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Let’s Play: qual è stato il primo?

Qual è stato il primo let’s play? Di recente, spulciando tra le cartelle del computer, ho trovato questo articolo, in cui davo una risposta all’interrogativo.

L’articolo riprendeva un pezzettino della mia tesi di dottorato. Non ho mai avuto occasione di pubblicarlo e non ricordo perché.

Comunque sia, ho deciso di condividerlo qui sotto.

Che cos’è un let’s play

Possiamo fornire la seguente definizione per ciò che si intende, attualmente e abitualmente, con questo termine.

Let’s play: una tipologia di video nata come condivisione della propria esperienza di gioco, magari per istruire altri videogiocatori. Il termine è passato poi a indicare, in prevalenza, dei video relativamente brevi in cui uno youtuber realizza una performance videoludica in cui emerge con una certa forza la sua presenza. Il contenuto è spesso ironico e, anche quando non è esplicitamente presente questa componente, risulta un contenuto ‘leggero’, di intrattenimento.

La presenza dell’editing è spesso significativa e può arrivare a modificare notevolmente quanto mostrato. In linea di massima si tende a rimuovere le parti più ripetitive della partita, per soffermarsi sui momenti di maggior interesse, per quanto avviene a schermo o quanto dice lo youtuber. Lo youtuber è tendenzialmente presente sullo schermo, o in un riquadro oppure con il suo profilo isolato tramite green screen. La sua presenza è importante per il valore assunto dalle sue reazioni che in alcuni casi, nei momenti più significativi, sono sottolineate tramite uno zoom sulla sua figura che mette per un momento in secondo piano il videogioco. In alcuni casi il giocatore non è tuttavia visibile, ma è possibile ascoltare la sua voce.

Si può anche considerare un ulteriore termine, spesso usato in modo decisamente simile, nei contesti di cui si parla.

Gameplay: in molti casi è un termine quasi sinonimico rispetto a “Let’s play” e utilizzabile indifferentemente al posto suo. Volendo operare una distinzione il gameplay può essere definito come un video con grosso modo le stesse caratteristiche dei let’s play, ma con un maggior focus sul videogioco provato rispetto allo youtuber. Quest’ultimo può rimanere presente, come voce o presenza a schermo[1], ma i suoi interventi privilegiano la spiegazione del gioco rispetto alla propria personalità. Si tratta comunque di una differenza sottile, legata semplicemente al gradiente con cui possono presentarsi determinati elementi. Senza dimenticare che, il più delle volte, i termini sono intercambiabili.

Un campo in cui potrebbe forse essere sensato proporre una differenziazione effettiva riguarda un gruppo di più o meno brevi video che registrano un determinato aspetto di un videogioco, come la sconfitta di un avversario particolarmente difficile, con la finalità di istruire i fruitori. D’altra parte potrebbero però esser semplicemente definiti degli “how to”, categoria presente in gran parte dei settori presenti su YouTube.

Nascita del let’s play

La storia del let’s play varia a seconda della definizione che si vuole accogliere, variabile, come visto in precedenza, già nella sua stessa natura attuale d’uso. Non si tratta, in primo luogo, di risalire alla prima registrazione documentata di un videogioco, ma a un formato differente, realizzato con un intento precipuo.

Il termine let’s play sembra in primo luogo essere nato all’interno del sito Something Awful, terreno di coltura di numerosi contenuti memetici. La definizione, in particolare, sarebbe nata da un thread relativo al videogioco The Oregon Trail (mecc, 1971), in cui veniva mostrato come giocare attraverso una serie di screenshots (Klepek, 2015). Il thread non è più raggiungibile, ma le tempistiche risultano credibili, anche perché il racconto di una partita tramite screenshots era già andato sviluppandosi almeno a partire dall’anno prima (ivi). Le immagini fisse non sono però un video, per il quale – nella stessa community – bisognerà attendere il 2007 per assistere a un contenuto di questo genere.

E allargando il concetto si potrebbe del resto far risalire il let’s play a molto prima. Anche una testimonianza come quella di Martin Amis (1982) sui coin–op allora, per quanto largamente testuale, potrebbe costituire il racconto ragionato di una esperienza di gioco, volta a istruire altre persone. La sua è infatti una testimonianza pubblica, divulgativa, ma slegata dalla componente audiovisiva. Esistono invece numerose testimonianze di registrazioni decisamente antecedenti al sopra citato 2007 (alcune delle quali citate nei commenti a Klepek, 2015), ma destinate – almeno fino a tempi recenti – a una fruizione privata, legata ai ricordi dell’infanzia, in un circuito costituito al più da amici e parenti.

Genitori, nonni o altri parenti che registrano la partita di un ragazzino, magari all’interno di un più ampio ciclo memoriale di riprese sulla propria famiglia. Alcuni di questi contenuti sono stati poi caricati su YouTubein tempi relativamente brevi su YouTube (come questo). Anche simili casi, tuttavia, potrebbero non costituire un particolare primato a seconda della definizione considerata. Tendono infatti a polarizzarsi in forma troppo netta o sulla registrazione del videogioco o sul bambino che sta giocando, il che non li differenzia da filmati antecedenti se non, al più, per la loro natura amatoriale.

Ancora, spostando altrove la definizione emerge uno spostamento temporale notevole. Il playthrough realizzato tramite video è un fenomeno che può esser fatto risalire alla fine degli anni Novanta (Menotti, 2014). Allo stesso modo sono tracciabili diverse registrazioni relative per esempio a Doom (Lowood, 2008), legate a una specifica nicchia incoraggiata dai creatori stessi del videogioco (Menotti, 2014). E ancora, considerando il Machinima la sua genesi è abitualmente fissata al 1996, con la pubblicazione di Diary of a Camper (Lowood, 2006). Nessuna di queste forme qui citate è tuttavia interamente sovrapponibile a un let’s play.

Un curioso ma tutto sommato condiviso primato

A fronte di una simile incertezza classificatoria risulta certamente comprensibile la posizione di chi indica il primato di Something Awful, e in particolare dell’utente slowbeef (Michael Sawyer), per aver fornito la definizione nel 2005 e offerto il primo video di let’s play nel 2007, legato al videogioco The Immortal (Sandcastle, 1990). È tuttavia possibile risalire ad almeno un altro precedente degno di menzione, che è stato a sua volta indicato da alcuni come “il primo let’s play.

Il caso risulta di maggior interesse perché si collega a una figura particolarmente studiata nel panorama della rete, al punto da generare numerosi video documentari sulla sua vita: Christian Weston Chandler, attualmente Christine Weston Chandler. “Chris Chan”, spesso ha questo appellativo, ha inconsapevolmente anticipato diversi fenomeni virali, essendo ad esempio considerabile una sorta di ‘protobrony’, interessandosi pubblicamente al mondo di My Little Pony prima che emergesse un fandom maschile legato a questo show. Anche nell’ambito dei let’s play, Chris Chan potrebbe rappresentare un’anticipazione del fenomeno, con i requisiti ideali rispetto a quella che è l’attuale considerazione su questa etichetta. Del resto l’attenzione mediatica sulla sua persona ha contribuito a portare alla luce la maggior parte delle sue interazioni online, comprese quelle di potenziale interesse in questa sede.

La presenza online di Chris Chan è tracciabile perlomeno a partire dal 1999, con un suo sito dedicato ai Pokémon[2], sebbene il “fenomeno” online legato alla sua persona sia esploso solo nel 2007, quando la popolare board di 4chan ha scoperto il suo personaggio Sonichu, ibrido fra Sonic e Pikachu e protagonista di una serie di fumetti autoprodotti e pubblicati su internet.

Sia per l’impulso di Chris Chan di condividere spontaneamente numerosi dettagli della sua vita privata, sia per diverse opere di hacking dei suoi profili, sono attualmente reperibili numerosissime informazioni e testimonianze sulla sua vita. Queste testimonianze comprendono anche un lungo filmato del 2003 dedicato al videogioco Animal Crossing (Nintendo, 2001) che potrebbe costituire un effettivo primo esempio di let’s play[3].

Il documentario let's play di Chris Chan in Animal Crossing
Il “documentario” di Chris Chan in Animal Crossing.

Perché proprio questo?

La possibile candidatura a questo primato è determinata dalla presenza concomitante di numerosi fattori che avvicinano quel video all’ottica contemporanea del let’s play.

La tipologia di commentario, in primo luogo, sembra anticipare i video che sarebbero proliferati su YouTube pochi anni più tardi, con Chris Chan che descrive quanto avviene a schermo, propone una serie di battute (nel suo non sempre comprensibile umorismo) e cerca di coinvolgere il destinatario del filmato.

In secondo luogo è presente una volontà di diffusione. A differenza delle videocassette registrate per tramandare in famiglia il ricordo di un bambino che gioca ai videogiochi, infatti, il video di Chris Chan è stato fin da subito realizzato con l’intento di essere mostrato ad altre persone (Nintendo, in primo luogo).

Bisogna inoltre considerare l’impatto del suo video, con una risonanza sia su un piano ‘istituzionale’ (viene citato nel numero di maggio 2004 della rivista «Nintendo Power») sia per quanto riguarda l’utenza, complice la crescente popolarità che Chris Chan stava ottenendo, anche ‘grazie’ (ma sarebbe meglio dire “purtroppo”) al trolling su 4chan che invitava al recupero delle attività di questo ragazzo per deriderlo. A quest’ultimo punto si collega peraltro la natura di “celebrità” che ha – involontariamente – assunto Chris Chan. La sua figura può probabilmente rientrare nelle “star del trash” (Brilli 2015 e 2016) internazionali, poiché ha attirato una comunità di appassionati più interessati al trolling e alla derisione che a un supporto effettivo. Nondimeno, però, mantiene alcune caratteristiche in comune con le celebrities di YouTube che propongono contenuti legati ai videogiochi.

L’elemento primario che invece lo differenzia dall’attuale concezione del let’s play – al di fuori della qualità video e audio – è l’assenza di editing. Chris Chan mantiene nel suo filmato anche quei tempi morti, legati per esempio al caricamento dei dati, che verrebbero tagliati o velocizzati da uno youtuber. Il riempitivo che propone riguarda una sua performance canora, con alcuni motivetti canticchiati.

È degno di nota, infine, il termine “documentario” utilizzato per descrivere il video. Appare tuttavia piuttosto diverso rispetto agli effettivi e numerosi video documentaristici legati ai videogiochi, che sono presenti su YouTube. L’attività di Chris Chan è un tour delle sue due città virtuali, senza sistematicità e con un soffermarsi su particolari e dettagli spesso inutili o ripetitivi. Tutto ciò viene inoltre affiancato da digressioni sulla vita reale di Chris Chan, elementi che risultano del tutto estranei all’ottica documentaristica, ma sono invece nuovamente vicini alla forma del let’s play, che è spesso utilizzato come una sorta di pretesto per parlare d’altro, da parte degli youtuber.

Bibliografia

Amis (1982): M. Amis, Invasion of the Space Invaders, Hutchinson, London (trad. it. F. Aceto, ISBN Edizioni, Milano 2013).

Brilli (2015): S. Brilli, YouTube freakshow: fama e derisione nei pubblici connessi, tesi di dottorato, Università degli Studi di Urbino Carlo Bo, a.a. 2014/2015, relatore L. Gemini.

Brilli (2016): S. Brilli, Dal collasso dei contesti alle Trash Star: la serializzazione nella costruzione degli idoli ridicoli di YouTube Italia, «Mediascapes Journal», 7, pp. 153–164.

Kerttula (2019): T. Kerttula, ‘‘What an Eccentric Performance’’: Storytelling in Online Let’s Plays, «Games and Culture», 14(3), pp. 236-255.

Klepek (2015): P. Klepek, Who Invented Let’s Play Videos?, pubblicato il 06/05/2015 su Kotaku.

Lowood (2006), H. Lowood, High–Performance Play: The Making of Machinima, «Journal of Media Practice», 7, 1, pp. 25–42.

Lowood (2008): H. Lowood, La cultura del replay. Performance, spettatorialità, gameplay, in M. Bittanti (a cura di), Schermi interattivi. Il cinema nei videogiochi, Meltemi, Roma, pp. 69–94.

Menotti (2014): G. Menotti, Videorec as Gameplay: Recording Playthroughs and Video Game Engagement, «G|A|M|E: The Italian Journal of Game Studies», 1, 3.


[1] Tero Kerttula (2019) cita anche un caso ulteriore, piuttosto raro ma comunque possibile, in cui gli interventi dello youtuber avvengono tramite dei box inseriti nel video. Viene riportato come esempio il canale PinkKittyRose, la cui proprietaria «narrates her video gameplay with Final Fantasy-style text boxes».

[2] Attualmente non più raggiungibile.

[3] Il video è tutt’ora visualizzabile attraverso dei reuploads come quello di Fokker TISM. Il suo video è peraltro indicato come un possibile primo esempio di let’s play in uno dei numerosi documentari su Chris Chan presenti su YouTube (quello di GenoSamuel). Questo primato è anche sottolineato in diversi commenti nelle boards di 4chan, soprattutto /v/ e /tv/.

Rage games su YouTube

Parlare dei cosiddetti rage games è utile per due ragioni.

La prima: perché offre ulteriori spunti di riflessione intorno al concetto di “genere” nei videogiochi (argomento che ho brevemente affrontato anche su questo sito).

La seconda: perché contribuisce a illuminare il rapporto sinergico tra videogiochi e YouTube che si è sviluppato dal 2010 in poi per alcuni anni.

A tal proposito è utile anche considerare il confronto con il survival horror, per via dell’intreccio di somiglianze e differenze tra i due ambiti. Sugli horror ho pubblicato una lunga analisi su questo sito (qui la prima parte) e un articolo accademico (in inglese) specificamente dedicato al loro rapporto con gli youtuber.

Consiglio pertanto di tenere sott’occhio questi materiali, durante la lettura.

rage games su youtube

Il non–genere dei “rage games”

A seconda del punto di vista considerato, i rage games non costituiscono necessariamente un genere a sé stante, al contrario dell’horror/survival horror. Quest’ultimo si lega a una preesistente tradizione cinematografica e ancor prima letteraria, che può agevolmente esser fatta risalire perlomeno al gotico, con cui numerosi esponenti del genere condividono non solo orpelli ambientali (la villa, il castello, le trappole…) ma anche strutture narrative rimediate qui in elementi ludici (il dipanarsi della storia tramite note, per esempio).

Risulterebbe invece difficoltoso individuare un precedente per i rage games. Sono esistite opere nate con l’intento di suscitare la rabbia dei fruitori, magari con finalità catartica, ma sono fra loro molto differenti e – soprattutto – le loro dinamiche interne non si rispecchiano nei rage games, come avviene invece nel survival horror.

La catarsi, peraltro, è spesso citata a proposito dei videogiochi, e in particolare della violenza nei videogiochi, con particolare (ma non esclusivo) riferimento a sparatutto militari e videogiochi come Grand Theft Auto[1]. Gli atti violenti compiuti nei videogiochi avrebbero un effetto “catartico”, volto a scaricare quelle pulsioni in un contesto sicuro. Non interessa qui discutere sulla validità o meno di questa posizione, ma sulla sua riduttiva carenza rispetto all’elemento catartico della tragedia greca, spesso citata come riferimento illustre. Quella catarsi è qualcosa di più, è «un meccanismo di liberazione che permette di tollerare e di liberarsi di un vissuto rischioso, di scaricare un empito di affetto legato a un’esperienza traumatica» (Cascetta, 2009: 10).

Nella tragedia greca, inoltre, il pianto ha ampio spazio e non è banalmente da intendersi come sfogo, ma come «acquetamento [e] superamento del lutto» (Di Benedetto, 1991: 13). E, ancora: «la catarsi ha due facce: una di riequilibrio e tranquillizzazione mediante lo scarico, l’altra di acquisto intellettuale, in quanto crea le condizioni per la distillazione di un sapere. Il problema è capire come questo avviene e perché la vicenda di sventura e di morte del personaggio induca tranquillità e piacere nello spettatore» (Cascetta, 2009: 10).

Già da questi rapidissimi accenni risulterebbe difficoltoso parlare di catarsi in molti dei videogiochi spesso citati al fianco di questo termine, poiché essi contengono una carneficina continua perpetrata dal personaggio/giocatore stesso, glorificato come eroe e spesso trionfante (oltre che dotato di vite infinite)[2]. Vengono a mancare la sua sofferenza ma, soprattutto, quel momento di “riequilibrio” e “superamento”, eccetto forse casi particolari come Spec Ops: The Line (YAGER, 2012)[3].

Ma – chiudendo questo breve excursus – se anche un giocatore compisse una effettiva catarsi per la tragica storia del protagonista di questo videogioco, costretto suo malgrado (e il giocatore con lui) a seguire violenza e dolore, tutto ciò avrebbe ben poco a che fare con i rage games. Similmente, un utente che sviluppasse un sentimento di “giusta rabbia” per le terribili condizioni dei rifugiati siriani dopo aver giocato a Bury Me, My Love (The Pixel Hunt, 2017), non etichetterebbe mai questo videogioco come un “rage game”.

La “rabbia” legata ai videogiochi abitualmente definiti in questo modo è infatti differente, rimanda a una emotività esplosiva, immediata, reattiva, provocata dalla difficoltà a superare un determinato ostacolo del gioco.

In tal senso si ricollega all’horror, non solo videoludico, in cui la reazione, anche istintiva, del fruitore dinnanzi alla paura è una componente focale. Qui la reazione lo è ancora di più, in quanto unico elemento che funge da collante interno a questa etichetta di genere, al contrario del survival horror che segue invece strutture più codificate. Trattandosi allora di un genere “fisico”, in cui la reazione assume una particolare importanza, è ovviamente un altro dei casi in cui YouTube si rivela vetrina e terreno di sperimentazione per il genere. I jump scares sono sostituiti (o qualche volta affiancati) dalle grida di rabbia, ma il principio della reaction alla base è grosso modo lo stesso (Hamilton, Garretson, Kerne, 2014).

Agli albori di YouTube: il prototipo delle “rage reactions” in un meme

Volendo identificare un simbolico ‘padre’ delle “rage reactions” su YouTube, la scelta potrebbe facilmente ricadere sul cosiddetto “Angry German Kid”. Questa figura rientra in quel gruppo di individui che hanno reso le loro stesse persone dei meme nella fase aurorale di YouTube, a fianco – per esempio – dei “Crazy Frog Bros” e di Tay Zonday (l’autore di Chocolate Rain)[4]. Pubblicato sul finire del 2006, il video dell’Angry German Kid mostra un ragazzino intento a imprecare in tedesco davanti al monitor del suo computer, mentre sbatte i pugni sulla tastiera e scaglia fogli e cd lontano dal tavolo. Il video ha avuto numerosissime parodie e rimaneggiamenti, è stato citato come uno dei video tedeschi di maggior successo su YouTube (FOCUS Online, 2009) e, fra le altre cose, è stato inserito in un programma giapponese come esempio di dipendenza da internet (Ashcraft, 2014)[5]. Limor Shifman (2014) lo cita inoltre più volte come esempio a proposito di alcune caratteristiche dei meme di successo: «Flawed Masculinity» (77), «Humor» (79) e «Whimsical Content» (84). A proposito del secondo punto, in particolare, la Shifman parla di «protagonists who may or may not be acting out» (ibid: 79).

Quest’ultimo punto, al di fuori del successo del meme, è di particolare importanza. L’Angry German Kid stava recitando, ma nel video non viene in alcun modo esplicitata questa componente finzionale. Rimane pertanto, nel fruitore, il dubbio sull’autenticità del contenuto, se la reazione furiosa del bambino sia naturale o frutto di recitazione. Intorno a questa incertezza si giocano molti video di carattere differente, come – per restare in ambito videoludico – tutti quelli con genitori furibondi che demoliscono le console dei figli o dei ragazzi che impazziscono quando scoprono che la fidanzata o un amico ha cancellato i dati di un videogioco.

In molti casi questi contenuti sono palesemente falsi, frutto di recitazione, in altri rimane il dubbio sull’autenticità dell’operazione. Entrambi, comunque, hanno ampio successo e contribuiscono alla continua diffusione del variegato panorama di presunti “esperimenti sociali”, “prank”, “scherzi epici” e “sfide” che hanno una vastissima popolarità su YouTube[6].

Ma l’Angry German Kid è, in un certo senso, anche l’anticipatore dei gameplay con rage reactions: si riprende mentre gioca a un videogioco (non visibile, tuttavia, al fruitore del video), alza la voce perché qualcosa non sta andando per il verso giusto, urla e impreca, picchia i pugni e, infine, demolisce la periferica di gioco. Non è, al fondo, un contenuto radicalmente diverso da – per esempio – la serie “Il king delle bestemmie” di StallionsTV / SoaR Blur!, in cui durante un episodio (2017) lo youtuber urla, impreca e danneggia prima il controller della console e poi la porta della stanza.

Quest’ultimo è un ottimo esempio di rage in una partita ai videogiochi, ma lo youtuber Blur sta giocando al multiplayer di Call of Duty, il quale difficilmente sarebbe illuminante a proposito dei “rage games”. Questo dipende, del resto, dalla citata aleatorietà della definizione, incerta e oscillante, determinata solo dai discorsi della comunità (in cui però è piuttosto frequente, il che la rende interessante). In potenza qualsiasi videogioco, o quasi, potrebbe esser considerato un “rage game” se provoca una forte e rabbiosa reazione in colui che ci sta giocando. Soprattutto nelle modalità per più giocatori, come nel caso sopra citato, in cui i possibili inneschi collerici si moltiplicano: disconnessioni, lag, cheaters, compagni di squadra incapaci, troll e molto altro. Lo stesso Angry German Kid, del resto, stava idealmente giocando a Unreal Tournament 2004 (Epic Games, 2004), un videogioco multiplayer.

I recensori arrabbiati

Una differente forma di “rabbia” su YouTube, anch’essa non necessariamente legata ai rage games, è quella dei diversi youtuberidentificabili come “critici” o “recensori”, i quali non disdegnano in molti casi il ricorso a uno stile volutamente furioso. Nei loro video, attraverso urla e insulti, attaccano i videogiochi che reputano scadenti o determinate pratiche del mercato.

Come nel caso dell’Angry German Kid, anche qui i primi esempi risalgono agli albori di YouTube. Un caso di particolare rilievo è quello di James Rolfe, ai più noto come Angry Video Game Nerd (AVGN). Rolfe aveva iniziato, già prima della nascita di YouTube, a preparare recensioni su videogiochi particolarmente brutti usciti sulle console Nintendo, prima su uscite temporalmente vicine[7], in seguito rianalizzandoli a distanza di anni, in un’ottica di retrogaming. Risale al 2004 il primo video della sua serie AVGN, caricato su Cinemassacre[8].

Con l’avvento di YouTube, poi, Rolfe inizia a caricare i suoi video su questa piattaforma, ottenendo un crescente successo e diventando anche una delle prime “star” di YouTube (Fleury, 2012: 1). La “YouTube Persona” di Rolfe è caratterizzata da una camicetta bianca col taschino pieno di penne, una divisa che rende il personaggio immediatamente riconoscibile e identifica il suo calarsi nel ruolo (Bullerdick, Siskin, 2008: 7).

Come sottolineato dallo stesso Rolfe, l’intento dello show è prettamente comico e l’intrattenimento viene prima di qualsivoglia finalità educativa, per quanto possa esser presente anche un senso di riscoperta legato ai videogiochi del passato, poiché sono presenti solo titoli che rientrano nel retrogaming (Navarro–Remesal, 2017). Le sue “recensioni arrabbiate” non devono dunque essere intese come effettive recensioni, né Rolfe si propone come giornalista, ma la sua conoscenza del settore videoludico lo porta a produrre comunque contenuti di un certo livello anche sul piano contenutistico. Sul versante dell’intrattenimento tende inoltre, col passare del tempo, a migliorare sempre più il format, inserendo per esempio ospiti a sorpresa, brevi scenette animate, musiche e altro.

Rolfe, nei panni dell’AVGN, porta avanti la sua ‘lotta’ contro i videogiochi brutti del passato, giungendo talvolta a diverse forme di totale “annientamento” al termine dei suoi video[9]. Questo suo stile diviene presto iconico, e Rolfe può essere considerato il padre degli «angry gamers» di YouTube (Prax, Soler, 2016: 9). Alcuni youtubers giunti dopo di lui hanno esplicitamente dichiarato di essersi ispirati a lui per i loro primi video, come ha fatto Farenz, il quale inizialmente aveva persino aperto un canale in cui ricaricava i video dell’AVGN sottotitolati (Farina, 2014: 110–117). Qualcosa di analogo è avvenuto in ambito cinematografico con il Nostalgia Critic (Doug Walker), uno fra i primi (ha cominciato nel 2007) a produrre furenti recensioni di film e cartoni animati su YouTube; uno stile similare è stato in seguito adottato da diversi altri youtubers, fra cui gli italiani Yotobi, MightyPirate e Victorlaszlo88.

La diffusione di questi angry gamers è un fenomeno parallelo a quelle “estetiche del brutto” presenti su YouTube, ma non del tutto sovrapponibile a esso. Uno youtuber può utilizzare per il suo format dei videogiochi noti per la loro scarsa qualità – come Big Rigs: Over the Road Racing (Stellar Stone, 2003) o il noto videogioco di E.T. the Extra–Terrestrial (Howard Scott Warshaw, 1982) – ma in alcuni casi questi possono anche essere percepiti come dei troppo facili bersagli, essendo più o meno universalmente note le loro mancanze. Il “critico” può allora decidere di attaccare videogiochi di successo (per il pubblico o i recensori) ma da lui ritenuti carenti. Zeb89 ha per esempio criticato popolari videogiochi come World of Warcraft e Clash of Clans, mentre Farenz ha inserito nelle sue flop ten prodotti come Flower (Thatgamecompany, 2009), da molti ritenuto un’ottima esperienza artistica.

Il principale rischio nell’adozione di simili modalità espositive consiste nel non essere presi sul serio anche quando si affronta un discorso in un’ottica differente, non più legata al semplice intrattenimento, perché si può apparire come l’ennesima persona che “urla” per attirare attenzione (Prax, Soler, 2016: 10). In questi casi il “critico” deve cercare di mostrare con chiarezza il confine fra la sua YouTube Persona e la sua personalità effettiva.

Nel caso di Rolfe, a titolo d’esempio, già l’assenza della sua camicia con le penne del taschino aiuterebbe a comprendere che in quel momento non sta parlando come Angry Video Game Nerd, in quanto non ne indossa la ‘divisa’.

Ma, soprattutto in altri casi, la questione può risultare molto più sfaccettata e problematica. Questa possibile sovrapposizione e confusione di piani è tanto più possibile considerando come alcuni di questi youtubers siano interessati a utilizzare la loro popolarità per delle call to actions contro determinate pratiche. Un personaggio come Angry Joe (Jose Vargas) è stato per esempio molto attivo contro le restrizioni sul copyright tentate da Nintendo (Ribaudo, 2017) e la crescita incontrollata delle loot box.

Tre modelli e spunti ulteriori

Si sono viste alcune forme di “rabbia” rintracciabili su YouTube, con cui ci si è progressivamente avvicinati al mondo videoludico. Di seguito vengono presentati alcuni fra i videogiochi maggiormente legati alle rage reactions dei let’s players. Questi videogiochi sono stati riuniti in tre ideali “modelli”, al cui interno sono presenti i prodotti con caratteristiche comuni. Ciascuno dei tre è stato legato al nome di uno specifico videogioco, preso qui come rappresentante della sua categoria.

Il quadro che viene tratteggiato non copre, ovviamente, la totalità delle forme di video riscontrabili che possono essere legate all’argomento, le quali possono essere almeno citate. Una di queste riguarda le “collezioni” dei segmenti di speedruns fallite, in cui il giocatore sfoga la sua (comprensibile) rabbia[10]. Spesso questi frammenti provengono da live su Twitch, ma possono anche essere stati registrati a eventi pubblici o in altri contesti. Altre volte le reazioni sono il risultato di alcuni comportamenti di un “baro”[11] o un “guastafeste”[12]. Nel primo caso può trattarsi di una forma di cheating o di stream sniping[13], nel secondo di pratiche come il team killing[14]. Può infine trattarsi di rabbia provocata da un troll che, per esempio, disturba in chat o pratica il teabagging[15].

Il veloce e non esaustivo elenco mostra ulteriormente quanto la “rabbia” sia riscontrabile su YouTube, in contenuti legati ai videogiochi, prima ancora di osservare la specificità delle tipologie dei tre “modelli” sottostanti.

Il “modello Super Meat Boy”: nostalgia della difficoltà

Super Meat Boy (Team Meat, 2010) ha rappresentato per molti un esempio virtuoso di prodotto indie di successo, soprattutto in un periodo in cui la scena appariva come emergente e fortemente contrastiva rispetto alle grandi produzioni “Tripla A”. È infatti uno degli esempi su cui si focalizza il documentario Indie Game: The Movie (Pajot, Swirsky, 2012). In esso uno degli sviluppatori del videogioco sottolinea come il prodotto sia nato con una logica volutamente non mainstream, in una opposizione che quasi assume la forma di una protesta (Lipkin, 2013: 10). Super Meat Boy non è però rimasto un prodotto di nicchia destinato a pochi ‘eletti’ disinteressati al mainstream, ma ha ottenuto un ampio successo. L’originaria versione in flash del gioco, rilasciata gratuitamente nel 2008, è stata giocata da milioni di persone in pochi mesi.

Gli hooks del gioco, oltre alla ben riconoscibile estetica e al suo parodico black humor (Payne, Campbell, 2012: 49), risiedono in un dato evidenziato già dai creatori stessi del gioco nel loro postmortem: i legami di Super Meat Boy con la tradizione dei platform. Scrivevano infatti McMillen e Refenes di Team Meat: «Super Meat Boy is Super Mario Bros if Tommy [Refenes] and I made it» (2011: 2).

Il loro videogioco “non mainstream” nasce insomma traendo ispirazione da quello che è stato, per un certo periodo, il videogioco mainstream per eccellenza, accompagnato da una popolarità immensa (Audureau, 2012). Tuttavia, poiché Super Mario Bros. (Nintendo Entertainment System, 1985) appartiene al retrogaming, la nostalgica dimensione legata al passato lo rende un videogioco “cool”, al pari degli altri platform di successo caratterizzati – come molti videogiochi degli anni ’80 – da un’elevata e non sempre “equa” difficoltà (Payne, Campbell, 2012).

Il Team Meat ha dunque recuperato una formula che in passato si era rivelata di grande successo ma era poi progressivamente caduta in disuso, e l’ha riattualizzata secondo la specifica visione dei suoi creatori, andando per esempio a ridurre i tempi di respawn dopo una morte per non far perdere il “ritmo” al giocatore, in considerazione del crescente numero di game over per via della difficoltà accresciuta (McMillen, Refenes, 2011: 2). La sconfitta stessa non deve essere percepita esclusivamente come un fallimento, ma come un evento “epico”, spettacolarizzato, con cui sia ugualmente possibile divertirsi[16].

Questo è, in particolare, un punto di interesse a proposito del successo di Super Meat Boy, a prescindere da quanto fosse volutamente ricercato nella fase di sviluppo[17]. Senza voler ricercare prospettive teleologiche, la scelta di Team Meat ha certamente intercettato l’interesse degli youtuber, i quali hanno recuperato il videogioco spesso ad anni di distanza dalla sua uscita perché, molti grandi canali di gaming non erano al tempo ancora nati o si occupavano in prevalenza di horror. Il sistema del rapido e spettacolarizzato trial&error di Super Meat Boy, con le sue morti ravvicinate e gli immediati respawn, consente agli youtuber di presentare nuove reactions a fianco dello spavento per un jump scare.

I titoli stessi dei gameplay sul videogioco sono particolarmente significativi. Se ne riporta di seguito un campione fra quelli che hanno almeno un milione di visualizzazioni: DYING OVER AND OVER AND OVER (Gametime w/ Smosh) (Smosh Games, 2013); Rage Quit – Super Meat Boy | Rooster Teeth (Rooster Teeth, 2011); SO MUCH DEATH!! | Super Meat Boy (Jacksepticeye, 2014); PERICOLO: INCAZZATURA ESTREMA!! – Super Meat Boy – #1 (FavijTVtm, 2015a); SCENA EPICA, INCAZZATO DA MORIRE!! – Super Meat Boy – #4 (FavijTVtm, 2015b).

Si nota in primo luogo l’(ab)uso del maiuscolo, utilizzato qui come altrove per attirare l’attenzione sul video, a fianco di alcuni termini altisonanti e capaci di suscitare l’interesse dello spettatore (Pietruszka, 2016: 62). Questi termini, in particolare, seguono due tematizzazioni primarie, legate alla morte (“Dying over and over…”, “So much death!”) e alla rabbia (“Rage Quit”, “Pericolo: incazzatura estrema”). Scorrendo la lista dei video pubblicati, scendendo verso l’area delle centinaia di migliaia e poi decine di migliaia di views, questo andamento rimane una presenza costante. I video, infine, sono distribuiti su un arco temporale piuttosto ampio, di anno in anno alcuni famosi gamers hanno giocato a Super Meat Boy, contribuendo a rintuzzare continuamente l’interesse per il prodotto, magari in concomitanza con determinate promozioni (come i saldi di Steam).

Super Meat Boy rappresenta un esempio, assumibile a “modello” di riferimento, dell’insieme dei videogiochi che guardano alla difficoltà del passato, la quale era – non volendo magari dir “maggiore” – certamente differente da quella dei prodotti successivi. Le ragioni storiche del cambiamento sono molteplici e non è possibile offrire qui un quadro complessivo, ma almeno alcuni macro–passaggi sono rapidamente spiegabili. Si pensi soprattutto all’andamento degli arcade presenti nei cabinati delle sale giochi, con un andamento studiato per attirare e poi trattenere il videogiocatore: un primo livello (scontro/schema/quadro) relativamente accessibile, seguito da altri livelli con una curvatura di difficoltà in rapidissima crescita, eventualmente intervallati da alcuni momenti di “mantenimento” volti a far credere al giocatore di aver ormai padroneggiato il sistema, prima del successivo incremento. Uno schema rimasto in molti successivi videogiochi per console domestiche, in cui aveva però smarrito la sua primaria e originaria funzione (far introdurre nuovi gettoni nel cabinato in seguito a un game over)[18].

La difficoltà non era sempre definibile come “equa”, secondo i relativi parametri, e talvolta il giocatore giungeva a un punto in cui era impossibilitato a progredire, nel loop di riavvii a difficoltà crescente, a meno che non intervenisse qualcosa a ‘rompere il gioco’.

I videogiochi come Super Meat Boy richiamano quella difficoltà, e determinati videogiochi in particolare (come Ghosts ‘n Goblins, Capcom, 1985), ma tendono ad apparire più “equi”, nonostante non lo siano necessariamente nella loro interezza. Tutti questi videogiochi sono stati portati da diversi youtubers sui rispettivi canali, dove è stata sottolineata la componente rabbiosa legata alle ripetute sconfitte. I videogiochi sono infatti “equi”, e con allenamento e comprensione è anche possibile portarli a termine con performance spettacolarizzanti (i diversi video che recitano formule come “completato al 100% senza mai morire” e simili), ma a una giocata “blind” risultano ugualmente molto punitivi.

Un esempio più recente può essere quello di Cuphead, ad alcuni anni di distanza da Super Meat Boy. In questo caso, osservando i video col maggior numero di visualizzazioni, compaiono numerosi contenuti musicali, remix e sfide di completamento senza mai subire danni, offrendo dunque un panorama più vario. Sono però ugualmente presenti diversi video che tematizzano già dal titolo la “difficoltà” (eventualmente anche per metterla in discussione) o la “rabbia”: ES TAN DIFICIL COMO DICEN? | Cuphead (elrubiusOMG, 2017); [Cuphead] this game is a little hard (PewDiePie, 2017); GETTING FRUSTRATED | Cuphead – Part 2 (jacksepticeye, 2017); EL JUEGO MÁS DIFICIL DEL MUNDO!!! – Lenay y German (Lenay, 2017); CUPHEAD RAGE! (M3RKMUS1C, 2017); Gamers Reactions to Dr. Kahl’s Robot (BOSS) No Progress Made | Cuphead (Gamers React Comp, 2017); HOW ANGRY CAN ONE MAN GET? | Cuphead – Part 1 (Markiplier, 2017) e molti altri.

Su questo primo “modello” si può pertanto parlare di un gruppo di videogiochi difficili e nostalgici, che hanno iniziato a diffondersi mentre andavano affermandosi i gamer su YouTube, e che fra questi ultimi hanno riscosso ampio successo, senza però che si possa parlare di particolari influenze.

Il “modello Kaizo Mario”: la difficoltà iniqua

Laddove la difficoltà di giochi come Super Meat Boy è elevata ma “equa”, a proposito di Kaizo Mario World (T. Takemoto, 2007)[19] si è parlato di un «Unfair Design» (Wilson, Sicart, 2010: 42), non solo per il livello di difficoltà, ma per le modalità con cui è presentata, le quali contrastano con conoscenze e aspettative del giocatore.

Kaizo Mario World non è un videogioco stand alone, ma una serie di tre ROM hacks del popolare Super Mario World (Nintendo, 1990). I livelli sono visivamente simili alla versione originale, ma tutte le convenzioni sono ribaltate.

È per esempio possibile morire appena avviato un livello, una circostanza impensabile negli originari platform di Mario. Ian Bogost (2008: 4) ha equiparato esperienze di questo genere – citando in particolare Syobon Action (z_gundam_tanosii, 2007), che presenta molti punti in comune con Kaizo Mario World – a un’operazione di pranking, proprio perché il giocatore viene continuamente smentito nelle sue “credenze” su una determinata tipologia di gioco. Nei platform di Mario, per esempio, esistono cubi invisibili che consentono di ottenere bonus o raggiungere aree segrete; qui i cubi invisibili sono collocati a metà di un salto, causando la ricaduta del personaggio verso il baratro sottostante.

Individuare l’origine esatta di questo ‘genere’ non è semplice, anche perché sullo stesso Kaizo Mario World mancano dati certi: il gioco è citato per la prima volta nel 2007, ma non è escluso che fosse un progetto antecedente, reso pubblico solo in un secondo momento. Ciò che interessa in questa sede, però, più che l’origine in senso assoluto, è la diffusione del fenomeno. Videogiochi come Super Meat Boy hanno riportato in auge un modello di difficoltà “da retrogaming” nel periodo nascente dei let’s play su YouTube, traendone a loro volta vantaggio e visibilità. Allo stesso modo Kaizo Mario World ha proposto un nuovo modello, di difficoltà iniqua, che si è potuto affermare e diffondere grazie ai video degli youtubers, come sottolineato da Wilson e Sicart (2010: 42).

Il primo video di Kaizo Mario World risale già al 2007 e conta attualmente circa cinque milioni e mezzo di visualizzazioni (sibladeko, 2007). Il titolo del video, “Asshole Mario”, è divenuto il nome alternativo di questo videogioco.

Il video racchiude la registrazione di una partita, in cui sono stati tagliati numerosi tempi morti, per mantenere solo i momenti in cui il giocatore supera un determinato ostacolo, e la sequela delle morti che lo precedono (mentre non viene mostrata la ripetizione del segmento antecedente del livello). Manca, come di consueto nei video di quel periodo, qualsiasi forma di commentario, fattore che rende la fruizione più ‘pulita’ ma anche potenzialmente meno coinvolgente.

A Kaizo Mario World può essere attribuita, come detto, una perlomeno simbolica paternità di questa tipologia di videogiochi, ma non è stato il più presente su YouTube; o perlomeno non in termini di video con “rage reactions”. Emergono comunque casi significativi già dal titolo, come MARIO DO SATANÁS (Damianizando, 2014), ma il generale atteggiamento scelto sembra essere di rassegnata accettazione, più che di aperta rabbia. Inoltre, nel caso di Kaizo Mario World, sembrano prevalere, in termini di interesse, le dimostrazioni di maestria legate allo speedrunning, piuttosto che la furibonda reazione di uno youtuber. A esso si affiancano però altri videogiochi similari, come il già citato Syobon Action o I Wanna Be the Guy (O’Reilly, 2007)[20].

Si notino le date: Kaizo Mario World, Syobon Action e IWBTG risalgono al 2007, e iniziano a circolare anche su YouTube in questa fase ancora embrionale del gaming sulla piattaforma. Al già citato video su Kaizo Mario World (sibladeko, 2007) se ne possono affiancare altri su Syobon Action (come Joshua Kurtz, 2007) e IWBTG (come KyperTrast, 2007). Vale quanto affermato nel caso precedente: si tratta di video privi di commentario, in cui viene riportata la pura performance, come prova di maestria o per fornire un assaggio della difficoltà di questi videogiochi. Una difficoltà a sua volta caratterizzata da elementi molto simili a quelli di Kaizo Mario World, con una serie di trappole “sleali” e un continuo trolling verso il fruitore.

L’emergere di questi e altri videogiochi similari (come The Unfair Platformer, Eggy, 2008) attira l’attenzione di più persone e produce una riflessione su quello che pare un nuovo filone. Già nel 2008 Filippo Zanoli fa il punto della situazione riportando le posizioni sul tema del game designer Santiago Siri e, soprattutto, di Anna Anthropy, nota per aver coniato – o ufficializzato – la definizione di “masocore” per questo genere di videogiochi. La definizione di Anthropy (2008) è la seguente: «a masocore game is a game that plays with the player’s expectations, the conventions of the genre that the player thinks [he or] she knows» (in Zanoli, 2008: 2), cui Zanoli aggiunge:

il masocore game altro non è che un platform bidimensionale di difficoltà esageratoimpossibile, al limite del sadismo, con trappole tanto improvvise quanto letali. Altra caratteristica immancabile è il citazionismo più spudorato di situazioni […] personaggi e soprattutto le meccaniche di gioco, routines comportamentisco-comportamentali che – come ben dice Anthropy – familiarmente riconosciamo come nostre e che divengono la base stessa del tranello (Ibid: 2–3)[21].

Il masocore si sviluppa dunque poco dopo la nascita di YouTube, ma i videogiochi che ne fanno parte ottengono un ampio numero di video e visualizzazioni solo in una fase successiva del gaming sulla piattaforma, nel periodo in cui l’inserimento di commentari e facecam diviene più frequente. Sono del resto videogiochi, in un certo senso, destinati a un simile esito, per via della componente sociale e voyeuristica (Auerbach, 2014) insita al loro interno. Il godimento, in un caso del genere, è generato molto più dallo schernire coloro che falliscono la prova, o esaltare i campioni che riescono a superarla, piuttosto che dal giocare in prima persona. In tal senso una piattaforma come YouTube (e, in seguito, Twitch) offre l’ambiente perfetto per queste pratiche.

La definizione può essere peraltro estesa – e così è effettivamente stato fatto in diverse occasioni – a un gran numero di altri videogiochi con differenti caratteristiche, da Super Meat Boy a Dark Souls, dai vecchi arcade a Nioh (Team Ninja, 2017). Qui interessa però, per praticità, mantenerla più stringente, per classificare quei videogiochi che non si limitano ad avere una elevata difficoltà e a spingere verso questa sorta di voyeurismo del fallimento, effettivamente presente anche altrove, ma che aggiungono una forte componente di trolling e di rottura delle regole di genere cui il fruitore è abituato[22], con attenzione alla varietà e al ritmo di queste “trappole”[23].

Il “modello Octodad”: casualità, fisica e YouTube Fodder

A differenza dei casi precedenti, in quest’ultimo modello la difficoltà è determinata dalla fisica di gioco e dai controlli, entrambi volutamente pensati per essere irrealistici e poco pratici. Normalmente il compimento di una azione, in un videogioco, avviene sempre nello stesso modo, ma andando ad agire sulla risposta dell’avatar e dell’ambiente è possibile anche produrre risultati sempre diversi. È il caso, per esempio, di Octodad: Dadliest Catch (Young Horses, 2014), in cui il giocatore assume il controllo di un polipo che cerca di spacciarsi per un padre di famiglia[24]. I suoi movimenti sono casuali, incontrollabili, con comandi difficili da gestire. È come manovrare una complessa marionetta senza averne esperienza, e il gioco si basa sul principio del divertimento che può derivare dalla fisica ragdoll; un divertimento dal punto di vista di coloro che guardano le movenze del protagonista, o che giocano per puro divertimento, ma una continua frustrazione per coloro che cercano di raggiungere dei traguardi, di padroneggiare il gioco al meglio delle loro possibilità (Gallagher R., 2018: 97–99).

Alla luce di quanto presentato finora si tratta di una combinazione potenzialmente perfetta per il gaming su YouTube, in quanto consente di muoversi facilmente fra la spinta alla comicità e le rage reactions. Markiplier (2014a) opta per esempio per una sorta di comicità aggressiva, ideale mediana fra divertimento e collera, nella quale commenta le difficili e improbabili mosse di Octodad.

Sono numerosi i videogiochi ricollegabili a questo filone che hanno ricevuto un ampio successo, non solo su YouTube ma anche in termini di vendite. Fra i principali è possibile ricordare Surgeon Simulator (Bossa Studios, 2013), Goat Simulator (Coffee Stain Studios, 2014) e I Am Bread (Bossa Studios, 2015), affiancati da una variegata lista di “cloni”, molti dei quali rintracciabili sotto l’etichetta “Intentionally Awkward Controls” su Steam. Una rapida ricerca di questi videogiochi su YouTube, inoltre, mostra numerosi video con milioni di views.

La combinazione fra il successo di questi videogiochi e la relativa facilità con cui possono essere prodotti ha spinto molti piccoli team di sviluppo a realizzare dei prodotti similari, da alcuni spregiativamente noti come “YouTube fodder[25]. Possono essere così definiti (sulla scorta della riflessione di Jim Sterling: Escapist, 2014) quei videogiochi che scelgono poche e semplici meccaniche adatte a YouTube per confezionare piccoli videogiochi, facili da produrre, ideali per essere mostrati in video[26]. Sterling, nel suo breve video sull’argomento, presenta due esempi in particolare. Il primo è quello degli horror usciti dopo l’avvento di Slender Man, con jump scares improvvisi e un determinato numero di oggetti da raccogliere. Il secondo esempio riguarda tutti i videogiochi con «weird physics and buggy gameplay» (ivi) prodotti sull’onda del successo di Surgeon Simulator e Goat Simulator.

Il panorama è analogo a quello dettagliato a proposito dei videogiochi horror su YouTube. In entrambi i casi è percepibile la ricerca, da parte dei creatori di questi videogiochi, di inserire qualcosa di semplice e inaspettato che possa offrirsi come facile spunto allo youtuber di turno per produrre un commento o una reazione[27]. Nei survival horror si ricerca lo spavento improvviso, in questi casi un misto di rabbia (per il continuo fallimento nel compiere un’azione basilare) e la comicità (legata agli effetti imprevisti di quell’azione).

La diffusione del termine alcuni sviluppatori alla necessità di ribadire esplicitamente perché i loro prodotti non sono classificabili come tali. Fra questi si ricordano i componenti di Bossa Studios, creatori di Surgeon Simulator e di I Am Bread. Poiché Surgeon Simulator è identificabile come il primo videogioco di questo genere, una difesa potrebbe basarsi anche solo sul semplice fattore cronologico, per etichettare i prodotti successivi come “cloni” di una formula di successo.

Merita però una menzione almeno un punto da loro sottolineato, relativo ai controlli. Il sistema con cui vengono controllate le mani del chirurgo di Surgeon Simulator è poco immediato e difficile da padroneggiare, poiché a ogni dito è assegnato un differente pulsante. Con l’impegno, tuttavia, è possibile padroneggiare perfettamente il sistema di gioco (Yin–Poole, 2015). In molti dei suoi più frettolosi “cloni” questo è impossibile, perché il sistema di controllo non ha soltanto una mappatura controintuitiva dei comandi, ma è anche ‘buggato’.

Un altro team che ha sentito il bisogno di segnalare la differenza del proprio videogioco è Landfall, con Totally Accurate Battle Simulator (Landfall, 2019), ampiamente incentrato sulla fisica. Si tratta della versione completa di un embrionale progetto sviluppato durante una game jam nel 2016, che ha fin da subito attirato l’attenzione di youtubers come Jacksepticeye (2016) e Markiplier (2016). Gli sviluppatori avrebbero potuto rilasciare subito una versione a pagamento del gioco, sfruttando i numerosi video di YouTube, con milioni di views capaci di offrire spontaneamente visibilità al prodotto. La loro scelta è stata però quella di aspettare, per poter rilasciare un prodotto completo, soddisfacente, capace di sfuggire alla nomea di «YouTube bait» (Landfall, 2018).

Come qualsiasi distinzione basata sulla “qualità”, la definizione di “YouTube fodder” fallisce nel garantire un chiaro ed efficace discrimine fra ciò che deve rimanere al suo interno o all’esterno[28]. Parlare di “YouTube fodder” è tuttavia di aiuto nel sottolineare quel filo rosso con il survival horror e altre tipologie di videogiochi: l’osservazione di ciò che funziona su YouTube, l’estrapolazione di una o due meccaniche e la creazione di un nuovo videogioco interamente basato su di esse. Il prodotto finale, in linea di massima, aggrada i let’s players, poiché fornisce loro nuovo materiale sfruttabile per dei video, ma questo non si traduce necessariamente in un successo al di fuori della piattaforma. Questi videogiochi risultano insomma più divertenti da vedere che da giocare, per recuperare quanto detto nei precedenti capitoli, ma la loro presenza – abbondante in uno store come Steam e continuamente rilanciata su YouTube – finisce a sua volta per aver un impatto sulla generale percezione del genere.

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[1] Per un sunto su molte posizioni relative al tema, favorevoli e contrarie, si rimanda al saggio di Pellitteri e Salvador (2014: 140–166).

[2] Su questo punto si veda quanto scrive Fassone (2017: 138–145) partendo da Frasca (2001).

[3] Il quale, probabilmente non a caso, è uno degli oggetti di analisi nel saggio di Papale e Fazio (2018) su teatro e videogiochi.

[4] A proposito del quale Burgess scriveva che «It is arguably the combination of oddness and earnest amateurism that made ‘Chocolate Rain’ such a massive YouTube hit. According to Zonday himself, the initial spike of attention for the video (which occurred several months after it was fist uploaded) originated ‘as a joke at 4chan.org’, a very popular image board an a significant source of Internet ‘memes’» (2008: 104).

[5] Tramite vie completamente differenti da questo programma, peraltro, in Giappone l’Angry German Kid – lì conosciuto come Keyboard Crusher (キーボードクラッシャー) o Unreal Gamer – ha ottenuto un ampio successo soprattutto per le versioni del video con traduzione fonetica ‘giapponesizzata’ (come novascotia, 2007), con un procedimento non dissimile dalle italianizzazioni di brani albanesi o coreani.

[6] Una popolarità determinata anche dal fatto che, proprio come nel caso dell’Angry German Kid nella televisione giapponese, vengono spesso citati da quotidiani online, telegiornali e altro, in cui vengono talvolta presentati come “scherzi”, talvolta come “video virali” e talvolta come episodi realmente accaduti, non sempre con una corretta attribuzione.

[7] Questo primo gruppo di video, registrato su videocassetta, non è circolato al di fuori di una ristretta cerchia di amici.

[8] Il video è una recensione “arrabbiata” del videogioco Castlevania 2: Simon’s Quest (Konami, 1987).

[9] Un caso è quello di Superman: The New Superman Adventures (Titus Software, 1999), noto ai più come Superman 64 e rinomato come uno dei videogiochi più brutti della storia. Al termine del suo video sul gioco (Cinemassacre, 2010) l’AVGN si trasforma in un supereroe e vola nello spazio per scagliare contro il sole la cartuccia di Superman 64, causandone la completa distruzione.

[10] Spesso si tratta di piccoli errori o di casualità che vanificano una speedrun in corso da diverse ore. Per un paio di esempi si vedano video come gladJonas (2017) e Apollo Legend (2017). Al loro interno possono essere presenti videogiochi di qualsiasi genere, potenzialmente, ma compaiono con una certa frequenza alcune saghe amate dagli speedrunners come The Legend of Zelda, Super Mario e Resident Evil.

[11] «Il baro […] accoglie il patto fiduciario ludico e finge di accettare le regole del gioco; così facendo mantiene intatto il cerchio magico e il mondo finzionale che ne deriva, senza intaccare apertamente l’esperienza ludica degli altri giocatori. Riesce inoltre a trarre vantaggio dalla sua condizione: nel momento in cui il baro decide di essere tale, è consapevole di ciò che fa, sa di aver infranto una regola e ne trae guadagno» (Bertolo, Mariani, 2014: 223).

[12] «Si tratta di qualcuno che nutre disinteresse verso il gioco e verso l’impegno degli altri giocatori: infatti non solo non riconosce apertamente le regole, ma anzi le delegittima non rispettandone l’autorità, causando per tutti i giocatori la rottura forzata del cerchio magico» (Bertolo, Mariani, 2014: 224).

[13] Viene definito stream sniper colui che segue il video live di una partita a cui sta prendendo parte, così da acquisire informazioni sugli altri giocatori che normalmente gli sarebbero precluse. Questo comportamento è in alcuni casi esplicitamente proibito e viene sanzionato con un ban, come in Playerunknown’s Battlegrounds (Schreier, 2017). Il ban per stream sniping ha acceso però un certo dibattito (Frank, 2017), anche perché si tratta di una pratica non sempre individuabile con certezza. Anche in questo caso sono reperibili su YouTube delle compilation di stream sniping, con una serie di frammenti di differenti live, con le reazioni talvolta furenti di coloro che subiscono questa pratica (come in Locandro, 2018). Il fenomeno coinvolge soprattutto streamers famosi, ma può presentarsi anche in realtà più piccole.

[14] L’uccisione dei propri compagni di squadra nei videogiochi con il “fuoco amico”. A differenza dello stream sniping e del cheating, che possono essere praticati per ottenere un vantaggio, oltre che per semplice trolling, quest’ultima opzione non comporta alcun vantaggio per tale giocatore, il quale ‘rompe’ il gioco per sé e per gli altri ed è pertanto considerabile un “guastafeste”, secondo la definizione indicata poco sopra. Lo youtuber Zeb89, quando gioca come “Pietro Smusi” (come in Zeb89, 2016), diventa un team killer.

[15] Il termine è normalmente utilizzato per indicare il posizionamento dello scroto nella bocca di un’altra persona, durante un rapporto o in qualche forma di sottomissione. Nei videogiochi indica l’accovacciarsi ripetuto di un personaggio sul cadavere di un nemico sconfitto.

[16] «Even death became something to enjoy when you knew that upon completing the level you would be rewarded with an epic showing of all your past deaths» (McMillen, Refenes, 2011: 2).

[17] Garda e Grabarczyk (2016) formulano l’ipotesi per assurdo di un Super Meat Boy pianificato a tavolino da un colosso dell’industria videoludica, il quale avrebbe assunto McMillen e Refenes come semplici attori per fare comparsate come quella di Indie Game: The Movie. Il quesito di fondo è se, anche in un caso del genere, Super Meat Boy sarebbe ancora definibile come un “videogioco indie”, o se invece non lo è mai stato nemmeno nella realtà, per l’impalpabilità stessa di questa definizione.

[18] Sul tema si vedano almeno Juul (2010), in cui sono sintetizzati diversi fenomeni legati alla difficoltà videoludica giunti prima di quella che definisce una “casual revolution”, e Schweizer (2016), il quale offre ancor più una prospettiva legata all’evoluzione del concetto.

[19] La forma corretta sarebbe Kaizō, traslitterazione di 改造, il quale indica un rimodellamento (in questo specifico caso una hack, che per l’appunto va a “rimodellare” un videogioco). Essendo tuttavia ampiamente maggioritaria la forma occidentalizzata Kaizo si è deciso di utilizzare quest’ultima, in linea con casi analoghi normalmente accolti.

[20] D’ora in avanti abbreviato in IWBTG.

[21] Ulteriori definizioni sono raccolte in Terrasa Torres (2015: 68–70).

[22] In alcuni casi, paradossalmente, la fruizione di questi videogiochi potrebbe risultare meno traumatica per chi non ha mai giocato a un platform. Molte meccaniche di questi masocore sono infatti esplicitamente pensate per rompere quel «patto implicito con i giocatori affezionati» (Bertolo, Mariani, 2014: 165) che in altri casi si è involontariamente prodotto. In altri casi, tuttavia, la controintuitività delle scelte rientra in uno spettro più ampio, andando per esempio a intaccare le leggi stesse della fisica. Che una mela, cadendo dall’albero, possa eliminare l’avatar è forse non immediato ma comprensibile; che la stessa mela voli verso l’alto per colpire un personaggio in salto – come avviene in IWBTG – lo è certamente meno.

[23] In tal senso è utile riportare le parole dello stesso O’Reilly, il creatore di IWBTG, in quanto descrivono con efficacia il difficile bilanciamento necessario: «I Wanna be the Guy is a game about subversion. It’s also a humor driven game. Predicting a player actions perfectly as to maximize surprise and humor/frustration is a way a game can have good level design. The level design is accomplishing its goal and doing so quite well. The pacing of a game like this is also critical. How much the player is expected to die really influences what the next trap should be and how hard it is to overcome» (2007).

[24] È stato scelto questo specifico videogioco come rappresentante della categoria anche perché i suoi sviluppatori hanno deciso di modificarlo in corso d’opera per interfacciarsi con le necessità del fenomeno dei gamers su YouTube, che in quel momento stava iniziando ad affermarsi con particolare forza. La loro testimonianza è presente in Sinclair (2014).

[25] O talvolta “YouTube bait games”. Non essendo definizioni ufficiali il loro impiego tende a variare e i concetti possono intrecciarsi fra loro. YouTube bait games è invece una etichetta assegnata ad alcuni videogiochi poco longevi o molto ripetitivi, ma che risultano estremamente accattivanti per i primi minuti, il tempo ideale per un let’s play. Si parla di “bait” perché sfrutterebbero i video let’s play come ‘esca’ per attirare i videogiocatori, ingannati dalla vista di un prodotto che appare più complesso di quel che effettivamente è.

[26] Questo applicando la definizione ai videogiochi. È possibile trovare l’espressione anche in altri contesti, per descrivere più in generale tutti quei contenuti facili da produrre e simili fra loro che alimentano il meccanismo di YouTube. È usato, per esempio, in relazione ai video delle cosiddette camwhores presenti sulla piattaforma (Gronlund, 2016).

[27] Come ulteriore esempio, a fianco delle parole di Jim Sterling, è possibile fornire quest’altra definizione di “YouTube fodder”: «As sad as it is to say, yes, YouTube Fodder is indeed a real thing. A game that is classified as YouTube Fodder is essentially a video game developed targeting Let’s Play YouTube channels and their audience. Most games of this form are short horror games consisting of nothing but cheap jump scares and are of questionable quality in most ways. Questionable quality would include inferior graphics, incomplete and rough models and animations, bad sound design, terrible level design and most of all, not fun to play. A prime example of such a game would be Overcast: Walden and the Werewolf [Microblast Games, 2014], a game which lacks in almost every way. The only positive of the game is its outstanding soundtrack» (Smith, 2016. Corsivi miei). A proposito del videogioco citato come esempio non è possibile conoscerne esattamente i dati di vendita, ma osservando il numero delle recensioni su Steam e i dati di Steamspy (che lo colloca nella fascia fra i 500.000 e il milione di possessori) deve aver riscontrato un buon successo. Il raggiungimento di simili traguardi deriva probabilmente dal prezzo basso (0,99€) e dalla frequenza di sconti e bundle, ma potrebbe anche legarsi alla sua performance su YouTube (il primo video di Markiplier sul gioco ha oltre due milioni di views: Markiplier, 2014b) in un momento in cui la ‘saturazione’ del genere non era ancora stata compiuta e – come visto nell’analisi sui survival horror – era più facile che prodotti derivativi ottenessero una certa popolarità. L’articolo è nato come spunto di riflessione in seguito a una recensione di Tom Chick su un altro horror, Layers of Fear (Bloober Team, 2016), con il seguente commento in chiusura: «I suspect Layers of Fear was made specifically as Let’s Play fodder. This is what Let’s Plays have done to game development. Bloober, a studio whose previous claim to fame is a Bomberman clone, seems to have tailor-made a game for watching some idiot in an inset window shamelessly overact for his YouTube audience. With its short running length, its minimal storytelling, and its overreliance on jump scares, Layers of Fear seems to be chasing the success of Five Nights at Freddy’s. In other words, not so much a game as a tool to drive traffic to someone’s YouTube channel. That’s not game development. It’s pandering» (Chick, 2016). Il primo video di PewDiePie su Layers of Fear ha peraltro ottenuto, da solo, circa sette milioni e mezzo di visualizzazioni (PewDiePie, 2015).

[28] La giornalista Patricia Hernandez (2015) ritiene per esempio che sia ingiusto definire con questo appellativo videogiochi come Surgeon Simulator e Goat Simulator, ma per un’altra persona uno dei due – o entrambi – potrebbe rientrare perfettamente nella categoria. Un altro esempio potrebbe essere il caso di Octodad: Dadliest Catch, che può essere escluso dalla categoria per via – fra le altre cose – della presenza di una storia compiuta, oppure preso come emblematico rappresentante del genere, come ha fatto un utente su Metacritic, assegnando un punteggio di 0/10 al gioco: «This game’s design is essentially ‘be as contemptuous as possible to the person playing’. Buggy, infuriating to control (yes, I ‘get’ that that’s ‘the point’), visually poor, and the dialogue is so so bad. Pure youtube let’s player/ tween memer fodder, as is reflected in the ‘positive’ review numbers. Save yourself the headache» (HypeFree, 2016).

Aspettando Elden Ring: una retrovisione sul successo in video dei “Souls”

Elden Ring prima o poi arriverà e farà ripartire il ciclo. Tutti i “Souls” (intendendo, con questo termine, i tre Dark Souls, Demon’s Souls, Bloodborne e Sekiro) sono in qualche modo legati alla ciclicità, ma non è di questo che parleremo.

Il ciclo, qui, è quello della discorsività prodotta dai fan. Che già viene continuamente rintuzzata a ogni nuovo trailer, immagine o gossip su Elden Ring. Una volta che il videogioco sarà uscito, tutta questa macchina di discorsività ripartirà, come avviene ogni volta, soprattutto grazie a numerosi video.

Non è la prima volta che scrivo qualcosa sui “Souls”, per cui potete consultare la pagina delle pubblicazioni per ulteriori letture. Segnalo in particolare questo mio articolo accademico su architettura e concept art.

Il discorso sul successo “in video” di questi videogiochi merita però qualche approfondimento in più. Anche con un caso piccolo ma molto concreto che troverete più sotto.

Aspettando Elden Ring: una retrovisione dei souls

Il caso dei “Souls”: difficoltà, horror, spettacolarizzazione e analisi fanmade

Alla sua uscita, Demon’s Souls è stato quello che potrebbe essere definito, seguendo le parole di Jim Sterling (2018), un middle shelf game. Un prodotto “medio”, che non deriva da una piccola produzione ma non ha nemmeno le pretese dei videogiochi nel segmento più alto dei “tripla A”.

Nelle originarie intenzioni dei suoi creatori è rivolto a una nicchia piuttosto definita. Un pubblico principalmente giapponese, amante della difficoltà e disposto a investire un certo numero di ore nel gioco, per poterlo padroneggiare nelle sue sfaccettature, compresa una particolare forma di interazione online. È infatti possibile entrare nel mondo di altri giocatori per aiutarli a sconfiggere i nemici oppure per cercare di assassinarli. Al tempo stesso è ovviamente possibile subire una invasione o invocare l’aiuto di un altro giocatore. Questa forma ibrida fra single player e multiplayer è stata talvolta definita mingleplayer (Waugh, 2014).

I principali hooks con cui il videogioco è stato presentato – almeno inizialmente – si sono legati in primo luogo alla difficoltà, declinata di volta in volta in differenti modi: l’ambiente ostile (trappole), la forza dei nemici, la libertà d’azione e le sue conseguenze, il senso permanente di perdita. Erano questi i principali argomenti utilizzati per catturare l’attenzione del pubblico potenziale.

Le dinamiche del videogioco sono piuttosto note, ma per chi non le conoscesse, si ricorda che è possibile uccidere anche gli NPC amici, perdendo così per il resto della partita la possibilità – per esempio – di apprendere magie o depositare oggetti. Inoltre, quando il personaggio muore, tutte le sue “anime” (utilizzate per salire di livello e acquistare oggetti) non spese rimangono in terra sul luogo del decesso. Il giocatore, per recuperarle, deve ripercorrere il tragitto compiuto in precedenza, sconfiggendo nuovamente i mostri affrontati. In caso di una seconda sconfitta prima del recupero le anime spariscono e sono perse per sempre.

La morte, inoltre, riduce i punti vita del personaggio, rendendo ancor più difficoltoso il recupero. Tutto il gioco, in vari modi, è peraltro legato al senso della perdita e del ritorno/ripetizione (Weis, 2014: 206–207), dalle meccaniche alla componente narrativa. La mancanza della pausa anche quando si gioca offline, inoltre, aumenta ulteriormente la difficoltà, in quanto pure eventuali stimoli esterni al gioco possono andare a render più difficoltosa una partita che non può essere arrestata.

Sempre a proposito della difficoltà, il giornalista Tom Bissell, fra gli altri, ha ripercorso con un certo sarcasmo (e non senza alcune esagerazioni) il sentire legato alla difficoltà di Demon’s Souls, fra narrazioni iperboliche di imprese impossibili e puristi che auspicano una difficoltà ancor più elevata (Bissell, 2012).

Questa generale sensazione di difficoltà può costituire un primo elemento di interesse per l’estensione del successo di un gioco oltre i confini inizialmente per lui profilati, ma già a proposito di questo primo elemento è utile una precisazione. Le strategie per completare un livello di videogiochi come Ikaruga o Super Meat Boy – tanto per fare altri due esempi abitualmente considerati “difficili” – sono numericamente contenute, e quel che primariamente conta è la bravura nell’esecuzione. Ancor più, in un gioco come Getting Over It, per superare gli ostacoli è richiesta una certa conoscenza dell’ambiente e un’ottima padronanza dei controlli. Demon’s Souls, anche per la tipologia di gioco cui appartiene, offre al giocatore una casistica molto più ampia di possibilità per superare gli ostacoli. Le scelte individuali, legate al potenziamento di certi parametri e all’equipaggiamento selezionato, possono cambiare radicalmente l’approccio ai combattimenti.

A prescindere dallo stile di gioco, alcune decisioni possono considerevolmente facilitare il giocatore e si rivelano pertanto idonee per i meno esperti. Fra le classi selezionabili a inizio gioco, per esempio, quella del Nobile è ritenuta ottimale per un inizio avvantaggiato, poiché è più facilmente personalizzabile e dispone fin da subito di un oggetto che recupera gradualmente i punti magia. Per alcuni puristi la scelta di questa classe significa quasi barare, o perlomeno non voler godere fino in fondo della sfida che il gioco offre (Klepek, 2015a).

Altre, invece, possono essere un palese e voluto handicap (per esempio utilizzare per tutto il gioco una delle armi più deboli disponibili) che un veterano può deliberatamente selezionare per accrescere il tasso di sfida.

È pertanto possibile ricercare e fruire di numerosi video sul gioco, per apprendere strategie vincenti o osservare performance di particolare abilità, ma questo non esaurisce minimamente le possibilità offerte da Demon’s Souls.

Al di fuori dello specifico caso, il desiderio di apprendimento è stato indicato come uno dei principali fattori che spingono gli utenti a seguire gli streaming su Twitch (Hamilton, Garretson, Kerne, 2014: 1319). Questo fattore è significativo su YouTube (di cui si parlerà più sotto), dove la possibilità di una fruizione frammentata e dilatata nel tempo, con continui recuperi di parti precedenti del video, potrebbe costituire una ulteriore facilitazione all’apprendimento (consentendo ad esempio di vedere più volte di fila una particolare mossa compiuta dallo youtuber).

Una situazione analoga è riscontrabile anche a proposito della lore, soprattutto a partire dal suo successore, Dark Souls. Si son infatti susseguite le interpretazioni, messe in atto da differenti utenti, in cui si ricollegano fra loro diversi indizi, cercando sempre nuove possibilità.

Lo scavo è talvolta maniacale, come nel caso dell’utente che ha inventariato statue, bassorilievi e vari elementi decorativi di Bloodborne in cerca di legami nascosti.  L’utente è noto come Rakuyo e ha pubblicato diverse analisi della lore nella wiki del gioco. Lunghe, sovrabbondanti e caotiche, esse uniscono con grande libertà elementi di tutti i “Souls” nel tentativo di mostrare collegamenti nascosti fra i diversi videogiochi. Una di queste (Rakuyo, 2018) è per esempio dedicata al castello di Cainhurst, uno dei luoghi visitabili in Bloodborne, del quale vengono riportati persino i dettagli di mobili e vestiti, tutti arbitrariamente collegati ad altri elementi della saga o anche esterni (dal folklore ai manga).

Al di fuori della curiosità, è utile ricordare un caso come questo poiché è emblematico della fortissima produttività al contempo enunciativa e testuale (Fiske, 1992) dei fan della saga, i quali producono – oltre a fanfic e fanart – un forte numero di testi che potrebbero essere definiti come una sorta di “saggistica fanmade”. L’interpretazione della lore non è dunque portata avanti solo attraverso i video di alcuni youtubers, realizzati con taglio divulgativo ed esplicativo, ma anche attraverso più o meno lunghi commentari, talvolta ricolmi di link esterni e rimandi. Se, in ogni fandom, si sviluppano legami «condividendo con gli amici sentimenti e riflessioni sul contenuto [di un programma]» (Jenkins, 2008: 38) e vengono generati testi che sono spesso “riscritture” (Fiske, 2010 [1989]: 116–119), la serie dei “Souls” costituisce un buon esempio per osservare la varietà e talvolta profondità delle teorizzazioni sul prodotto, “riflessioni” e “riscritture” della narrazione utilizzando la lore come chiave di decodifica.

Nel corso del tempo emergono inoltre nuovi elementi, portati a galla con delle operazioni in qualche misura archeologico/filologiche di esplorazione e ricostruzione dei dati di gioco. A distanza di anni continuano a emergere contenuti tagliati e modificati, che mostrano stadi precedenti dello sviluppo di un gioco, e che possono almeno in parte esser ricostruiti da un utente esperto. Tutto questo porta anche a ripensare alcune teorie, o a formularne di nuove. Canali YouTube come Sanadsk e Crestfallen offrono diversi video in cui riportano questi contenuti tagliati o modificati. Simili materiali, come accennato, offrono ulteriori spunti di discussione relativi alla lore. Osservando il codename di determinati personaggi, per esempio, è possibile intuire quale fosse il loro ruolo originario previsto, il che può aiutare a comprendere perché compiano determinate azioni.

O, per fare un esempio italiano recente, Sabaku no Maiku nel 2021 ha riconsiderato alcune teorie precedentemente espresse alla luce di alcune precisazioni sulla traduzione. Anche la versione impiegata per le proprie analisi si rivela dunque fondante, poiché è sufficiente un errore di traduzione (o anche solo una sfumatura mal interpretata) per far deviare parecchio.

In entrambi i casi, a proposito della difficoltà sia dei combattimenti sia delle interpretazioni, i “Souls” richiedono uno «sforzo esperienziale» (Gandolfi, 2015: 134. Corsivo dell’autore) che è però, almeno in certi termini, liberamente negoziabile dal giocatore, il quale può decidere fin dove spingere la propria “fatica” in determinati settori, tralasciandone magari altri. YouTubee Twitch possono allora sopperire, integrando le attività del giocatore e consentendo lui di sperimentare almeno per interposta persona quanto non ha voluto o potuto raggiungere.

Questo «sforzo esperienziale», basato in parte sull’abilità manuale e in parte su memoria e ragionamento, è molto forte e discusso al lancio di uno dei “Souls” (si vedano i commenti a una recensione di Dark Souls II riportati in ibid: 136–138), andando poi progressivamente scemando, per lasciare il posto a contenuti più leggeri, spesso memetici, ma ritorna in topic al sopraggiungere del videogioco successivo.

Abilità e memoria/ragionamento non sono univocamente legati, rispettivamente, alla difficoltà degli scontri e a quella ermeneutica, ma sono intrecciati fra loro. Per sconfiggere un avversario particolarmente ostico, per esempio, occorre memorizzare e ricordare il pattern dei suoi attacchi ed elaborare una strategia appropriata per combatterlo, verificando per esempio eventuali debolezze e resistenze della creatura. Lo studio della lore, d’altro canto, risulta più efficace se i diversi eventi del gioco sono vissuti in prima persona, invece che reperiti di seconda mano, e per fare ciò occorre una certa abilità per sconfiggere i nemici e completare il gioco.

Un’altra posizione sul tema, differente nei termini ma analoga nei contenuti, è quella presente in un articolo di «Game Developer Magazine», dove emerge con chiarezza il rapporto fra impegno richiesto (anche in termini di attenzione: per gli indizi ambientali, per le informazioni passate…) e ricompense:

«DARK SOULS is hard – notoriously so – but the interesting thing is that it rewards the player for persistence, effort, and learning. That is the premise at the core of its design and what ties the whole experience together. Through practice, players are rewarded with mastery over the gameplay. By paying attention, players are rewarded with secrets and bonuses. By exploring, players are rewarded with entire vistas they never knew existed» (Staff, 2012: 11).

Volendo proseguire, gli hooks dei “Souls” si rivelano particolarmente variegati e tutti decisamente idonei a un contesto fruitivo legato a YouTube e Twtich. Oltre alla sopracitata difficoltà, attuativa ed ermeneutica, sono riscontrabili anche un elemento competitivo atipico (che fornisce materiale per numerosi video sugli scontri PvP) e un legame con l’horror. I “Souls”, pur non appartenendo al genere dei survival horror – particolarmente diffuso su YouTube e forse quello che più ha accompagnato l’ascesa di youtubers come Favij, PewDiePie e Markiplier (Pietruszka, 2016) – vanno a occupare una nicchia a esso tangente, a livello di immaginario e, almeno in piccola parte, reazioni e stati d’animo (Mecheri, Romieu, 2017: 264–268).

Laddove Demon’s Souls e Dark Souls propongono un mondo dark fantasy, con un connubio fra aspetti “oscuri” della tradizione occidentale e della sensibilità orientale (Mecheri, Romieu, 2017: 261–264), con Bloodborne si passa a una rivitalizzazione del gotico (Langmead, 2017), con un particolare riguardo per le opere dello scrittore statunitense Howard Phillips Lovecraft, i cui Grandi Antichi erano già stati fonte di ispirazione per i videogiochi precedenti, seppur in misura minore. È pertanto presente un immaginario comune, almeno in una certa misura, al fianco di alcune scelte più puntuali, come la presenza di pochi ma selezionati attacchi nemici equiparabili a degli scare jumps. Al di fuori di questi aspetti, in fondo marginali, i “Souls” si avvicinano nuovamente a un horror – a un horror potenzialmente divertente da vedere e da giocare – per un elemento legato alla propria difficoltà.

A tal proposito è utile recuperare, da un lato, un articolo di Chris Pruett, nel quale sottolineava l’importanza di rendere i videogiochi «hard, or at least intense» (Pruett, 2011a: 37) per favorire la risposta emozionale del giocatore. Un’eccessiva difficoltà genera frustrazione (come era del resto già ben indicato nell’andamento del flow: Csikszentmihalyi, 1997), ma occorre anche evitare quelle forme artificiose di difficoltà, spesso riscontrate negli horror games soprattutto del passato, legate a scarsa reattività del sistema, scomodità dei controlli o finestre temporali d’azione troppo ridotte e poco chiare (Pruett, 2011a).

I “Souls”, pur presentando ugualmente alcune ‘rigidità’ nel sistema di controllo e nella comprensione d’insieme, risultano decisamente più fluidi e corretti nei confronti del giocatore. La sfida che offrono è coinvolgente da osservare se compiuta da un altro individuo (cui si è legati da una partecipazione emotiva per la difficoltà dell’impresa) ma anche da vivere direttamente, con un effetto di sollievo e ricompensa dopo ciascun traguardo superato.

Questo conduce a recuperare, dall’altro lato, un video del canale YouTube StopMakingSense (2017), emblematicamente intitolato Why Bloodborne’s Horror is so Effective. Pur non trattandosi di un’analisi specialistica, indica con chiarezza un punto di interesse. Molti horror di successo degli ultimi anni sono caratterizzati, in vario modo, dalla presenza di un mostro inseguitore che può uccidere il giocatore in un colpo. Non si tratta di una modalità di gioco nata con Slender Man e i suoi vari “cloni”, ma si è certamente diffusa anche in relazione alla presenza di numerosi videogiochi con caratteristiche similari che sono stati giocati da famosi youtubers.

Simili videogiochi, in assenza di ulteriori elementi di rinforzo, possono risultare più interessanti da vedere che da giocare, per via della riduzione dell’agency e delle possibilità di intervento. Senza compiere uno scavo archeologico nella storia del medium si pensi anche solo ad Haunting Ground (Capcom, 2005), di alcuni anni antecedente al fenomeno di Slender Man, per citare almeno un esempio. Si rimanda all’appendice sulla storia del survival horror per ulteriori approfondimenti.

Questo genera una condizione in cui, potenzialmente, è interessante vedere la reazione di uno youtuber in un contesto di difficoltà (oltre alle più immediate ed esplicite reactions agli spaventi), ma si è meno propensi a calarsi personalmente in quel contesto stesso. In Bloodborne, invece, qualsiasi nemico può rivelarsi una minaccia letale, ma può al tempo stesso essere ucciso, seppur con difficoltà. È una ‘filosofia’ che Bloodborne condivide con giochi che rientrano appieno nel genere dei survival horror, come il primo Resident Evil (Capcom, 1996), rispetto al quale presenta però scontri molto più dinamici e con differenti approcci.

Peraltro, pochi giorni dopo il citato video di StopMakingSense, anche Jim Sterling ha dedicato una sua Jimquisition a un tema analogo, in cui parla della «genuine fear» (2017) che sperimenta esplorando le strade di Yarnham (la città in cui è ambientata la prima parte di Bloodborne), decisamente superiore a quella provata in molti titoli con una esplicita etichetta di “survival horror”. Lo youtuber giunge persino ad affermare che Bloodborne potrebbe esser considerato uno degli ultimi e veri esempi di survival horror, pur comprendendo la scelta di identificarlo come RPG. Il progressivo potenziamento del personaggio, tramite statistiche ed equipaggiamento, caratteristico dei giochi di ruolo, non sarebbe sufficiente a sovrastare, secondo Jim Sterling, la dimensione ansiogena dell’esplorazione, in cui ogni passo può condurre a una inaspettata e letale minaccia.

I “Souls” e YouTube: un piccolo esempio di diffusione tramite la piattaforma

Come indicato poco sopra, i “Souls” hanno presentato differenti hooks capaci di attirare un pubblico più ampio di quello inizialmente pensabile per quello che era nato come un videogioco rivolto a una certa nicchia. Sono, inoltre, degli hooks ideali sia per la realizzazione di video sul gioco sia per il desiderio di provarlo direttamente.

Osservando gli elementi di interesse da un’altra prospettiva, quella delle tipologie di divertimento di Nicole Lazzaro (citate in Bertolo, Mariani, 2014: 194) sono riscontrabili con una certa chiarezza tutte e quattro le tipologie possibili in questa serie: hard fun (la difficoltà delle sfide e la soddisfazione nel superarle), easy fun (l’esplorazione, la sperimentazione, le possibilità più casual insite al loro interno), serious fun (collezione di oggetti, sistematicità nel completamento degli obiettivi) e people fun (cooperazione con altri giocatori e PvP).

Questo ha portato a un rapporto virtuoso fra gli youtubers e i “Souls”, in un reciproco legame. I video dedicati alla serie presenti su YouTube (e Twitch) sono sempre numerosi e, pur non raggiungendo i numeri – per quantità e visualizzazioni – di quelli legati ad altri videogiochi di fortissimo successo, almeno in alcuni momenti sono divenuti i contenuti gaming più visualizzati sulla piattaforma (Parfitt, 2016). Alcuni degli youtubers più frequentemente citati in relazione alla serie sono ‘nati’ insieme ad essa, come Sabaku no Maiku e Vaatividya. In questi casi si è assistito al fattore di crescita (Hudson, 2017), in cui dei piccoli canali vivono una rapida e significativa crescita grazie a un determinato videogioco, al quale rimangono spesso legati nell’immaginario collettivo.

Laddove questo percorso di crescita è riscontrabile anche in diversi altri contesti, il caso specifico di questi youtubers presenta una particolarità ulteriore. Entrambi sono infatti divenuti delle “voci autorevoli” cui affidarsi per interpretare e comprendere la lore della saga. Questo riconoscimento, inizialmente giunto dal basso, è stato in seguito – almeno in una certa misura – istituzionalizzato. La stessa Bandai Namco ha infatti presentato Vaatividya e Sabaku no Maiku come decodificatori della lore, rispettivamente a livello internazionale e italiano, tramite specifici post a tema sulle pagine ufficiali del publisher (compreso il loro sito: Bandai Namco, 2018).

Questi e altri youtubers vanno dunque a coprire il segmento ermeneutico dei “Souls”, e sono in tal senso piuttosto discussi, poiché rappresentano una situazione che non è sempre replicabile nel panorama videoludico. Esistono canali dedicati anche alla lore di altri videogiochi, come per esempio la serie Final Fantasy, ma simili approfondimenti in profondità non sono sempre applicabili con la stessa ampiezza e costanza.

La serietà con cui trattano l’argomento li rende peraltro più facilmente eligibili per forme più istituzionali di comunicazione, rispetto ad altri youtubers con contenuti identificabili come ‘bassi’. Sabaku no Maiku, alle fiere, viene spesso introdotto come un autorevole guru dei videogiochi, e il titolo della sua rubrica su «The Games Machine», Così parlò Sabaku, aveva un sapore sapienziale, quasi da profezia.

Il loro operato non esaurisce tuttavia i possibili elementi di interesse verso i “Souls”. A fianco della dimensione ermeneutica ne sono infatti presenti almeno altre due, che potrebbero essere identificate con i termini “reaction” e “sfida”.

Nella prima tipologia è possibile citare Yotobi, volto storico di YouTube Italia e già affermato prima dell’uscita dei “Souls”. La sua serie sul primo Dark Souls ha posto in risalto, soprattutto all’inizio, le sue reazioni di rabbia e disperazione per le ripetute sconfitte, unite a numerose battute. Emerge un generale contesto comico, leggero, in cui la personalità dello youtuber prevale sul videogioco, a differenza degli altri due casi, in cui Dark Souls mantiene una maggior centralità.

I contenuti legati al trolling potrebbero a loro volta rientrare in una simile casistica, essendo primariamente legati a una reazione (di risata/scherno), o potrebbero essere indicati in una categoria separata, se si volessero operare ulteriori suddivisioni. Abbondano peraltro anche differenti forme di parodia e remix della serie, su YouTube, fra cui si ricordano anche i machinima musicali dell’italiano thePruld.

L’ultima tipologia, legata alla sfida, mostra delle performance spettacolarizzate e difficilmente replicabili da un utente comune, in cui la sfida offerta dal gioco viene portata al limite. Può essere declinata nelle speedruns con autoimposte limitazioni di LobosJr (al secolo Mike Villalobos) o nella registrazione di particolari duelli PvP con azioni difficili da eseguire. Un canale in particolare, SunlightBlade, realizza numerose top ten dedicate ai combattimenti più bizzarri, fortuiti o tattici, raccogliendo le registrazioni delle partite di altri giocatori più o meno noti. Alcuni scontri possono essere apprezzati solamente da chi ha una perlomeno buona conoscenza del funzionamento di determinate armi ed equipaggiamenti. Altri combattimenti, però, mantengono ugualmente una propria dimensione spettacolarizzante, e il commento dello youtuber facilita la comprensione delle mosse meno intuibili.

Presentate queste suddivisioni, è possibile osservare nel dettaglio alcuni degli youtubers che hanno maggiormente legato il proprio nome ai “Souls”, ripercorrere le loro pratiche e rilevare alcune correlazioni con le vendite.

Il nome principale legato alla serie è quello di Vaatividya, al secolo Michael Samuels. In un certo senso può essere escluso dal novero delle microcelebrities di YouTube, nonostante il suo ampio seguito, poiché non mostra mai il suo volto in video e rimane piuttosto schivo. In tal senso quello che è considerabile il suo corrispettivo italiano, Sabaku no Maiku, ha inserito piuttosto presto il suo volto nei video ed è molto più attivo in fiere ed eventi. Vaatividya ha aperto il suo canale poco dopo l’uscita della versione PC di Dark Souls (giunta dopo quella per console).

A quel tempo, come è stato sottolineato, esistevano già diverse fonti online per acceder agli elementi della trama, ma erano tutte organizzate secondo un «IKEA approach of flatpacking the raw materials and leaving you to piece them together with tongue-chewing force of will» (MacDonald, Killingsworth, 2016: 80). Lo youtuber sarebbe stato il primo, insomma, a realizzare un’analisi di successo della lore che apparisse come già organizzata ed esaustiva. Questo fattore potrebbe sembrare in contrasto con quanto detto in precedenza, sull’interesse dei singoli utenti di provar a ricombinare a proprio piacere la lore. Il valore dei video di Vaatividya è stato però, in tal senso, quello di offrire un esempio possibile, un modello con cui potersi confrontare e da poter sfidare.

Per la natura dei contenuti trattati nei suoi video – una riorganizzazione esplicativa della lore – sembrerebbe a un primo impatto che Vaatividya abbia beneficiato dei “Souls” molto più del contrario. Questo perché le visualizzazioni deriverebbero da chi ha già acquistato e giocato uno di questi videogiochi e indaga per capire come decodificarne la lore. Questa modalità di scoperta è certamente presente, ma non è l’unica. Bisogna, in primo luogo, ricordare che non si sta analizzando un sistema chiuso, fondato esclusivamente sul videogioco e i video a tema, ma una costellazione di discorsi che possono generare curiosità verso il prodotto (o, più specificamente, la sua lore) senza che sia stato aperto YouTube o sia stato acquistato il videogioco.

Osservando Sabaku no Maiku, lo youtuber italiano più vicino al modello di Vaatividya, emerge con chiarezza questa prospettiva sfaccettata.

Peraltro, osservando il canale di Sabaku e i suoi social, in diversi commenti emergono persone che dichiarano di aver conosciuto e acquistato i videogiochi della serie grazie a lui. una simile osservazione è corretta, ma riguarda solo persone che lo hanno conosciuto, e pertanto è solo una parte del quadro complessivo.

Risultano di maggior interesse alcuni dati più generali, legati ai fan della serie che non sono necessariamente affezionati a un singolo youtuber. Un chiaro esempio è emerso da un gruppo italiano su Facebook dedicato alla saga, in cui un utente ha chiesto cosa avesse spinto le altre persone ad avvicinarsi a questi videogiochi.

Le differenti risposte presenti possono essere razionalizzate nella seguente suddivisione.

Forma di avvicinamento dichiarata nel postNumero dei post
Canale di Sabaku no Maiku17
Canale di Yotobi19
Canali di Sabaku no Maiku e Yotobi15
Yotobi, Sabaku no Maiku e altri canali3
Acquisto casuale/attratto dalla cover/sconto29
Siti e riviste3
Amici/parenti26
Amici e Sabaku no Maiku10
Altri canali YouTube (thePruld, Rexen91, Saber–X, Queltaleale)5
Altro (di cui sei legati a YouTube ma senza indicazione di canali specifici)12

Si tratta di un gruppo privato, per quanto sostanzialmente aperto a chiunque faccia richiesta di accedervi. Per questa ragione sono state adottate una serie di misure legate ai quesiti sull’etica della ricerca online (Markham, Buchanan, 2012; Zimmer, Kinder–Kurlanda, 2017). Il nome del gruppo non è indicato, né sono presenti i nomi dei singoli utenti o i loro post riportati letteralmente. Il contenuto di questi ultimi è stato raggruppato in alcune categorie, evitando che una o più di esse comprendessero un singolo individuo.

Nonostante questo rimane comunque ipoteticamente possibile risalire al gruppo e, successivamente, alla specifica conversazione e ai suoi singoli partecipanti, abbinabili a determinate posizioni. Sebbene sia facile ottenere l’accesso al gruppo (ufficialmente “privato” ma potenzialmente semipubblico, come detto), eventuali dati sensibili degli utenti al di fuori del singolo messaggio restano legati alle loro specifiche impostazioni sulla privacy e condivisione dei dati, caratterizzandosi pertanto come un caso diverso da quello che era stato portato come esempio problematico in Zimmer (2010).

Sono 139 risposte complessive, selezionate da un numero un poco più ampio: sono stati esclusi i post multipli di singoli utenti e le risposte ad altri commenti in cui non sono deducibili le motivazioni per l’acquisto. È un campione ristretto, ma può aggiungere un ulteriore piccolo tassello al quadro complessivo. Di questi 139 commenti, 76 sono almeno in parte legati ai video presenti su YouTube. Più della metà delle persone che hanno risposto dichiara pertanto di essersi avvicinate alla serie per via di questi video o anche grazie a loro.

I canali che compaiono più spesso sono quelli di Sabaku no Maiku e di Yotobi. Come accennato in precedenza, i due presentano differenze significative. Yotobi ‘nasce’ come youtuber in un contesto che non è videoludico, legato principalmente ai film trash, e i suoi video sui “Souls” sono legati alle battute e alle reactions rabbiose. I suoi video trattano dunque argomenti differenti e attirano un pubblico ampio e variegato. Questo fattore rende teoricamente più frequente il suo canale come primo approccio alla serie: persone estranee al mondo dei “Souls”, ma che seguono Yotobi, scoprono questi giochi tramite i suoi video.

Sabaku no Maiku, invece, molto più strettamente legato alla lore di questi videogiochi, costituirebbe invece un elemento di rinforzo, con video che accrescono l’interesse di chi già conosce il prodotto. Applicando a questo contesto il discorso di Mike Rose (GDC, 2018) sugli elementi di attrattiva dei videogiochi, i video di Yotobi sarebbero l’hook vero e proprio, mentre quelli di Sabaku no Maiku corrisponderebbero al kicker.

Non sembra allora casuale la distribuzione delle risposte, pur in questo piccolo campione esemplificativo. Osservando le risposte esclusive, il canale di Yotobi ha portato un maggior numero di persone a seguire la serie rispetto a quello di Sabaku no Maiku, ma quest’ultimo risulta maggioritario se si considerano coloro che lo affiancano alle parole di amici e parenti. In questi casi una persona legata al commentatore consiglia di seguire la serie e eventualmente indirizza ai video di Sabaku no Maiku.

Il presente campione, come detto, non risulta particolarmente significativo, ma i dati trovano perlomeno riscontro in diversi commenti ai video dei rispettivi youtubers, il che rende perlomeno ipotizzabile un trend più ampio, considerando anche le dichiarazioni emerse nelle interviste. Uno youtuber come Sabaku no Maiku (e, all’estero, Vaatividya) funge spesso da “rinforzo” per chi conosce già i “Souls” almeno in termini generali, magari proprio perché ne ha sentito parlare da amici e parenti.

Un elemento di pura scoperta è più facilmente abbinabile, invece, a canali di carattere più generale, già seguiti da numerosi utenti per altre tipologie di contenuto. Queste due modalità di conoscenza possono peraltro operare in sinergia, come emerge dalle risposte che hanno indicato insieme Yotobi e Sabaku no Maiku. In questi casi il primo funge da aggancio iniziale, suscitando interesse per la difficoltà del gioco e la rabbia che ne può scaturire; il secondo, invece, porta a conoscere più a fondo il videogioco, suscitando un apprezzamento per le sue componenti narrative.

Viene di seguito fornita una tabella per riassumere le caratteristiche dei tre youtubers che sono stati presi come esempi dei possibili approcci ai “Souls”: la “teoria” di Sabaku no Maiku, la “reaction” di Yotobi e la “sfida” di LobosJr. A loro viene aggiunto ThePruld, il quale ha spinto a sua volta diverse persone ad acquistare il gioco, come ha sottolineato lui stesso nell’intervista. I suoi video mostrano un approccio definibile come “memetico” e, secondo le caratteristiche dei meme (Shifman, 2012, 2014) hanno un grandissimo potenziale in termini di fecondità e longevità, con un continuo remixing che produce una risonanza anche al di fuori della cerchia dei fan.

   Sabaku no MaikuYotobiThePruldLobosJr
Approccio ai “SoulsTeoriaReactionMemeSfida
Principale tipologia di video sui “SoulsWalkthrough (o ‘lorethrough’)Gameplay con commentoMachinima–parodieSpeedrun
Professionista, performer, compagno (Gandolfi, 2016)Professionista (della lore)PerformerPerformerProfessionista
Tassonomia di Bartle (2003)  Explorer, socializer (secondario)  Achiever, Explorer (secondario)SocializerAchiever, Killer (secondario)

I video dedicati ai “Souls” offrono, infine, un esempio concreto di una “convergenza estetico–rappresentativa” che si verifica su YouTube in determinati contesti. La situazione può essere osservata partendo da uno specifico caso che ha avuto una certa risonanza.

Nel 2015 lo youtuber Aegon of Astora, autore di alcune analisi sulla lore della serie (oltre che di diversi gameplay) ha pubblicato un video – non più disponibile – in cui accusava il popolare Vaatividya di plagio (la vicenda è riportata in Klepek, 2015b). Quest’ultimo avrebbe infatti presentato la storia di un personaggio del gioco utilizzando un montaggio e delle argomentazioni simili a quelle di un precedente video di Aegon of Astora sullo stesso tema. Vaatividya ha risposto pubblicamente, dicendo che quelle gli erano sembrate le immagini e le inquadrature più adatte per presentare visivamente un determinato discorso, e diversi altri commenti nei relativi luoghi di discussione hanno rivelato che idee similari erano giunte anche ad altre persone.

Andando oltre la specifica disputa, conclusasi senza aver lasciato particolari strascichi, gran parte dei video sulla lore di Dark Souls presenta effettivamente una serie di caratteristiche comuni. Le accuse a Vaatividja riguardavano parti isolate di video e, una volta emerso una sorta di comune processo ideativo non hanno avuto seguito. Il problema del plagio su YouTube è però effettivamente concreto e diffuso, e riguarda soprattutto i casi in cui vengono copiati dei contenuti in altre lingue, così da rendere più difficile un confronto con l’originale. Un articolo di PlagiarismToday (Bailey, 2018) ha analizzato il fenomeno e le sue dimensioni partendo dal caso specifico di uno youtuber anglofono che ha scoperto un rip off in portoghese – realizzato peraltro da una youtuber con più iscritti di lui – dello script di un suo video sugli anime di genere harem, portando poi alla luce ulteriori copie, ai danni di altri colleghi (Mother’s Basement, 2018).

Le caratteristiche comuni sono in parte legate, in generale, alla tradizione del «video essay a tema cinematografico, dalla voce fuori campo alla giustapposizione suggestiva di materiali eterogenei» (Fassone, 2018: 71), in parte più specifiche. Il video portato da Fassone come esempio specifico è un confronto fra la storia di Bloodborne e le opere di H.P. Lovecraft. Non si tratta pertanto di un video esclusivamente dedicato alla lore della serie, ma è un caso molto vicino.

Fra queste caratteristiche si ricordano:

– assenza di HUD (le informazioni normalmente visibili su schermo, come la barra della salute).

– alternanza di sequenze in cui il personaggio cui il video è dedicato compare come NPC, e sequenze in cui si fanno indossare i suoi abiti al protagonista, in una sorta di cosplay.

– in queste ultime sequenze il personaggio è spesso presentato mentre cammina, con passo lento, in un determinato ambiente a lui correlato. Sono molto frequenti le inquadrature dal basso, frontali o di spalle, che contribuiscono fra l’altro a sottolineare l’imponenza architettonica dei luoghi.

– in presenza di combattimenti, questi ultimi sono mostrati invece con una più abituale inquadratura dall’alto e di spalle, e gli scontri vengono artificiosamente protratti nel tempo se la narrazione a riguardo è piuttosto lunga.

– quando vengono citate le descrizioni di determinati oggetti, l’icona di questi ultimi è aggiunta in sovrimpressione. Talvolta viene mostrato anche il testo stesso.

Questo elenco, non esaustivo, mostra la convergenza fra le scelte di youtubers differenti, i quali giungono, tramite percorsi differenti e autonomi, a quello che è giudicato un optimum nella presentazione dei “Souls” su YouTube. La piattaforma stessa, a seconda del videogioco e del contenuto presentato, informa la struttura dei video andando a ‘imporre’ le sue logiche.

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