Souls” nel tentativo di mostrare collegamenti nascosti fra i diversi videogiochi. Una di queste (Rakuyo, 2018) è per esempio dedicata al castello di Cainhurst, uno dei luoghi visitabili in Bloodborne, del quale vengono riportati persino i dettagli di mobili e vestiti, tutti arbitrariamente collegati ad altri elementi della saga o anche esterni (dal folklore ai manga).

Al di fuori della curiosità, è utile ricordare un caso come questo poiché è emblematico della fortissima produttività al contempo enunciativa e testuale (Fiske, 1992) dei fan della saga, i quali producono – oltre a fanfic e fanart – un forte numero di testi che potrebbero essere definiti come una sorta di “saggistica fanmade”. L’interpretazione della lore non è dunque portata avanti solo attraverso i video di alcuni youtubers, realizzati con taglio divulgativo ed esplicativo, ma anche attraverso più o meno lunghi commentari, talvolta ricolmi di link esterni e rimandi. Se, in ogni fandom, si sviluppano legami «condividendo con gli amici sentimenti e riflessioni sul contenuto [di un programma]» (Jenkins, 2008: 38) e vengono generati testi che sono spesso “riscritture” (Fiske, 2010 [1989]: 116–119), la serie dei “Souls” costituisce un buon esempio per osservare la varietà e talvolta profondità delle teorizzazioni sul prodotto, “riflessioni” e “riscritture” della narrazione utilizzando la lore come chiave di decodifica.

Nel corso del tempo emergono inoltre nuovi elementi, portati a galla con delle operazioni in qualche misura archeologico/filologiche di esplorazione e ricostruzione dei dati di gioco. A distanza di anni continuano a emergere contenuti tagliati e modificati, che mostrano stadi precedenti dello sviluppo di un gioco, e che possono almeno in parte esser ricostruiti da un utente esperto. Tutto questo porta anche a ripensare alcune teorie, o a formularne di nuove. Canali YouTube come Sanadsk e Crestfallen offrono diversi video in cui riportano questi contenuti tagliati o modificati. Simili materiali, come accennato, offrono ulteriori spunti di discussione relativi alla lore. Osservando il codename di determinati personaggi, per esempio, è possibile intuire quale fosse il loro ruolo originario previsto, il che può aiutare a comprendere perché compiano determinate azioni.

O, per fare un esempio italiano recente, Sabaku no Maiku nel 2021 ha riconsiderato alcune teorie precedentemente espresse alla luce di alcune precisazioni sulla traduzione. Anche la versione impiegata per le proprie analisi si rivela dunque fondante, poiché è sufficiente un errore di traduzione (o anche solo una sfumatura mal interpretata) per far deviare parecchio.

In entrambi i casi, a proposito della difficoltà sia dei combattimenti sia delle interpretazioni, i “Souls” richiedono uno «sforzo esperienziale» (Gandolfi, 2015: 134. Corsivo dell’autore) che è però, almeno in certi termini, liberamente negoziabile dal giocatore, il quale può decidere fin dove spingere la propria “fatica” in determinati settori, tralasciandone magari altri. YouTubee Twitch possono allora sopperire, integrando le attività del giocatore e consentendo lui di sperimentare almeno per interposta persona quanto non ha voluto o potuto raggiungere.

Questo «sforzo esperienziale», basato in parte sull’abilità manuale e in parte su memoria e ragionamento, è molto forte e discusso al lancio di uno dei “Souls” (si vedano i commenti a una recensione di Dark Souls II riportati in ibid: 136–138), andando poi progressivamente scemando, per lasciare il posto a contenuti più leggeri, spesso memetici, ma ritorna in topic al sopraggiungere del videogioco successivo.

Abilità e memoria/ragionamento non sono univocamente legati, rispettivamente, alla difficoltà degli scontri e a quella ermeneutica, ma sono intrecciati fra loro. Per sconfiggere un avversario particolarmente ostico, per esempio, occorre memorizzare e ricordare il pattern dei suoi attacchi ed elaborare una strategia appropriata per combatterlo, verificando per esempio eventuali debolezze e resistenze della creatura. Lo studio della lore, d’altro canto, risulta più efficace se i diversi eventi del gioco sono vissuti in prima persona, invece che reperiti di seconda mano, e per fare ciò occorre una certa abilità per sconfiggere i nemici e completare il gioco.

Un’altra posizione sul tema, differente nei termini ma analoga nei contenuti, è quella presente in un articolo di «Game Developer Magazine», dove emerge con chiarezza il rapporto fra impegno richiesto (anche in termini di attenzione: per gli indizi ambientali, per le informazioni passate…) e ricompense:

«DARK SOULS is hard – notoriously so – but the interesting thing is that it rewards the player for persistence, effort, and learning. That is the premise at the core of its design and what ties the whole experience together. Through practice, players are rewarded with mastery over the gameplay. By paying attention, players are rewarded with secrets and bonuses. By exploring, players are rewarded with entire vistas they never knew existed» (Staff, 2012: 11).

Volendo proseguire, gli hooks dei “Souls” si rivelano particolarmente variegati e tutti decisamente idonei a un contesto fruitivo legato a YouTube e Twtich. Oltre alla sopracitata difficoltà, attuativa ed ermeneutica, sono riscontrabili anche un elemento competitivo atipico (che fornisce materiale per numerosi video sugli scontri PvP) e un legame con l’horror. I “Souls”, pur non appartenendo al genere dei survival horror – particolarmente diffuso su YouTube e forse quello che più ha accompagnato l’ascesa di youtubers come Favij, PewDiePie e Markiplier (Pietruszka, 2016) – vanno a occupare una nicchia a esso tangente, a livello di immaginario e, almeno in piccola parte, reazioni e stati d’animo (Mecheri, Romieu, 2017: 264–268).

Laddove Demon’s Souls e Dark Souls propongono un mondo dark fantasy, con un connubio fra aspetti “oscuri” della tradizione occidentale e della sensibilità orientale (Mecheri, Romieu, 2017: 261–264), con Bloodborne si passa a una rivitalizzazione del gotico (Langmead, 2017), con un particolare riguardo per le opere dello scrittore statunitense Howard Phillips Lovecraft, i cui Grandi Antichi erano già stati fonte di ispirazione per i videogiochi precedenti, seppur in misura minore. È pertanto presente un immaginario comune, almeno in una certa misura, al fianco di alcune scelte più puntuali, come la presenza di pochi ma selezionati attacchi nemici equiparabili a degli scare jumps. Al di fuori di questi aspetti, in fondo marginali, i “Souls” si avvicinano nuovamente a un horror – a un horror potenzialmente divertente da vedere e da giocare – per un elemento legato alla propria difficoltà.

A tal proposito è utile recuperare, da un lato, un articolo di Chris Pruett, nel quale sottolineava l’importanza di rendere i videogiochi «hard, or at least intense» (Pruett, 2011a: 37) per favorire la risposta emozionale del giocatore. Un’eccessiva difficoltà genera frustrazione (come era del resto già ben indicato nell’andamento del flow: Csikszentmihalyi, 1997), ma occorre anche evitare quelle forme artificiose di difficoltà, spesso riscontrate negli horror games soprattutto del passato, legate a scarsa reattività del sistema, scomodità dei controlli o finestre temporali d’azione troppo ridotte e poco chiare (Pruett, 2011a).

I “Souls”, pur presentando ugualmente alcune ‘rigidità’ nel sistema di controllo e nella comprensione d’insieme, risultano decisamente più fluidi e corretti nei confronti del giocatore. La sfida che offrono è coinvolgente da osservare se compiuta da un altro individuo (cui si è legati da una partecipazione emotiva per la difficoltà dell’impresa) ma anche da vivere direttamente, con un effetto di sollievo e ricompensa dopo ciascun traguardo superato.

Questo conduce a recuperare, dall’altro lato, un video del canale YouTube StopMakingSense (2017), emblematicamente intitolato Why Bloodborne’s Horror is so Effective. Pur non trattandosi di un’analisi specialistica, indica con chiarezza un punto di interesse. Molti horror di successo degli ultimi anni sono caratterizzati, in vario modo, dalla presenza di un mostro inseguitore che può uccidere il giocatore in un colpo. Non si tratta di una modalità di gioco nata con Slender Man e i suoi vari “cloni”, ma si è certamente diffusa anche in relazione alla presenza di numerosi videogiochi con caratteristiche similari che sono stati giocati da famosi youtubers.

Simili videogiochi, in assenza di ulteriori elementi di rinforzo, possono risultare più interessanti da vedere che da giocare, per via della riduzione dell’agency e delle possibilità di intervento. Senza compiere uno scavo archeologico nella storia del medium si pensi anche solo ad Haunting Ground (Capcom, 2005), di alcuni anni antecedente al fenomeno di Slender Man, per citare almeno un esempio. Si rimanda all’appendice sulla storia del survival horror per ulteriori approfondimenti.

Questo genera una condizione in cui, potenzialmente, è interessante vedere la reazione di uno youtuber in un contesto di difficoltà (oltre alle più immediate ed esplicite reactions agli spaventi), ma si è meno propensi a calarsi personalmente in quel contesto stesso. In Bloodborne, invece, qualsiasi nemico può rivelarsi una minaccia letale, ma può al tempo stesso essere ucciso, seppur con difficoltà. È una ‘filosofia’ che Bloodborne condivide con giochi che rientrano appieno nel genere dei survival horror, come il primo Resident Evil (Capcom, 1996), rispetto al quale presenta però scontri molto più dinamici e con differenti approcci.

Peraltro, pochi giorni dopo il citato video di StopMakingSense, anche Jim Sterling ha dedicato una sua Jimquisition a un tema analogo, in cui parla della «genuine fear» (2017) che sperimenta esplorando le strade di Yarnham (la città in cui è ambientata la prima parte di Bloodborne), decisamente superiore a quella provata in molti titoli con una esplicita etichetta di “survival horror”. Lo youtuber giunge persino ad affermare che Bloodborne potrebbe esser considerato uno degli ultimi e veri esempi di survival horror, pur comprendendo la scelta di identificarlo come RPG. Il progressivo potenziamento del personaggio, tramite statistiche ed equipaggiamento, caratteristico dei giochi di ruolo, non sarebbe sufficiente a sovrastare, secondo Jim Sterling, la dimensione ansiogena dell’esplorazione, in cui ogni passo può condurre a una inaspettata e letale minaccia.

I “Souls” e YouTube: un piccolo esempio di diffusione tramite la piattaforma

Come indicato poco sopra, i “Souls” hanno presentato differenti hooks capaci di attirare un pubblico più ampio di quello inizialmente pensabile per quello che era nato come un videogioco rivolto a una certa nicchia. Sono, inoltre, degli hooks ideali sia per la realizzazione di video sul gioco sia per il desiderio di provarlo direttamente.

Osservando gli elementi di interesse da un’altra prospettiva, quella delle tipologie di divertimento di Nicole Lazzaro (citate in Bertolo, Mariani, 2014: 194) sono riscontrabili con una certa chiarezza tutte e quattro le tipologie possibili in questa serie: hard fun (la difficoltà delle sfide e la soddisfazione nel superarle), easy fun (l’esplorazione, la sperimentazione, le possibilità più casual insite al loro interno), serious fun (collezione di oggetti, sistematicità nel completamento degli obiettivi) e people fun (cooperazione con altri giocatori e PvP).

Questo ha portato a un rapporto virtuoso fra gli youtubers e i “Souls”, in un reciproco legame. I video dedicati alla serie presenti su YouTube (e Twitch) sono sempre numerosi e, pur non raggiungendo i numeri – per quantità e visualizzazioni – di quelli legati ad altri videogiochi di fortissimo successo, almeno in alcuni momenti sono divenuti i contenuti gaming più visualizzati sulla piattaforma (Parfitt, 2016). Alcuni degli youtubers più frequentemente citati in relazione alla serie sono ‘nati’ insieme ad essa, come Sabaku no Maiku e Vaatividya. In questi casi si è assistito al fattore di crescita (Hudson, 2017), in cui dei piccoli canali vivono una rapida e significativa crescita grazie a un determinato videogioco, al quale rimangono spesso legati nell’immaginario collettivo.

Laddove questo percorso di crescita è riscontrabile anche in diversi altri contesti, il caso specifico di questi youtubers presenta una particolarità ulteriore. Entrambi sono infatti divenuti delle “voci autorevoli” cui affidarsi per interpretare e comprendere la lore della saga. Questo riconoscimento, inizialmente giunto dal basso, è stato in seguito – almeno in una certa misura – istituzionalizzato. La stessa Bandai Namco ha infatti presentato Vaatividya e Sabaku no Maiku come decodificatori della lore, rispettivamente a livello internazionale e italiano, tramite specifici post a tema sulle pagine ufficiali del publisher (compreso il loro sito: Bandai Namco, 2018).

Questi e altri youtubers vanno dunque a coprire il segmento ermeneutico dei “Souls”, e sono in tal senso piuttosto discussi, poiché rappresentano una situazione che non è sempre replicabile nel panorama videoludico. Esistono canali dedicati anche alla lore di altri videogiochi, come per esempio la serie Final Fantasy, ma simili approfondimenti in profondità non sono sempre applicabili con la stessa ampiezza e costanza.

La serietà con cui trattano l’argomento li rende peraltro più facilmente eligibili per forme più istituzionali di comunicazione, rispetto ad altri youtubers con contenuti identificabili come ‘bassi’. Sabaku no Maiku, alle fiere, viene spesso introdotto come un autorevole guru dei videogiochi, e il titolo della sua rubrica su «The Games Machine», Così parlò Sabaku, aveva un sapore sapienziale, quasi da profezia.

Il loro operato non esaurisce tuttavia i possibili elementi di interesse verso i “Souls”. A fianco della dimensione ermeneutica ne sono infatti presenti almeno altre due, che potrebbero essere identificate con i termini “reaction” e “sfida”.

Nella prima tipologia è possibile citare Yotobi, volto storico di YouTube Italia e già affermato prima dell’uscita dei “Souls”. La sua serie sul primo Dark Souls ha posto in risalto, soprattutto all’inizio, le sue reazioni di rabbia e disperazione per le ripetute sconfitte, unite a numerose battute. Emerge un generale contesto comico, leggero, in cui la personalità dello youtuber prevale sul videogioco, a differenza degli altri due casi, in cui Dark Souls mantiene una maggior centralità.

I contenuti legati al trolling potrebbero a loro volta rientrare in una simile casistica, essendo primariamente legati a una reazione (di risata/scherno), o potrebbero essere indicati in una categoria separata, se si volessero operare ulteriori suddivisioni. Abbondano peraltro anche differenti forme di parodia e remix della serie, su YouTube, fra cui si ricordano anche i machinima musicali dell’italiano thePruld.

L’ultima tipologia, legata alla sfida, mostra delle performance spettacolarizzate e difficilmente replicabili da un utente comune, in cui la sfida offerta dal gioco viene portata al limite. Può essere declinata nelle speedruns con autoimposte limitazioni di LobosJr (al secolo Mike Villalobos) o nella registrazione di particolari duelli PvP con azioni difficili da eseguire. Un canale in particolare, SunlightBlade, realizza numerose top ten dedicate ai combattimenti più bizzarri, fortuiti o tattici, raccogliendo le registrazioni delle partite di altri giocatori più o meno noti. Alcuni scontri possono essere apprezzati solamente da chi ha una perlomeno buona conoscenza del funzionamento di determinate armi ed equipaggiamenti. Altri combattimenti, però, mantengono ugualmente una propria dimensione spettacolarizzante, e il commento dello youtuber facilita la comprensione delle mosse meno intuibili.

Presentate queste suddivisioni, è possibile osservare nel dettaglio alcuni degli youtubers che hanno maggiormente legato il proprio nome ai “Souls”, ripercorrere le loro pratiche e rilevare alcune correlazioni con le vendite.

Il nome principale legato alla serie è quello di Vaatividya, al secolo Michael Samuels. In un certo senso può essere escluso dal novero delle microcelebrities di YouTube, nonostante il suo ampio seguito, poiché non mostra mai il suo volto in video e rimane piuttosto schivo. In tal senso quello che è considerabile il suo corrispettivo italiano, Sabaku no Maiku, ha inserito piuttosto presto il suo volto nei video ed è molto più attivo in fiere ed eventi. Vaatividya ha aperto il suo canale poco dopo l’uscita della versione PC di Dark Souls (giunta dopo quella per console).

A quel tempo, come è stato sottolineato, esistevano già diverse fonti online per acceder agli elementi della trama, ma erano tutte organizzate secondo un «IKEA approach of flatpacking the raw materials and leaving you to piece them together with tongue-chewing force of will» (MacDonald, Killingsworth, 2016: 80). Lo youtuber sarebbe stato il primo, insomma, a realizzare un’analisi di successo della lore che apparisse come già organizzata ed esaustiva. Questo fattore potrebbe sembrare in contrasto con quanto detto in precedenza, sull’interesse dei singoli utenti di provar a ricombinare a proprio piacere la lore. Il valore dei video di Vaatividya è stato però, in tal senso, quello di offrire un esempio possibile, un modello con cui potersi confrontare e da poter sfidare.

Per la natura dei contenuti trattati nei suoi video – una riorganizzazione esplicativa della lore – sembrerebbe a un primo impatto che Vaatividya abbia beneficiato dei “Souls” molto più del contrario. Questo perché le visualizzazioni deriverebbero da chi ha già acquistato e giocato uno di questi videogiochi e indaga per capire come decodificarne la lore. Questa modalità di scoperta è certamente presente, ma non è l’unica. Bisogna, in primo luogo, ricordare che non si sta analizzando un sistema chiuso, fondato esclusivamente sul videogioco e i video a tema, ma una costellazione di discorsi che possono generare curiosità verso il prodotto (o, più specificamente, la sua lore) senza che sia stato aperto YouTube o sia stato acquistato il videogioco.

Osservando Sabaku no Maiku, lo youtuber italiano più vicino al modello di Vaatividya, emerge con chiarezza questa prospettiva sfaccettata.

Peraltro, osservando il canale di Sabaku e i suoi social, in diversi commenti emergono persone che dichiarano di aver conosciuto e acquistato i videogiochi della serie grazie a lui. una simile osservazione è corretta, ma riguarda solo persone che lo hanno conosciuto, e pertanto è solo una parte del quadro complessivo.

Risultano di maggior interesse alcuni dati più generali, legati ai fan della serie che non sono necessariamente affezionati a un singolo youtuber. Un chiaro esempio è emerso da un gruppo italiano su Facebook dedicato alla saga, in cui un utente ha chiesto cosa avesse spinto le altre persone ad avvicinarsi a questi videogiochi.

Le differenti risposte presenti possono essere razionalizzate nella seguente suddivisione.

Forma di avvicinamento dichiarata nel postNumero dei post
Canale di Sabaku no Maiku17
Canale di Yotobi19
Canali di Sabaku no Maiku e Yotobi15
Yotobi, Sabaku no Maiku e altri canali3
Acquisto casuale/attratto dalla cover/sconto29
Siti e riviste3
Amici/parenti26
Amici e Sabaku no Maiku10
Altri canali YouTube (thePruld, Rexen91, Saber–X, Queltaleale)5
Altro (di cui sei legati a YouTube ma senza indicazione di canali specifici)12

Si tratta di un gruppo privato, per quanto sostanzialmente aperto a chiunque faccia richiesta di accedervi. Per questa ragione sono state adottate una serie di misure legate ai quesiti sull’etica della ricerca online (Markham, Buchanan, 2012; Zimmer, Kinder–Kurlanda, 2017). Il nome del gruppo non è indicato, né sono presenti i nomi dei singoli utenti o i loro post riportati letteralmente. Il contenuto di questi ultimi è stato raggruppato in alcune categorie, evitando che una o più di esse comprendessero un singolo individuo.

Nonostante questo rimane comunque ipoteticamente possibile risalire al gruppo e, successivamente, alla specifica conversazione e ai suoi singoli partecipanti, abbinabili a determinate posizioni. Sebbene sia facile ottenere l’accesso al gruppo (ufficialmente “privato” ma potenzialmente semipubblico, come detto), eventuali dati sensibili degli utenti al di fuori del singolo messaggio restano legati alle loro specifiche impostazioni sulla privacy e condivisione dei dati, caratterizzandosi pertanto come un caso diverso da quello che era stato portato come esempio problematico in Zimmer (2010).

Sono 139 risposte complessive, selezionate da un numero un poco più ampio: sono stati esclusi i post multipli di singoli utenti e le risposte ad altri commenti in cui non sono deducibili le motivazioni per l’acquisto. È un campione ristretto, ma può aggiungere un ulteriore piccolo tassello al quadro complessivo. Di questi 139 commenti, 76 sono almeno in parte legati ai video presenti su YouTube. Più della metà delle persone che hanno risposto dichiara pertanto di essersi avvicinate alla serie per via di questi video o anche grazie a loro.

I canali che compaiono più spesso sono quelli di Sabaku no Maiku e di Yotobi. Come accennato in precedenza, i due presentano differenze significative. Yotobi ‘nasce’ come youtuber in un contesto che non è videoludico, legato principalmente ai film trash, e i suoi video sui “Souls” sono legati alle battute e alle reactions rabbiose. I suoi video trattano dunque argomenti differenti e attirano un pubblico ampio e variegato. Questo fattore rende teoricamente più frequente il suo canale come primo approccio alla serie: persone estranee al mondo dei “Souls”, ma che seguono Yotobi, scoprono questi giochi tramite i suoi video.

Sabaku no Maiku, invece, molto più strettamente legato alla lore di questi videogiochi, costituirebbe invece un elemento di rinforzo, con video che accrescono l’interesse di chi già conosce il prodotto. Applicando a questo contesto il discorso di Mike Rose (GDC, 2018) sugli elementi di attrattiva dei videogiochi, i video di Yotobi sarebbero l’hook vero e proprio, mentre quelli di Sabaku no Maiku corrisponderebbero al kicker.

Non sembra allora casuale la distribuzione delle risposte, pur in questo piccolo campione esemplificativo. Osservando le risposte esclusive, il canale di Yotobi ha portato un maggior numero di persone a seguire la serie rispetto a quello di Sabaku no Maiku, ma quest’ultimo risulta maggioritario se si considerano coloro che lo affiancano alle parole di amici e parenti. In questi casi una persona legata al commentatore consiglia di seguire la serie e eventualmente indirizza ai video di Sabaku no Maiku.

Il presente campione, come detto, non risulta particolarmente significativo, ma i dati trovano perlomeno riscontro in diversi commenti ai video dei rispettivi youtubers, il che rende perlomeno ipotizzabile un trend più ampio, considerando anche le dichiarazioni emerse nelle interviste. Uno youtuber come Sabaku no Maiku (e, all’estero, Vaatividya) funge spesso da “rinforzo” per chi conosce già i “Souls” almeno in termini generali, magari proprio perché ne ha sentito parlare da amici e parenti.

Un elemento di pura scoperta è più facilmente abbinabile, invece, a canali di carattere più generale, già seguiti da numerosi utenti per altre tipologie di contenuto. Queste due modalità di conoscenza possono peraltro operare in sinergia, come emerge dalle risposte che hanno indicato insieme Yotobi e Sabaku no Maiku. In questi casi il primo funge da aggancio iniziale, suscitando interesse per la difficoltà del gioco e la rabbia che ne può scaturire; il secondo, invece, porta a conoscere più a fondo il videogioco, suscitando un apprezzamento per le sue componenti narrative.

Viene di seguito fornita una tabella per riassumere le caratteristiche dei tre youtubers che sono stati presi come esempi dei possibili approcci ai “Souls”: la “teoria” di Sabaku no Maiku, la “reaction” di Yotobi e la “sfida” di LobosJr. A loro viene aggiunto ThePruld, il quale ha spinto a sua volta diverse persone ad acquistare il gioco, come ha sottolineato lui stesso nell’intervista. I suoi video mostrano un approccio definibile come “memetico” e, secondo le caratteristiche dei meme (Shifman, 2012, 2014) hanno un grandissimo potenziale in termini di fecondità e longevità, con un continuo remixing che produce una risonanza anche al di fuori della cerchia dei fan.

   Sabaku no MaikuYotobiThePruldLobosJr
Approccio ai “SoulsTeoriaReactionMemeSfida
Principale tipologia di video sui “SoulsWalkthrough (o ‘lorethrough’)Gameplay con commentoMachinima–parodieSpeedrun
Professionista, performer, compagno (Gandolfi, 2016)Professionista (della lore)PerformerPerformerProfessionista
Tassonomia di Bartle (2003)  Explorer, socializer (secondario)  Achiever, Explorer (secondario)SocializerAchiever, Killer (secondario)

I video dedicati ai “Souls” offrono, infine, un esempio concreto di una “convergenza estetico–rappresentativa” che si verifica su YouTube in determinati contesti. La situazione può essere osservata partendo da uno specifico caso che ha avuto una certa risonanza.

Nel 2015 lo youtuber Aegon of Astora, autore di alcune analisi sulla lore della serie (oltre che di diversi gameplay) ha pubblicato un video – non più disponibile – in cui accusava il popolare Vaatividya di plagio (la vicenda è riportata in Klepek, 2015b). Quest’ultimo avrebbe infatti presentato la storia di un personaggio del gioco utilizzando un montaggio e delle argomentazioni simili a quelle di un precedente video di Aegon of Astora sullo stesso tema. Vaatividya ha risposto pubblicamente, dicendo che quelle gli erano sembrate le immagini e le inquadrature più adatte per presentare visivamente un determinato discorso, e diversi altri commenti nei relativi luoghi di discussione hanno rivelato che idee similari erano giunte anche ad altre persone.

Andando oltre la specifica disputa, conclusasi senza aver lasciato particolari strascichi, gran parte dei video sulla lore di Dark Souls presenta effettivamente una serie di caratteristiche comuni. Le accuse a Vaatividja riguardavano parti isolate di video e, una volta emerso una sorta di comune processo ideativo non hanno avuto seguito. Il problema del plagio su YouTube è però effettivamente concreto e diffuso, e riguarda soprattutto i casi in cui vengono copiati dei contenuti in altre lingue, così da rendere più difficile un confronto con l’originale. Un articolo di PlagiarismToday (Bailey, 2018) ha analizzato il fenomeno e le sue dimensioni partendo dal caso specifico di uno youtuber anglofono che ha scoperto un rip off in portoghese – realizzato peraltro da una youtuber con più iscritti di lui – dello script di un suo video sugli anime di genere harem, portando poi alla luce ulteriori copie, ai danni di altri colleghi (Mother’s Basement, 2018).

Le caratteristiche comuni sono in parte legate, in generale, alla tradizione del «video essay a tema cinematografico, dalla voce fuori campo alla giustapposizione suggestiva di materiali eterogenei» (Fassone, 2018: 71), in parte più specifiche. Il video portato da Fassone come esempio specifico è un confronto fra la storia di Bloodborne e le opere di H.P. Lovecraft. Non si tratta pertanto di un video esclusivamente dedicato alla lore della serie, ma è un caso molto vicino.

Fra queste caratteristiche si ricordano:

– assenza di HUD (le informazioni normalmente visibili su schermo, come la barra della salute).

– alternanza di sequenze in cui il personaggio cui il video è dedicato compare come NPC, e sequenze in cui si fanno indossare i suoi abiti al protagonista, in una sorta di cosplay.

– in queste ultime sequenze il personaggio è spesso presentato mentre cammina, con passo lento, in un determinato ambiente a lui correlato. Sono molto frequenti le inquadrature dal basso, frontali o di spalle, che contribuiscono fra l’altro a sottolineare l’imponenza architettonica dei luoghi.

– in presenza di combattimenti, questi ultimi sono mostrati invece con una più abituale inquadratura dall’alto e di spalle, e gli scontri vengono artificiosamente protratti nel tempo se la narrazione a riguardo è piuttosto lunga.

– quando vengono citate le descrizioni di determinati oggetti, l’icona di questi ultimi è aggiunta in sovrimpressione. Talvolta viene mostrato anche il testo stesso.

Questo elenco, non esaustivo, mostra la convergenza fra le scelte di youtubers differenti, i quali giungono, tramite percorsi differenti e autonomi, a quello che è giudicato un optimum nella presentazione dei “Souls” su YouTube. La piattaforma stessa, a seconda del videogioco e del contenuto presentato, informa la struttura dei video andando a ‘imporre’ le sue logiche.

Bibliografia

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I videogiochi survival horror: la storia – parte 4

Quarta parte della storia sul survival horror, dedicata ad Amnesia e Slender Man

Riassumiamo in estrema sintesi quanto indicato nella parte 3 (alla cui lettura si rimanda per una panoramica più ampia). Negli anni immediatamente precedenti all’affermazione di YouTube, i videogiochi horror hanno assistito a una progressiva virata verso l’action, soprattutto (ma non solo) nelle produzioni occidentali. Alcune saghe horror giapponesi rimangono più vicine ai modelli del periodo precedente, ma sono relegate nei confini di una determinata nicchia. In questo quadro emergono tuttavia dei “nuovi” survival horror, indipendenti, prodotti in occidente, che abbandonano l’action, ottengono un grandissimo successo e divengono una presenza costante su YouTube.

Vengono di seguito presentati, singolarmente, vista l’importanza che hanno rivestito, i tre “apripista” che in tempi diversi hanno maggiormente sospinto questa nuova ondata: Amnesia: The Dark Descent (Frictional Games, 2010) e Slender: The Eight Pages (Parsec Productions, 2012). A essi, nella quinta parte, si aggiungerà Five Nights at Freddy’s (Scott Cawthon, 2014) come ultimo elemento del terzetto.

Nel loro periodo di uscita, l’affermazione del gaming sulla piattaforma è un processo in corso, e diversi youtubers hanno raggiunto l’effettiva notorietà proprio grazie a uno o più di questi videogiochi. Amnesia: The Dark Descent, in particolare, è strettamente legato alla carriera di PewDiePie (Smith T., Obrist, Wright, 2013), Markiplier (Youtubers First Videos | Youtubers First Time! ™, 2015) e Favij (NiKyBoX, 2012a).

Una breve annotazione: alcuni dei discorsi che saranno trattati qui e nella quinta parte li ho anche affrontati in Evolution of The YouTube Personas Related to Survival Horror Games (un mio articolo accademico, in inglese, pubblicato su «Persona Studies») e, in misura minore, in altri miei articoli dedicati a YouTube. Rinvio alla pagina delle pubblicazioni per i vari link agli articoli.

Amnesia: The Dark Descent (e Penumbra): la relazione simbiotica

Amnesia: The Dark Descent non è stato il primo survival horror realizzato da Frictional Games (un team indipendente svedese fondato nel 2007), e già i suoi predecessori rivelano alcuni elementi di interesse per il presente discorso. Il videogioco è stato preceduto dalla trilogia Penumbra: Overture (Frictional Games, 2007), Penumbra: Black Plague (Frictional Games, 2008) e Penumbra: Requiem (Frictional Games, 2009). Quest’ultimo, in realtà, è un’espansione del suo predecessore, ma viene ugualmente considerato come un terzo episodio. In ogni caso sono tutti e tre ascrivibili a questo genere.

Il primo Penumbra era nato come tech demo per mostrare le capacità dell’HPL Engine 1 (palese riferimento a Howard Phillips Lovecraft) sviluppato dal team, ma osservando i pareri positivi sulla demo gli sviluppatori hanno poi deciso di portarne avanti lo sviluppo, per rilasciarlo come prodotto compiuto. Il videogioco è ambientato in una miniera popolata da creature mostruose, la storia viene raccontata tramite le pagine di un diario disseminate per l’ambiente, ha una visuale in prima persona, contiene al suo interno alcuni enigmi, consente di trascinare o afferrare un gran numero di oggetti (quest’ultimo aspetto deve molto all’origine del gioco come tech demo, nata per mostrare il funzionamento dell’engine, compresa la fisica degli oggetti). Prevede inoltre l’utilizzo di una torcia con durata limitata e include dei farraginosi combattimenti corpo a corpo.

Non è uno sparatutto (non sono presenti armi da fuoco), anche se condivide con gli FPS la visuale, racchiude diversi elementi ricorrenti del survival horror (il diario, gli enigmi, l’impiego della torcia…). Al tempo stesso, però, sembra seguire un filone evolutivo differente sia rispetto allo sviluppo action di Resident Evil 4 e Dead Space, sia ai videogiochi come Deadly Premonition e Cursed Mountain.

La differenziazione, qui intuibile soprattutto osservando il videogioco a posteriori, diventa progressivamente più evidente con i successivi videogiochi di Frictional Games. Un’importante differenza è riscontrabile già nel successivo Penumbra: Black Plague, in cui i combattimenti (il cui funzionamento era stato largamente criticato, in Penumbra: Overture) sono stati completamente rimossi. Non è più possibile affrontare i nemici, è possibile solo nascondersi e fuggire. Aumentano inoltre i jump scares, alternati da fasi più o meno lunghe volte a far crescere la tensione.

Durante il periodo di uscita della trilogia di Penumbra, il gaming su YouTube si trova ancora in uno stadio di formazione. Stanno nascendo canali specificamente dedicati ai let’s play e i video sull’argomento sono in crescita, ma ancora non è stata raggiunta la massa critica, e la piattaforma è dominata da altre tipologie di video, come il vlogging.

Osservando retroattivamente i video relativi al videogioco, caricati di anno in anno, è possibile individuare il germe del cambiamento che sarebbe giunto a breve con Amnesia: The Dark Descent. Il 2007 presenta, oltre ai trailer, alcuni video riconducibili alla categoria “how to” (come jazzkomp, 2007 e KPIQA, 2007). Entrambi i video mostrano come uccidere i cani presenti nella miniera del primo Penumbra, poiché si tratta di un nemico particolarmente ostico, al punto che alcuni giocatori pensavano fosse impossibile eliminare queste creature.

Poi ci sono video di sostanziale trolling (KirmiZ, 2007) e brevi filmati su determinate parti del gioco (come l3ks1, 2007 e Altraum, 2007). A parte la bassa qualità visiva, ciò che emerge immediatamente è la completa assenza di commentari vocali; quando – non sempre – uno youtuber inserisce pensieri e opinioni lo fa tramite scritte in sovraimpressione o piccoli box. I video reperibili sono inoltre molto pochi, soprattutto escludendo trailer e video rimossi.

Il quadro complessivo di due anni più tardi risulta già molto diverso. I video del 2009, relativi non solo ai due capitoli successivi della saga ma anche al primo Penumbra, sono molto più numerosi e soprattutto presentano impostazioni differenti. Perdurano i video brevi o brevissimi volti a mostrare uno specifico elemento (come un easter egg in VAXIS TAA, 2009, della durata di appena nove secondi), affiancati da gameplay a episodi in cui è presente un commentario audio dello youtuber (come TheScarlettears, 2009, ColdTrix8, 2009 e Helloween4545, 2009a) e altri in cui i commenti rimangono in forma scritta (come Captain Perfect, 2009a). Compaiono inoltre anche contenuti di carattere più creativo che remixano determinati materiali per realizzare nuovi contenuti video. Un esempio è il fake trailer di un ipotetico film su Penumbra, realizzato montando spezzoni di diverse pellicole horror (bloodrunsclear, 2009).

Questa moltiplicazione è già sufficiente a generare un differente livello empatico. Si può fare un breve confronto legato alle prime due comparse del mostro in Penumbra: Black Plague all’inizio del gioco. Nel primo caso si tratta di un piccolo jump scare, in cui il nemico viene intravisto mentre si muove dietro una porta, nel secondo il mostro si mette sulle tracce del protagonista nascosto e, se lo trova, comincia a inseguirlo.

Nel video di Captain Perfect (2009a), fornito solo di pochi commenti scritti, lo youtuber si limitava a scrivere «What the fuck was that!» (minuto 4:03), e fugge poi dal mostro senza scrivere nulla (Captain Perfect, 2009b). Si segnala che, al momento in cui si sta scrivendo ora, quei commenti non sembrano più visualizzabili.

Hellowen4545 inserisce invece un commentario audio, ma in entrambe le situazioni (2009b e 2009c) appare più stupito che spaventato, continuando a ripetere frasi come “what the hell is that?” con un tono perplesso. La maggior parte dei gameplay dedicati agli episodi di Penumbra è però collocabile nel periodo successivo all’uscita di Amnesia: The Dark Descent, tanto che sono rintracciabili commenti ai video in cui i Penumbra vengono considerati dei “cloni” di quest’ultimo gioco, quando ne sono invece i predecessori. Il gameplay di Markiplier del 2012 presenta un commentario audio molto più vivace e variegato, in cui lo youtuber reagisce alla prima apparizione con tono di sfida (2012a), ma alla seconda continua a urlare in maniera scomposta mentre il mostro è sulle sue tracce (2012b).

L’anno successivo giunge invece il gameplay di Favij (FavijTVtm, 2013), in cui viene inserita in un angolo la cam che mostra il busto dello youtuber, così da poter osservare le sue reazioni live. Favij, a inizio video, dice di conoscere già la parte iniziale del videogioco, perché lo aveva giocato l’anno precedente sul canale NiKyBox (2012b) per aprire la sua serie “Giochi nel Buio”, e pertanto premette che non dovrebbe avere «infarti esageratamente incredibili durante questo primo episodio» (FavijTVtm, 2013, minuto 1:42). Alla prima comparsa del mostro ha una moderata reazione, dicendo di non ricordarsi quel momento, mentre alla seconda, pur essendo pronto, comincia a esclamare ad alta voce.

Confrontandolo anzi con il suo precedente gameplay dello stesso gioco (NikYBoX, 2012b, in cui non era presente la cam) le reazioni sono più ‘urlate’ e plateali, nonostante conosca quella parte. Si noti peraltro che, in linea con le imprecazioni più frequenti degli youtubers italiani (Kurpiel, 2016) utilizza spesso l’espressione «cazzo!» (e, in generale, altre forme di intercalare; Fägersten, 2017) e – seguendo un’altra pratica ricorrente – assegna un soprannome al mostro (Kurpiel, 2017), chiamandolo Piff.

Le reactions ai videogiochi horror, come emerge già da questo breve esempio, vengono tendenzialmente sempre più “spettacolarizzate” nel tempo. Una reazione può anche essere in chiave comica, soprattutto se il videogioco consente alcune pratiche differenti rispetto al mero avanzamento lungo il percorso prestabilito. Restando sull’esempio del mostro che compare in Penumbra: Black Plague, già un video del 2008 mostra come sia possibile ‘giocare’ con la fisica del gioco e la capacità del protagonista di spostare oggetti. Nel video (NossX, 2008) viene impilata un’immane quantità di oggetti davanti alla porta che il mostro deve spalancare, e appena l’azione viene compiuta tutti questi oggetti sono improvvisamente spinti via come in un’esplosione.

Al tempo stesso vengono scientemente ricercati i videogiochi ritenuti più spaventosi e si cerca di giocarli per la prima volta in video, così da non conoscere già i colpi di scena e ottenere reazioni più naturali (o che paiano tali). È uno dei motivi per cui Favij, ai tempi di NikYBoX, (2012b), aveva inaugurato la sua rubrica con Penumbra: Black Plague invece che con il successivo – e molto popolare – Amnesia: The Dark Descent, perché aveva già giocato per intero quest’ultimo. Questa “ricerca della paura”, e soprattutto degli spaventi improvvisi, si accompagna alla felice constatazione che i videogiochi di Frictional Games si fanno progressivamente più paurosi. È quanto sottolinea Markiplier (2012a) già a proposito di Penumbra: Black Plague, che promette di essere molto più spaventoso del predecessore, il quale aveva un solo momento veramente pauroso in tutto il gioco, legato all’improvvisa comparsa di un verme gigante che sfonda un portone.

È in questa fase evolutiva che si è inserito Amnesia: The Dark Descent, il quale ha contribuito a far nascere quel “bisogno di horror” su YouTube, in un momento in cui alcuni vedevano nella virata action l’unico futuro per questo genere. Come hanno sottolineato in molti, a partire dagli stessi creatori del gioco, quella fra YouTube e Amnesia: The Dark Descent è stata una relazione simbiotica particolarmente vantaggiosa per entrambe le parti. Non solo il gioco ha contribuito alla ‘nascita’ di molti youtubers di successo, e ha accresciuto le proprie vendite grazie a loro, ma ha anche contribuito all’evoluzione del survival horror e, al tempo stesso, dei let’s play:

«“I think Amnesia got a lot of free PR because of “Let’s Play” videos, but I also think that Amnesia opened people to a new style of ‘Let’s Play,’” Frictional Games creative director Thomas Grip told me. “Normally, games are very skill-based. You need to be concentrated and play a certain way to play ‘properly.’ But with horror games, the aim is not to win, but rather to get immersed. That gives a lot more space for ‘Let’s Players’ to put on a show, either by being very scared or just fooling about. On top of that it is really fun to see someone scared for some reason”» (Maiberg, 2015. Corsivi miei).

E ancora:

«Speaking to VICE Gaming in October 2014, The Dark Descent’s creative director, Thomas Grip, explained that there’s ‘a lot to be done in making horror more personal and thought-provoking’, and that ‘a game could be terrifying with a bare minimum of features’. And that’s something indies have been doing while the more publicized, more predictable alternatives take their turns at being the open-world game of the moment: maximizing impact while maintaining modest budgets, development mirroring the gameplay of survival-horror games themselves in using few resources but delivering chills aplenty. […] The popularity of horror in the indie-games field owes much to YouTube, to gamers posting footage of themselves getting terrified In the company of these low-budget, one dare say more intimate experiences – the first-person perspective certainly encourages a deeper bond between player and protagonist» (Diver, 2016: 56-57. Corsivi miei).

Al di fuori di una certa retorica relativa al “fare tanto con poco”, i team indipendenti come Frictional Games sono effettivamente riusciti a risolvere il problema sentito nello stesso periodo di tempo dalle cosiddette produzioni Tripla A: col crescere dei costi di produzione occorre puntare su generi più “sicuri”, e il survival horror non sembrava rientrare nel novero. Amnesia: The Dark Descent (e poi altri videogiochi, come Slenderman e Five Nights at Freddy’s) ha però mostrato la possibilità di realizzare profitti con l’horror mantenendo costi accessibili, e questo è avvenuto anche grazie agli youtubers. Osservando il postmortem del gioco (Grip, 2011) e i due articoli che fanno il punto della situazione a distanza, rispettivamente, di uno e due anni dall’uscita (Thomas KL, 2011, 2012a), è possibile tracciare la progressione nelle vendite di Amnesia: The Dark Descent.

Nel postmortem riportano di aver ottenuto un buon risultato, seppur non miracoloso, durante il primo mese dall’uscita, con 34.000 copie, e nei mesi successivi le vendite sono andate in crescendo, anche grazie ad alcune promozioni, fino a raggiungere le 350.000 unità a luglio 2011 (Grip, 2011: 5). Al di fuori dei saldi non vengono però indicate le ragioni dietro alla diffusione e alla longevità dell’interesse per il videogioco, elementi analizzati più nel dettaglio all’interno dell’articolo sul loro blog (Thomas KL, 2011). I fattori citati sono sostanzialmente due, entrambi riconducibili all’user response: creazione di materiali e discorsi sul videogioco e realizzazione di mod per il medesimo.

Per il primo punto citano, come esempio primario, «the Amnesia WTF video that reached 4 million views» (ivi). Per il secondo sottolineano la differenza con Penumbra: in quel caso un solo utente aveva avviato un progetto di modding, mai portato a termine, mentre per Amnesia: The Dark Descent sono presenti almeno trecento progetti in cantiere, di cui una ventina portati a termine. Questi due elementi si rafforzano peraltro a vicenda, generando un circolo virtuoso.

Le mod, oltre a rendere più varia e duratura l’esperienza di gioco, sono a loro volta mostrate nei video di youtubers come PewDiePie e Markiplier. Questa esperienza ha peraltro lasciato tracce nella community di entrambi. Da una partita a una mod del gioco è nata l’avversione di PewDiePie per i barili, che è divenuta un joke ricorrente nei suoi video. Nel caso di Markiplier, invece, si possono ricordare ad esempio alcuni videogiochi fanmade che richiamano le sue partite a quel videogioco, come Darkiplier: The “Mark” Descent (The One: Sayncraft, 2016) il quale, a dispetto del titolo, è in realtà un più ampio collage di riferimenti a molti giochi horror che lo youtuber ha portato sul suo canale.

Tutto ciò, comunque, contribuisce alla diffusione delle mod e spinge nuovi utenti ad acquistare il gioco e – se ne sono in grado – a realizzare a loro volta una mod. I contenuti creati dai fan possono attenersi allo spirito originario dell’opera oppure compiere significative deviazioni. Può trattarsi di inserti comici come in Killings In Altstadt, una mod in cui uno dei mostri del gioco è trasformato in un mercante russo, con annesso colbacco, e nel suo negozio è possibile ascoltare la musica dei negozi di The Legend of Zelda: Ocarina of Time (PewDiePie, 2012; Markiplier, 2012c).

L’articolo approfondisce anche la questione delle vendite. Il conteggio ammonta a quasi 400.000 unità, di cui circa 300.000 vendute in sconto. Si tratta di una percentuale elevata di copie scontate ma, come sottolineato, anche le copie vendute a prezzo pieno sono circa 6000 al mese, un numero che, oltre a essere più che sufficiente per stipendi e costi di mantenimento, risulta in crescita rispetto all’anno precedente (Thomas KL, 2011), ulteriore segnale del ritorno economico prodotto dalla vitalità della community.

Il report del 2012 traccia una situazione ancor più rosea, con 710.000 unità sicure e, in base all’andamento di determinati bundle in corso, un totale effettivo che può oscillare fra 900.000 e 1.300.000 copie (Thomas KL, 2012a). Pure in questo caso sconti e offerte hanno ricoperto un ruolo significativo, ma anche le copie vendute a prezzo pieno sono ulteriormente aumentate, passando a una media di 10.000 unità al mese. Aggiunge inoltre che pure la serie Penumbra, probabilmente anche trainata dal successo di Amnesia: The Dark Descent, registra stabilmente circa 900 copie vendute ogni mese a prezzo pieno (Thomas KL, 2012a). È anche utile ricordare che, su YouTube, la maggior parte dei video relativi a Penumbra è giunta dopo l’uscita del successivo gioco di Frictional Games, il che sembra contribuire a spiegare queste vendite di un gioco ormai datato, persino leggermente in crescita rispetto al passato.

Nel complesso, Frictional Games ha guadagnato oltre il decuplo della cifra spesa per sviluppare il videogioco.

E negli anni successivi gli incassi sono ulteriormente cresciuti. A luglio 2018 oltre 2.600.000 persone avevano avviato almeno una volta Amnesia: The Dark Descent su Steam (Games–achievements–players, 2018), segno che il numero complessivo del venduto è ancor più elevato, contando coloro che l’hanno acquistato senza averci mai giocato e coloro che l’hanno comprato su una diversa piattaforma.

Le ragioni di questo considerevole successo sono molteplici: «This success is due to many factors, some of which are the uniqueness of the game (horror games without combat do not really exist on PC), the large modding community (more on this later) and the steady flood of YouTube clips (which is in turn is fueled by the modding community output)» (ivi. Corsivi miei). Sempre a proposito di YouTube e modding, poco oltre l’articolo aggiunge:

The output of modding community has been quite big as well. Amnesia is as of writing the 2nd most popular game at ModDB and sports 176 finished mods. Not only do this amount of user content lengthen the life of the game, it has also increased the amount of YouTube movies made with an Amnesia theme. There are lots of popular Let’s Play channels that have devoted quite a bit of time with just playing various user-made custom stories. As mentioned earlier this have probably played a large role in keeping our monthly sales up. (ivi. Corsivo mio).

È peraltro in quest’anno che sono nati o cresciuti alcuni canali di gaming molto popolari, e – come detto – questo loro percorso è proprio legato ad Amnesia: The Dark Descent e altri videogiochi horror. È un ulteriore segnale del fatto che non sia stato solo il gioco di Frictional Games a beneficiare degli youtubers, ma anche il contrario.

Slender Man: creepypasta, videocamere e prove di coraggio

Volendo effettuare una semplificazione si potrebbe affermare che, laddove Amnesia: The Dark Descent ha contribuito alla diffusione dei let’s play (soprattutto a tema horror), Slender Man (o Slenderman) li ha resi appetibili per un’audience di bambini e ragazzi.

Il rapporto fra Slender Man e il gaming su YouTube è scomponibile in due differenti direttrici, una legata al fenomeno delle creepypasta e l’altra ai videogiochi realizzati su questo personaggio. Nel primo caso è possibile parlare di videogiochi come creepypasta, nel secondo di videogiochi sulle creepypasta.

Slender Man è un immenso fenomeno crossmediale bottom up nato praticamente per caso nel 2009, quando un utente di Something Awful posta due immagini modificate in risposta al contest “create paranormal images” (Gerogerigegege, 2009). In queste immagini in bianco e nero, raffiguranti dei bambini, è stata inserita sullo sfondo la sagoma di un uomo alto, magro e senza volto.

La creatura, definita “Slender Man”, si diffonde in brevissimo tempo prima su /x/ (la board di 4chan dedicata al paranormale) e poi in diversi altri siti e piattaforme. Nel frattempo vengono progressivamente definite le caratteristiche di questa creatura, per quanto non si sia formato un canone stringente (Chess, 2015), anche per via della natura fortemente cooperativa e condivisa del progetto (Chess, 2012; Freitas, Amaro, 2016; Smith, 2017) in cui diversi utenti con differenti capacità e punti di vista hanno plasmato la generica idea di fondo.

Quest’idea già nasceva, come ha affermato il suo creatore in un’intervista, da una commistione di vari spunti: «I was mostly influenced by H.P Lovecraft, Stephan [sic] King (specifically his short stories), the surreal imaginings of William S. Burroughs, and couple games of the survival horror genre; Silent Hill and Resident Evil. I feel the most direct influences were Zack Parsons’s “That Insidious Beast”, the Steven [sic] King short story “The Mist”, the SA tale regarding “The Rake”, reports of so-called shadow people, Mothman, and the Mad Gasser of Mattoon» (Tomberry, 2011).

«Users critiqued these performances, discussing what elements made them most effective. Successive performances built upon existing performances and discussions» (Peck, 2017: 35). Vengono prodotte finte immagini d’epoca, documentazioni, programmi radiofonici, mockumentary e molto altro, con narrazioni che mettono in correlazione fra loro questi diversi testi, i quali si citano reciprocamente. Vengono rigettate le produzioni che risultano palesemente inautentiche, ma nonostante questo nascono anche molti testi lontani dall’originaria idea horror, fra cui le numerose fanfic a tema sentimentale su Slender Man (Chess, 2015). Restando nel primario filone horror, invece, le diverse apparizioni della creatura presentano alcune caratteristiche comuni, che è utile riportare perché si relazionano anche con i videogiochi sul tema:

«One dominant theme that materialized is the haunting presence of the creature. The protagonists are almost never in direct contact with Slender Man. They are aware of his presence, rarely through sightings, but most often because of physical reactions to his proximity. They start coughing and wheezing, sometimes they lose consciousness, and they also experience an overpowering desire to sleep. Amnesia plays a big part in the plot, as the protagonist discovers tapes of himself talking to people and being in places that he simply cannot recall» (Boyer, 2013: 251-252. Corsivi miei).

Slender Man si è rapidamente diffuso come nuova entità folklorica. Possiede infatti i tre attributi del folklore: collettività, variabilità e performance (Bauman, 1986, citato in Smith, 2017: 9). Inoltre nella sua figura si uniscono due concetti di particolare rilevanza, identificabili coi termini “weird” e “eerie”, intendendo il primo come la presenza di qualcosa che appare fuori posto, e il secondo come fallimento dell’assenza o fallimento della presenza (Fisher, 2016: 61). Slender Man, grazie al suo statuto ambiguo, può essere inquadrabile in entrambe le prospettive. La sua presenza, intuibile ma quasi mai certa, è legata al mistero e alla riflessione su di esso, tramite gli inquietanti indizi che trapelano. Ma la sua figura è anche, al pari degli orrori lovecraftiani, una “presenza” eccessiva e indicibile propriamente weird. Queste due caratteristiche sono riscontrabili anche nei videogiochi legati a Slender Man e nei numerosi “cloni” derivanti dal loro successo.

Quando è uscito Slender: The Eight Pages (Mark J. Hadley, 2012), inizialmente noto solo come Slender, è stata da più parti sottolineata la sua minimalistica efficacia come videogioco horror. In questo gioco bisogna raccogliere, come suggerisce il titolo, otto pagine disseminate casualmente in determinati punti di un bosco notturno. Col proseguire della raccolta Slender Man si manifesta sempre più spesso e diviene sempre più pericoloso.

Già Amnesia: The Dark Descent si era rivelato un ottimo survival horror con un costo di realizzazione di circa 360.000 dollari, una cifra decisamente lontana dal budget di un “tripla A” ma comunque relativamente elevata. Slender: The Eight Pages è invece un piccolo progetto, amatoriale, con un costo irrisorio, che è stato tuttavia capace di ottenere una considerevole risonanza, in primo luogo grazie ad alcune felici scelte di design. Un’analisi del gioco è stata presentata, fra gli altri, da Frictional Games (Thomas KL, 2012b), poi recuperata e ampliata da Chris Pruett (2012a).

Entrambi sottolineano l’importanza di non poter vedere chiaramente Slender Man (fissarlo per troppo tempo fa impazzire il personaggio) e non conoscere – almeno nelle prime partite – le modalità con cui la creatura opera. «The game hides the mechanics that govern how the monster hunts you down and what makes you eventually get killed. I think this was a good move as you are free to make up for yourself what happened» (Thomas KL, 2012b) e «By hiding the core rule set and giving you almost no visual information about the behavior of the game, Slender robs you of the comfort that predictability brings. It forces you to think on your feet, to accept the narrative rather than focus on the mechanic» (Pruett, 2012a).

I due elementi sono collegati: la mancata conoscenza delle meccaniche di gioco rende più difficile rompere l’immersività, e quando il fruitore si trova davanti un “vuoto” tende a riempirlo con qualcosa di più spaventoso di quanto si potrebbe effettivamente presentare (Rouse, 2009: 17). Si tratta di una scelta che contrasta con gli horror di stampo più action, in cui i mostri sono (sovra)esposti, che si ricollega invece alla tradizione di alcuni survival horror precedenti come Fatal Frame e, risalendo più indietro, all’Orrore Cosmico di Lovecraft.

A proposito di Fatal Frame, il direttore della serie Makoto Shibata, durante un’intervista utilizzò le seguenti parole a proposito della modalità con cui avevano introdotto la componente horror nei loro giochi: «I believed that our method to invoke the fear in the player’s own imagination maximizes the recipient’s fear. We do not simply show sacry things, but provide fragmental information and create a situation that forces the player to imagine these horrors. I personally call it, “Subtracting horror”» (Stuart K., 2006, citato in Picard, 2009: 111). A proposito di Lovecraft si possono ricordare le parole dell’autore stesso: «L’unico dato di fatto è questo: se venga stimolato o no nel lettore un senso di terrore e di contatto con sfere e potenze ignote, un atteggiamento indefinibile di timoroso ascolto, come captare il battere di nere ali o lo stridere di forme e entità esterne ai confini dell’universo conosciuto. E, naturalmente, più il racconto riesce a trasmettere questa atmosfera in modo completo e uniforme, migliore è come opera d’arte in quel settore» (Lovecraft, 1993 [1927]: 462).

Questa visione evocata presenta una correlazione anche con gli altri due punti sottolineati sul blog di Frictional games: la «sensory deprivation» (vedendo sempre gli stessi elementi continuamente ripetuti il giocatore crede di scorgere cose che non esistono) e la «tunnel vision» creata dalla torcia, in cui i margini dello schermo restano perennemente avvolti nell’oscurità (Thomas KL, 2012b). A proposito della sensory deprivation ricordiamo anche che «la deprivazione dei normali input visivi può stimolare l’occhio interiore, producendo sogni, immagini vivide o allucinazioni. Esiste perfino un termine specifico per riferirsi alle sequenze di allucinazioni – varie e dai colori brillanti – che confortano o tormentano chi è tenuto nell’isolamento o nell’oscurità: è il “cinema del prigioniero”. Per produrre le allucinazioni non occorre una deprivazione visiva totale: la monotonia degli stimoli visivi può avere lo stesso effetto» (Sacks, 2013 [2012]: 45).

Pruett aggiunge la grande importanza che ricopre il suono all’interno di questo breve videogioco: «I think about 80% of the effectiveness of Slender is the sound. The sound is overwhelming. It demands your attention, forces your blood to pump in spite of the otherwise unremarkable graphics and presentation. The way the sound increases in intensity with each note you find also keeps the tension from falling with repetition» (Pruett, 2012a).

E in un altro articolo, in cui parla di Slender e di Five Night’s at Freddy’s, segnala altri due punti, che risultano peraltro di particolare importanza in relazione al legame con YouTube: «Pop-Out Scare Failure Event» e «Mettle Tests» (Pruett, 2015). Il primo punto riguarda un utilizzo oculato degli scare jumps: «Rather than pop some hideous creature out of a dark corner every few minutes, these titles build tension with the threat of a pop-out scare, which doesn’t actually occur until the player fails and reaches the game over state» (ivi. Corsivo dell’autore). Lo scare jump collocato al vertice di una sequenza atta a generare tensione è un elemento efficace ma non originale, è rintracciabile anche in diversi film horror, ma in altri contesti è seguito da un momento distensivo, mentre in Slender: The Eight Pages il culmine coincide con il game over.

Il secondo punto è invece relativo alla popolarità di questo videogioco fra i più giovani: «The design of Freddy’s and Slender is good, but I think their virality amongst kids has to do with them being tests of mettle. These games are a safe way to prove your courage, both to yourself and your classmates. […] Slender and Freddy’s provide easy-to-reproduce fear challenges that kids can perform without involving adults» (ivi).

Il fattore “prova di coraggio” potrebbe essere una delle caratteristiche che ha contribuito a rendere l’esperienza del videogioco non esauribile con la visione di un let’s play, pur trattandosi di un prodotto semplice e veloce da visionare nella sua interezza. È presente una componente di emulazione e sfida di cui il let’s play costituisce un facile innesco. Rispondendo a un commento relativo ai video su YouTube, Pruett scrive:

«Agreed! The rise of Let’s Play and Twitch has made these games more accessible to teens than ever before. But I would argue that, in this era of dramatically increased visibility amongst teens thanks to YouTube, Freddy’s and Slender are breakout successes because of the way that they are designed. Pewdiepie plays a lot of games, but most of them do not become middle school phenomenons. These titles are structured in a way that allows them much larger success» (ivi. Corsivo mio).

Slender: The Eight Pages è peraltro solo uno dei numerosi videogiochi fanmade che sono stati realizzati su Slender Man, per quanto sia stato quello che ha impresso una certa direzione a molti degli altri giochi realizzati successivamente, considerando il successo della sua formula su YouTube e fra i ragazzi. Molti di questi videogiochi presentano cambiamenti prevalentemente grafici, con ambientazioni differenti rispetto al bosco di Slender: The Eight Pages, ma con la stessa struttura basata sulla raccolta di un certo numero di oggetti e lo “stalking” di Slender Man.

Fra questi si ricordano Slender Man’s Shadow (Marc Steene, Wray Burgess, 2012), Slender Space, Slender Rising (Michael Hegemann, 2013) e Slender Rising 2 (Michael Hegemann, 2014), SlenderMod (Tim Spaninks, Marco van den Oever, 2012), Slender: Flashlight (Triggered Games, 2013), Slender Nightmare Camp (fortunacus, 2013), Slender: Anxiety (the_adc, 2014) e molti altri. La maggior parte di questi videogiochi è presente su YouTube in numerosi video, alcuni dei quali (per esempio quelli di PewDiePie e Markiplier) con un numero di visualizzazioni molto elevato. Nessuno di essi è disponibile su Steam, sono tutti scaricabili o giocabili su siti come Game Jolt – in cui la ricerca del termine “slender” genera oltre duecento risultati – Newgrounds o Dark Horror Games.

Al tempo stesso sono estremamente diffusi i videogiochi che mantengono la stessa struttura di Slender: The Eight Pages modificando però i personaggi coinvolti e inserendo differenti inseguitori rispetto a Slender Man. Fra gli “stalker” inseriti in questi videogiochi si possono ricordare, a titolo d’esempio, una donna fantasma (Dream of the Blood Moon, The Unbeholden, 2013), Babbo Natale (Darth Santa, jaekkl, 2015), il windigo (The Wendigo, warka, 2017), Tinky–Winky dei Teletubbies (Slendytubbies, Sean Toman, 2012), Slender Man in versione pony (Derp Till Dawn, Donitz, 2013) e altri.

Anche per questa categoria, i video reperibili su YouTube sono spesso numerosi e molto visualizzati. Sono stati inoltre realizzati un vasto numero di videogiochi di differenti tipologie, incentrati su Slender Man o comunque in cui compare come personaggio. In linea di massima è possibile affermare che l’operazione svolta consiste nell’ibridazione fra Slender Man e un popolare videogioco del momento, come nel caso di Slendertale (Khamelot, 2016), il quale unisce meccaniche e personaggi di Slender Man e Undertale (Toby Fox, 2015).

Mentre era in corso il flusso di videogiochi fanmade relativi a Slender Man è uscito, nel 2013, Slender: The Arrival (Blue Isle Studios, 2013), il videogioco ufficiale dedicato al personaggio, nonché l’unico in vendita su Steam e su console. Molti degli elementi che lo compongono sono una versione ampliata di quanto già visto in Slender: The Eight Pages e altri videogiochi realizzati dai fan. L’inserimento di una trama più o meno vaga, per esempio, era stato già compiuto in giochi come Slender’s Woods (ZykovEddy, 2012) e Haunt: The Real Slender Game (poi rinominato semplicemente Haunt, ParanormalDev, 2012).

Almeno uno di questi elementi merita una menzione a parte: l’utilizzo di una telecamera da parte del protagonista. Anche in questo caso non costituisce una novità nel panorama dei videogiochi su Slender Man, e tantomeno nei videogiochi in generale. Si ricorda per esempio il particolare precedente di The Fear (Digital Frontier, 2001), videogioco full motion rilasciato solo in Giappone in cui il protagonista è un cameraman.

La sua presenza nel gioco ufficiale su Slender Man, però, non è priva di interesse. Già in Slender: The Eight Pages la presenza di una telecamera era intuibile per almeno due ragioni, relative alla lore del personaggio: Slender Man sarebbe visibile solo attraverso una telecamera, e la sua comparsa provoca dei disturbi (visibili nel videogioco) negli apparecchi di registrazione. È un esempio di glitch horror (Crawford, 2017), in cui l’ansia è legata al malfunzionamento e alla fallibilità della tecnologia, come riscontrabile in The Ring o nel videogioco Eternal Darkness: Sanity’s Requiem. In Slender: The Eight Pages questo malfunzionamento è però percepito in prima persona, e si lega strettamente alla visione (tramite telecamera). Una presenza digitale che, in Slender: The Arrival, è resa esplicita tramite diversi indicatori a schermo, sempre attivi, fra cui l’icona REC.

L’importanza della telecamera può essere sintetizzata in tre parole, ciascuna delle quali fornisce una immagine di sintesi sulle componenti coinvolte: immersività, incertezza e mediazione.

Immersività: tendenzialmente, nei videogiochi, le informazioni visualizzate a schermo (definite HUD, Head–Up Display) sono percepite come un elemento capace di ridurre o annullare l’immersività, perché rivelano immediatamente la finzionalità del mondo di gioco, mostrandone alcune statistiche (i punti vita del personaggio, il punteggio, la mappa di gioco, lo stato di degradamento degli oggetti equipaggiati…). Alcuni videogiochi, come quelli legati alle corse automobilistiche, consentono di inserire con una certa naturalezza numerose informazioni, ponendole nel cruscotto dell’automobile, ma si tratta di casi specifici.

La presenza di una telecamera costituisce un altro di questi specifici casi, come ha sottolineato fra gli altri Thomas Grip di Frictional Games in un suo commento su Slender: The Arrival (Thomas KL, 2013). È uno di quei casi, dice, in cui la presenza di HUD non solo non danneggia l’immersività, ma al contrario contribuisce a rinforzarla. Un altro esempio da lui citato è il visore di Samus Aran in Metroid Prime (Retro Studios, 2002). Trattandosi del visore di una futuristica tuta da battaglia può credibilmente mostrare un gran numero di informazioni, ed è inoltre influenzato dagli elementi esterni come gocce di pioggia, attacchi elettrici e bava dei mostri. Nello specifico caso di Slender Man, inoltre, l’immersività di questo oggetto è accresciuta anche dalla lore sul personaggio che, come detto in precedenza, è legata all’impiego di apparecchiature tecnologiche (e ai loro malfunzionamenti).

Incertezza: il tremolio nella videocamera non è solo un mero effetto grafico che omaggia i mockumentary su Slender Man, poiché costituisce anche di un elemento di gioco, in quanto indicatore di prossimità del nemico. Un indicatore che risulta però volutamente vago: «How near is the Slenderman in Slender?» domanda Chris Pruett in un suo articolo (2012b) sull’importanza dell’incertezza nei videogiochi horror. Secondo Pruett limitare o rimuovere le indicazioni a schermo, in un videogioco horror, non contribuisce solo all’immersività, ma aiuta a offuscare i dettagli per rendere più spaventosa l’esperienza di gioco.

Pruett cita, come esempio in negativo, Dead Space (Visceral Games, 2008). Sotto il punto di vista dell’immersività questo gioco ha integrato piuttosto bene l’HUD, inserendo i diversi indicatori nella tecnologica tuta del protagonista, ma i dati forniti sarebbero, secondo Pruett, troppi, andando a ridimensionare la componente orrorifica del gioco: «Isaac’s life bar is attached to his back, his gun prominently displays the number of shots remaining, and he has a special gadget that shows him where to go whenever he is lost. This information is reassuring. In the heat of battle, we can rest easy if Isaac has full health; even a couple of direct hits aren’t likely to kill him. We know where we’re going, and how much ammo and health we have, at all times» (2012b).

Questa logica è applicabile a numerosi elementi di gioco (la salute dei nemici e quella del personaggio, il numero di colpi in canna, l’esatta efficacia di un oggetto di cura…), ma si rivela di particolare interesse soprattutto in relazione al rilevamento dei nemici. Tendenzialmente, in un buon gioco horror, la presenza del nemico deve essere suggerita ma non esplicitata, fino al momento della comparsa del mostro. I versi di uno zombie in Resident Evil, la radio gracchiante in Silent Hill e il tremolio nella telecamera di Slender Man sono tutti elementi visivi o sonori che lasciano intuire senza rivelare troppo. Un’interferenza indica la vicinanza di Slender Man, ma non indica quanto sia vicino, né da quale direzione stia arrivando.

Mediazione: laddove, in ogni attività videoludica, è presente la mediazione di uno schermo collocato fra il videogiocatore e il mondo di gioco, la fruizione di un let’s play su YouTube costituisce una sorta di mediazione schermica al quadrato. Con la presenza di una telecamera interna la mediazione diviene cubica: uno schermo separa avatar e mondo di gioco, un secondo separa il giocatore/youtuber dal proprio avatar e un terzo il fruitore del video dal giocatore/youtuber. Ma la “mediazione” è anche quella fra visione e nascondimento, i due poli su cui giocano molti survival horror, qui negoziata dalla telecamera.

Seguendo la logica dei filmati su Slender Man (i quali attingono a loro volta da una lunga tradizione di found footage) la creatura non può essere vista o registrata, se non di sfuggita (a causa della pazzia e dei disturbi nelle riprese), ma al tempo stesso si cerca di registrare tutto, per provare la sua esistenza o anche solo aver salva la vita. Una «Scan-and-search visuality» (Soderman, 2015: 313) in cui bisogna osservare (registrando) ovunque in cerca delle pagine disperse, evitando al tempo stesso di guardare Slender Man. Una “mediazione” che trova infine un corrispettivo nell’azione contemporanea dello youtuber, il quale con una differente videocamera osserva e registra, mosso da due spinte contrastanti: evitare il mostro per proseguire nel gioco ed essere inseguito da quest’ultimo per generare reactions da mostrare in video.

Continua nella quinta parte.

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